Quel che segue è un articolo di Jean-Guy Talamoni, presidente del gruppo nazionalista “Corsica Libera” nell'Assemblea regionale corsa, pubblicato nel suo blog e da me tradotto. A parte i riferimenti alle situazione politica, culturale e storica francese, lo trovo di grande interesse riferito al dibattito sulla lingua sarda in corso anche su questo blog.
dal blog di Jean-Guy Talamoni
In un articolo pubblicato il 10 luglio scorso nelle colonne di Le Monde (“I due scopi della lingua”), Michel Onfray affronta la questione linguistica. La sua posizione si può riassumere in una strana affermazione: “... la molteplicità degli idiomi costituisce meno una ricchezza che una povertà ontologica e politica”. Questa “analisi”, fondata su una interpretazione alquanto approssimativa del mito di Babele (il riferimento biblico ha qualcosa di insolito sotto la penna del nostro “ateologo”[1]), è in contrasto con quella dell'insieme degli specialisti della questione, così come delle istituzioni internazionali.
In effetti, la preservazione della diversità linguistica è oggi un obiettivo politico pressoché incontrastato, salvo che in certi circoli Continentali depositari della sinistra eredità dell'abate Grégoire [2] (e non dell'abate di Saint-Pierre, cantore della “pace perpetua” [3], che curiosamente Michel Onfray chiama a sostegno della sua tesi). Così, per il filosofo-ateologo, difendere una lingua “minoritaria” sarebbe una “impresa tanatofila”, precisando che il “suo equivalente in geologia consisterebbe nel voler reintrodurre il dinosauro nel quartiere de la Dèfense e il pterodattilo a Saint-Germain-des-Prés...”
La metafora, passabilmente esagerata, permette comunque di localizzare le preoccupazioni del nostro filosofo-ateologo-linguista-zoologo. Ricordiamo che ci fu un tempo in cui Michel Onfray insorgeva all'idea di poter essere considerato un Parigino. Ciò che, d'altronde, non è una pecca, a differenza del pariginismo e di questa visione etnocentrica che porta a considerare la capitale francese come l'ombelico del mondo. Fra gli argomenti assestati dall'autore, banalità che oggi lo stesso Jean-Pierre Chevènment esiterebbe a riprendere: “... ho avuto amici corsi che, con l'aiuto del vino, dimenticavano per un istante la loro religione e il loro catechismo nazionalista per confessare che un pastore di Capo Corso non parlava la stessa lingua del suo collega di Capo Pertusato”. È davvero utile rispondere su questo punto? La favola dei corsi che non si comprendono rivela, in effetti, ragionamenti passabilmente avvinazzati.
Vi prego di osservare l'argomento autorevole, “amici corsi, con l'aiuto del vino...”. Il processo epistemologico messo in opera dal nostro filosofo-linguista-zoologo-enologo è decisamente imparabile. Citiamo infine il bouquet finale, costituente una vibrante arringa a favore dell'esperanto: “voto d'una nuova Grecia di Pericle per l'umanità intera.” Ecco... dove la questione si guasta è quando Michel Onfray credere bene precisare: “... perché era greco chiunque parlava greco: si abitava più la lingua che un territorio...” Salvo che per essere cittadino ateniese bisognava in un primo periodo nascere da un padre ateniese e, dopo la riforma del 451 – iniziata proprio da Pericle – da due genitori ateniesi, liberi, uniti per giunta in un matrimonio legittimo. Imbarazzante dimenticanza da parte del nostro filosofo-linguista-zoologo-enologo-ellenista.
Soprassederemo sulla lingua regionale “strumento di chiusura in sé”, “dispositivo tribale”, “macchina da guerra anti-universale” in mano ai nazionalisti.
In breve, avevamo conosciuto un Michel Onfray meglio ispirato. Senza dubbio è alquanto pericoloso affrontare le diverse crociate che egli ha intrapreso: contro la Cristianità, contro Freud, contro i nazionalisti corsi, etc. E' vero che questi soggetti sono di grande complessità, di una complessità tale che la sua stessa onniscienza non dovrebbe dispensarlo da un po' di riflessione. La saggezza popolare non insegna forse a “girare sette volte la sua lingua nella sua bocca”?
[1] Michel Onfray è l'autore di un “Trattato d'atelogia”, nel quale si scaglia violentemente contro le tre religioni monoteiste (nota di J-G Talamoni)
[2] Abate giacobino, noto per la sua lotta contro le lingue locali a favore del francese (nota mia)
[3] Abate della prima metà del Settecento, fautore di un trattato perpetuo fra gli stati, una sorta di confederazione permanente, con il superamento del concetto di alleanza (nota mia)
Che so' 'essiu chin sos catzedhos a su monte e andenhe andendhe fio pensandhe a sa gioventude chi iscridiat in su blog isparessidu e a sos difensores de iRS chi iscriene finas e in custu. Chen' 'e facher totu a unu muntone, una cosa mi pariat de la poder narrere, arrejonandhe chin sos canes chi non tenian atera cos' 'e faere: "No at a essere sa matessi zente ma de sa matessi creze nd'est bessida".
RispondiEliminaA sa furriada, apo lizidu sa cosa crosidadosa chi nos as presentadu.
"Milla sa creze" mi so' nadu "est totu orroba de primu sèbera. Sunu totus chin tres caricas e afroghedhana in onzi parte de mundu, mescamente inube b'at Academia".