È davvero curioso assistere alla rivolta di alcuni scrittori sardi (Michela Murgia e Marcello Fois in particolare), che si sentono offesi se i loro romanzi in italiano vengono attribuiti alla letteratura italiana. Come se “letteratura italiana” fosse non una definizione, magari approssimativa e bisognevole di successivi affinamenti, ma una accusa infamante. Addirittura c'è chi, come Marcello Madau sul manifestosardo, evoca “operazioni fortemente reazionarie, nazional-popolari, di taglio etnocentrico; dove si inseriscono le affermazioni che la letteratura di sardi scritta in italiano non sia sarda; e il particolare uso del ‘capitalismo-a-stampa’ per certificare lingue e scritture inventate (qua il marchio reazionario è molto forte: si crea infatti, non casualmente, una particolare unità tra falsi codici e false scritture dove l’antichizzazione si unisce al sacro. Appare persino il nome di Yahweh).” E via con la sagra dei luoghi comuni inzuppati nel brodo dell'ideologia.
A suscitare la rivolta è stato un articolo, su La Nuova Sardegna del 28 ottobre, in cui Diego Corraine scriveva che solo la letteratura scritta in sardo è letteratura sarda. Cosa di cui sono personalmente certo, da autore che rivendica di appartenere alle due letterature, alla sarda quando scrive in sardo, alla italiana quando scrive narrativa in italiano. Sarà perché ho netta in mente la differenza fra letteratura nazionale, quella della mia nazione, e letteratura italiana, quella dello stato a cui, almeno provvisoriamente, apparteniamo tutti, autori in italiano e autori in sardo. Anche quando e se esisterà uno stato sardo, questa condizione non cambierà, visto che a dettare l'appartenenza letteraria sarà la lingua in cui essa è prodotta.
È pur vero quanto ha sostenuto, nel dibattito aperto da Corraine, Ignazio Delogu: “Il Nobel Miguel Angel Asturias di madre Maya, non sarebbe uno scrittore guatemalteco non avendo scritto in lingua maya, della quale conosciamo soltanto il libro sacro Popol Wu”. Ma ci sono un paio di belle differenze. La prima è che il colonialismo italiano non ha avuto in Sardegna gli effetti devastanti che l'imperialismo spagnolo ha avuto sulle lingue delle Americhe, dal Messico in giù. La seconda è che in Sardegna la letteratura sarda preesiste a quella italiana, si è continuata a produrre sia in periodo iberico sia in quello italiano ed ha da venticinque anni una copiosa produzione, più di duecento romanzi. Ignorarne l'esistenza, come i media e gli autori italofoni fanno con pervicacia, non è un certificato di inesistenza, al massimo potrebbe essere una speranza.
La situazione attuale della letteratura prodotta da sardi è questa: c'è chi fa della narrativa italiana e c'è chi fa della narrativa sarda. Perché inalberarsi ed evocare pulsioni reazionarie? Marcello Fois ha scritto per La Nuova un articolo pieno di livori. Lo ripubblica sul suo blog Michela Murgia elogiando “quell'anima paziente di Marcello Fois”. Gli da una risposta sul suo blog Roberto Bolognesi. È ciò che penso anche io.
PS - Il Premio Grazia Deledda di narrativa sarda è assegnato ad opere in lingua sarda. Sarà anche questa una operazione fortemente reazionaria, nazional-popolare, di taglio etnocentrico?
Premesso che la definizione proposta da Corraine é, a mio parere,assolutamente corretta e inattaccabile, a me pare che il punto in discussione, e cioè se l'opera di questi scrittori sia da considerare letteratura sarda o italiana, individua un nervo scoperto (diciamo pure un punto debole) degli Autori stessi. Autori che traggono ispirazione ed ambientazione delle loro opere in Sardegna, ma usano una lingua "altra" perchè pensano in questo modo di essere più apprezzati nei salotti e circoli che contano. Insomma, questa gente esiste perché "vende" o "vorrebbe vendere" la Sardegna al di fuori dell'isola,ma per continuare a contare qualcosa deve "sentirsi inserita" anche nella letteratura sarda, che altrimenti li porrebbe fuori, o quantomeno gli farebbe ombra. E' ovvio, quindi, che tutta la congregazione di lor signori entri in fibrillazione ed in soccorso del proprio collega (cioé, in definitiva di sé stessi). Insomma, questi scrittori pretendono l'impossibile, e cioé mantenere il piede saldamente su due staffe di cavalli diversi. Se, infatti, si dovessero considerare afferenti alla letteratura italiana tout court, temono di perdere un ruolo da primattori (leggasi padroni e controllori)che pensano di svolgere in Sardegna, ma che in realtà, al di là del fatto contingente e/o di moda, non svolgono e non hanno mai svolto. Nella letteratura italiana ci sono esempi ben più importanti di loro, quali Deledda e Dessì, che non hanno saputo o potuto essere sardi tout court, e che vengono regolarmente ignorati nella letteratura italiana (infischiandosene anche del remio Nobel alla Deledda) per privilegiare spesso dei signor nessuno, che però hanno il pregio di essere italiani "de abberu". Diciamo le cose come stanno: lor signori non apprtengono alla letteratura sarda perché non scrivono in sardo e non si sentono neppure radicati nella nostra cultura (cosmopoliti di maniera), e appartengono poco anche alla letteratura italiana che li ritiene troppo sardi e localistici. Sospetto questo che non colpisce i siciliani,ad esempio, che invece vengono considerati di famiglia. Insomma, lor signori sono delle mezze calzette, perchè non hanno mai saputo fare una scelta di campo netta e decisa, e se qualcuno glielo fa notare, come Corraine... ahi. Straccio di vesti e pianto greco, perchè loro, almeno in ardegna pensano di contare "abberu".
RispondiElimina@ maimone, gianfrancopintore e Corraine (po intradura)
RispondiEliminaPagu pagu de lentori in custa terra sicada funti is fuedhus de bosatrus. Sa genti compordora est mala a mòrriri. Prodùsiri literadura "sarda" est a sa moda e torrat a contu: nci at prus genti chi lìgidi e dhu est su "piu piu" de una cosa "esotica", scritoris de arratza sutasvilupada po ligidoris arròscius
de donnia atra cosa. Ma sempiri in italianu, de chi no' nci at perigulu de ndi bessiri de su giru giustu. Fatu cun iscopu, chi no' est a si bèndiri s'anima, naraimì e it'esti.
Mi sento di difendere Fois e Murgia anche se non è giusto che siano stati livorosi.Ho la vaga sensazione che questi due scrittori,che hanno tanto successo in Italia,siano un pò mal visti in Sardegna e,di conseguenza,reagiscono male agli attacchi.Ho letto i libri di Fois e Murgia e,sopratutto in"viaggio in Sardegna"c'è l'amore per la nostra terra e allora perchè attaccarli?Loro sbagliano ad offendersi quando si dice che la loro è letteratura italiana;bisogna vedere con che animo è stato detto,non vi pare?La lingua sarda è meravigliosa ma,scrittori sardi,siate voi meno severi.
RispondiElimina'qua il marchio reazionario è molto forte: si crea infatti, non casualmente, una particolare unità tra falsi codici e false scritture dove l’antichizzazione si unisce al sacro. Appare persino il nome di Yahweh'.
RispondiEliminaO Zua',l'analisi del vetero stalinista è un 'capolavoro' ideologico e fa il paio con quella della letteratura. Il fatto però è che sono tutti pappagalli con libertà di 'variatio' sul tema: le loro sono parole d'ordine non di analisi. Sono becere accuse e non ragionamenti. Per insinuare ed infangare. Al solito. Dev'essere che quelli del Club con patacca longobarda di origine turco mongolica si incontrano la domenica e dicono: domani a chi tocca parlare di reazione, di false scritture, di sardismo-nazista, ecc.ecc.? Hanno perso da tempo la partita e per questo... il loro ' assumancu pruine fatzo'. Stavolta comunque il 'polverista' ha sfiorato il sublime lessicale: 'antichizzazione che si unisce al sacro. Appare persino il nome di Yhwh'. Caspita! Non sapevo di aver fabbricato ed innescato, per primo al mondo ('non a caso'), una bomba archeologico-epigrafico -religiosa per una battaglia fondamentalista dei Sardi! E che al seguito ci siano le truppe parmensi con camionate di autobombe! E come no? Avanti Aba, avanti miei prodi, fortza Paris: che Iddio ed il rabbino poeta Torbeno Falliti sono con noi! E con noi anche i soldi dei servizi segreti stranieri! Hai notato Zuà? Prima ci combattevano con Gheddafi e la Libia, ora ci provano con Israele. La follia del vetero comunismo dei due o tre del Club è al culmine. Sai che cosa però mi ha colpito del passo? Il concetto espresso banalmente con la voce 'unità'(particolare) e non con 'saldatura' che, nel Medio Evo della letteratura socialista, mandava in visibilio i borghesucci figli di papà, i comunisti in cravatta della Domenica, disprezzati e sputtanati da Pasolini; quelli che, per quella parola, erano convinti di entrare nelle simpatie dei metalmeccanici e di entrare senza passaporto in paradiso.