Questa è la prima parte del saggio del prof Giovanni Ugas sul sito che Adam Zertal ha scavato insieme a lui ad el Ahwat in Israele e sulla presenza degli Shardana nell'Oriente mediterraneo. Le parti successive saranno pubblicate nei prossimi giorni.
di Giovanni Ugas
A seguito delle campagne di scavo compiute nel sito fortificato di el Ahwat a partire dal 1992, Adam Zertal ha riproposto con decisione la questione del ruolo esercitato dagli Shardana nel Vicino Oriente, un ruolo difficile da definire per la scarsità delle fonti letterarie e delle informazioni archeologiche. Su questo tema, lo studioso sostiene idee sostanzialmente originali che qui riassumiamo in breve sintesi.
1.1. Ubicazione e inquadramento cronologico - Il sito di el Ahwat, scoperto e parzialmente indagato da Adam Zertal, consta di un insediamento abitativo, esteso per circa tre ettari, difeso da una cinta muraria che si sviluppa in asse Nord–Sud per circa m 235 e in asse Est-Ovest per circa m 140. Stando alle prime indagini l’arco vitale della cittadella si protrae per un periodo limitato, dal 1230 circa al 1170/60 a.C., dunque in un momento di passaggio tra il Bronzo finale e il Ferro I, e soltanto dopo una lunga cesura l’area fu nuovamente frequentata a partire dall’età tardo romana per scopi agricoli.
La cittadella di el Ahwat insiste in prossimità dell’attuale villaggio di ‘Ar ‘Arah sulle propaggini collinari che dominano ad Ovest il mare e il tratto della piana di Sharon tra Cesarea Marittima e Tell Dor, mentre a Nord-Est ha sotto lo sguardo la via Maris che dall’Egitto, attraverso la piana di Megiddo e la valle di Jezrael, conduce a Damasco e verso l’area mesopotamica. Per la sua posizione el Ahwat si presta bene al controllo del passo di Wadi ‘Ara (Nahal Iron), l’egiziano ‘Arunah, e doveva far parte dello scacchiere difensivo comprendente anche i vicini insediamenti fortificati di Tel Assawir, Ta’anach, e Megiddo controllati dai re della terra del Nilo.
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Nella foto: tholos nel villaggio di el Ahwat
Aspettavo da tempo che il professor Ugas intervenisse a proposito dei sardi in oriente.
RispondiEliminaLo fa con la professionalità e competenza che sempre distinguono i suoi lavori. Consiglio una lettura riga per riga, con attenzione massima ai dettagli e alle note che, come nel caso del maestro Lilliu, sono il complemento necessario per chiunque voglia affrontare uno scritto che utilizza il metodo scientifico.
Vorrei concentrare l'attenzione sull'accostamento keftiu-Creta fatto dal Prof. Ugas per verificare insieme agli altri bloggers se questa dicotomia sia effettivamente la più giusta.
RispondiEliminaCome fanno notare gli studiosi Berni e Chiappelli nel loro libro del 2009 sui popoli del mare, nella confusione che da sempre alberga fra i termini utilizzati per menzionare i popoli, l'unico dato che sembra storicamente accertato riguarda l'identificazione dei minoici con Keftiou, mentre i micenei erano i Danai. Lo studioso Donadoni, riferendosi a un testo del 1400 a.C., afferma che gli egizi possedevano un'ottima conoscenza dei territori egei e non si può quindi confonderli con le isole del Grande Verde (l'Haou-Nebout). Fra gli scritti recuperati nel tempio di Amenophi III, 6 sono settentrionali e, fra questi, uno mostra una lista di nomi. Nel titolo ci sono Keftiou e Danai e si parla di oggetti che giungevano in Egitto lavorati "secondo la tecnica Keftiou". Dalla parte opposta ci sono 12 nomi, fra i quali Amnisos (porto di Creta per Strabone), Phaistòs, Kydonìa, Mykènè, Wìlios, Nauplìa, Kythera, Wìlios, Cnossòs, di nuovo Amnisos e Lyktos. Il testo sottintende esperienze dirette, pratiche di navigazione e conoscenza dei portolani. Si deduce una realtà concreta con scambi di merci e di esperienze. Questo documento non ci fornisce prove che Keftiou sia Creta, dal momento che i termini sono usati come etnici e non come territoriali. Sulle pareti della tomba del gran cerimoniere di corte sono rappresentate le offerte dei popoli delle estremità della terra, con grande rilievo riservato ai popoli provenienti da occidente, descritti come “i principi della terra di Keftiou, delle isole che sono in mezzo al Grande Verde”. In quel tempo i micenei avrebbero già dovuto essersi sostituiti ai minoici a Creta, ma visto che non sono riprodotti sulle pareti della tomba, probabilmente non erano ancora considerati importanti. I testi sottolineano il diverso atteggiamento dei Keftiou, che hanno solo sentito parlare delle vittorie del faraone, mentre i popoli che portano le loro offerte dovrebbero invece avere assistito ai trionfi di Tuthmosis III su questi paesi. Sono principi Haou-Nebout del Grande Verde quelli rappresentati, ma le vesti e gli elementi decorativi non ci riconducono a nessun popolo conosciuto. I meravigliosi vasi d'oro e d’argento cui seguono gioielli, lingotti di rame, panelli di stagno, fili di perle, zanne di elefante, tessuti e altri oggetti, sono difficilmente interpretabili. Le forme dei vasi cesellati fanno pensare a modelli evoluti, lontani dalle forme legate all'epoca di Tuthmosis III (1470-1430 a.C.). Sono simili a quelli del tardo periodo ellenistico, ossia qualcosa che non dovrebbe ancora esistere. Le eleganti e raffinate figure sembrano possedere il fascino sia degli egizi che dei minoici, ma non è un popolo conosciuto quello rappresentato. Si tratta di rappresentanti di un paese dove le pietre e i metalli preziosi erano abbondanti e la loro metallurgia straordinaria, un luogo dove vivevano elefanti, pavoni, scimmie azzurre e altri animali esotici. L'identificazione tra isole che stanno nel mezzo del grande mare e isole egee è impossibile.
...continua
Si trattò di immortalare un evento ben più eccezionale, e non la visita dei vicini egei. L'esclusivo omaggio tributato dai principi delle lontane isole era stato giudicato come l'evento cerimoniale più rilevante. Come è stato possibile identificare Keftiou con Creta? Era nominata insieme alle isole del centro del Grande Verde, confuse e scambiate con le isole dell’Egeo, per cui la prima fra queste non poteva essere che Creta. Quando si riferiscono a Keftiou gli egizi indicano un paese situato a occidente, ai confini estremi del mondo conosciuto, cosa che non si accorda con l'immagine di Creta o dell'Egeo, ma rientra nell'orizzonte dell'Haou-Nebout, agli estremi universali, con la necessità di utilizzare speciali imbarcazioni per raggiungerla. Ma se Keftiou va relegata nel lontano orizzonte oceanico, con quale nome indicavano Creta gli egizi? Attribuire agli egizi conoscenze geografiche e un orizzonte così limitato si infrange contro ogni aspetto del loro sapere. È sufficiente pensare al rapporto degli egizi con gli ittiti che, pur trovandosi sulla sponda opposta del Mediterraneo, non erano mai stati considerati abitanti dei confini del mondo. Sui documenti il nome di Creta esiste, ed è decisamente più appropriato, per quella che abbiamo sempre conosciuto come l'isola di Minosse: Me(i)nous. Popolata dai Keftiou, è riportata nelle varie liste dei popoli, associata e preceduta da Keftiou. Nella tomba di Amenemheb, un personaggio della nobiltà militare della XVIII dinastia, c'è un testo che accompagna la raffigurazione di tributi, e cita: "i re del paese Keftiou e di Minous". Era Keftiou che dominava in mari e Minous-Creta era la sua base mediterranea. In alcuni elenchi di paesi stranieri Minous risulta associata anche a Isy e scompare dai testi dopo la scomparsa di Keftiou. I minoici partecipavano insieme ai Keftiou e agli Haou-Nebout del Retenou (Siria) a commerci di beni preziosi in tutto il Mediterraneo. Keftiou deve quindi essere considerata come regione naturale, o come civiltà, importante quanto quelle dei Mitanni e della Mesopotamia, e si situerebbe nel lontano occidente. Un testo del 2200 a.C. dimostra l'antichità del termine: "Non si scende più verso Biblos oggi, cosa faremo per i pini destinati alle nostre mummie, grazie all'importazione dei quali i sacerdoti vengono sotterrati, e con l'olio dei quali vengono imbalsamati i re? Arriveranno da lontano, quanto lo è il paese Keftiou". Oltre a notare che il termine Keftiou è utilizzato per designare l'estremo punto raggiunto dall'influenza egizia, si può osservare che lo scriba menziona soltanto l'imbalsamazione dei sacerdoti e dei re, e questo fa risalire a un'epoca in cui la tecnica della mummificazione era ancora poco diffusa in Egitto. La grande distanza non poteva certo essere quella con Creta, dove peraltro non possediamo esempi di mummie o di pratiche di mummificazione.
RispondiEliminaCaro Giovanni Ugas,
RispondiEliminasulle mura non mi pronuncio, non credo che le loro caratteristiche siano così eclattanti da far discendere chissà quali suggestioni, murature ancor più simili (rispetto a El Ahwat) ai nuraghi ve ne sono anche nell'isola di Pasqua, me nessuno pensa che i nuragici siano arrivati sin li!
Comunque hai citato delle affinità con le ceramiche, poi mostrarci delle immagini please?
Caro Pierluigi, io capisco lo zelo, ma i problemi bisognerebbe sollevarli pian pianino. Non ti pare? Non sarebbe il caso di restare in tema e 'concentrare l'attenzione', come dici tu, sul grosso, ovvero sui Shardan? Sulla cultura architettonica sardo-corsa? Su quella sardo -sicula? Magari sul tipo di spade 'shardan' disegnate nei documenti faraonici ecc.ecc.? Per te sarà forse facile fagocitare i dati ma per me no: ho bisogno di più letture per comprenderne solo una parte di essi. Da questa, quella che riguarda la tipologia delle costruzioni dell'insediamento abitativo, mi è sembrato di capire che se c'è non poco di cultura architettonica shardan-nuragica c'è anche molto che non è ascrivibile (anzi per niente) a quella cultura. C'è, mi chiedo, una prova 'forte', determinante ( ma forse bisognerà attendere la fine del saggio per saperlo)che renda inequivocabile il sito di el-ahwat come insediamento abitativo-militare dei Shardan alla fine dell'età del bronzo?
RispondiEliminaHai ragione Gigi, ma il nodo Keftiou-Creta è di fondamentale importanza per gli avvenimenti perché se Keftiou (che per me è un'etnia e non un territorio) non è Creta...cambia completamente lo scenario. Bisogna capire che questi benedetti personaggi costituivano una talassocrazia che durava da un millennio e scomparvero...assorbiti dai micenei.
RispondiEliminaUn'amica i segnala questa perla di saggezza, consegnata a "Sassari notizie" da Francesco Bellu, giornalista laureato in Beni archeologici:
RispondiElimina«Ogni volta assistiamo a grandi dichiarazioni, ma non si vede mai nessun riscontro. Per quanto riguarda il villaggio di El-Ahwat, dove Zertal dice di aver trovato una fortificazione eretta dagli Shardana - nessuno ha mai visto una pianta del sito. Nessuno quindi può dunque verificare l'esattezza di questa teoria. Inoltre da parte nostra ci sono molti punti oscuri. Queste fortificazioni non hanno il tetto, quindi non si capisce se in passato abbiano avuto o meno il "tholos" nuragico. Senza questo dato, come si fa a fare un parallelo con la civiltà nuragica?»
Non ha letto il libro di Zertal e passi, non ha neppure dato una scorsa al suo articolo che, come me, avrebbe potuto trovare in Internet (lo si trova anche nel mio sito) nel quale c'è tutto quello che vorrebbe. Ma, dice il nostro, Zertal è "un archeologo sionista" e dunque...
Chi sa dirci dove scrive questo giornalista? Così, tanto per farci un'idea sulla serietà delle informazioni che fornisce
@ Zuannefrantziscu
RispondiEliminaa proposito di notizie sul El Ahwat ricordo che già nel 1998 comparvero notizie in rete di A. Zertal con relativa segnalazione del sito al prof. Ugas. Mentre nel 2002 Zertal scrisse un articolo (comprendente foto e planimetrie) in "Biblical Archaelogy Rewiew", dove, tra l'altro riferiva del probabile abbinamento Sisera=Sassari, di un sito (probabilmente nuragico) di Creta con la scritta "Seisara" e dell'archivio di Ugarit (sede di una colonia Shardana) col nome Zi-za-ru-wa, ipotizzando così il collegamento del sito israeliano agli Shardana-Nuragici.
@ prof. Ugas
forse è il caso di verificare ancora meglio la corrispondenza tra la cinta esterna del nuraghe Losa e il recinto di El Ahawat; lei attribuisce quello di Losa ad un periodo tardo in assenza di scavi adiacenti le mura, eppure le conformazione ellittica e lo schiacciamento su un "lato" risultano identici. Inoltre ad entrambe le strutture si accedeva mediante un sorta di doppio controllo, realizzato tramite due ingressi ravvicinati.
Potrebbe dirci qualcosa in merito all'identificazione dei Liku=Liguri e dei Tursha=Etruschi? Ma forse è meglio aspettare le parti
successive. Grazie
Giuseppe Mura
Benincontrau, Giovanni Ugas.
RispondiEliminaSe in qualche occasione, e in modo maldestro, ho cercato di tirarti per la giacca perché ti pronunciassi, ti scasumassi direi in italiano proceddinu, sulla scrittura al tempo dei Nuracini, vedi che ho saputo attendere.
Mi fa piacere leggerti, ma voglio chiederti una cosa stupida: quando ho visto la foto della tholos in testa al tuo articolo, ma anche quando ho sbirciato dietro Zertal (pare che si chiami proprio così!) nel post di qualche giorno fa dove campeggiava l'archeologo ma dietro notavo un "mucchio" di pietre che, così com'erano collocate e per la loro forma, mi si è stretto il cuore perché, più che a un nuraghe somigliava a una muridina scrucculada po circai sizzigorrus, a te che l'hai vista personalmente, è passata in mente la stessa idea, anche solo per un momento?
Non prendertela e guarda che non sei tenuto a rispondere.
@Giuseppe Mura
RispondiEliminaCerto, il paragone tra il Losa, seppure azzardatissimo, e questa beneamata cittadella avrebbe un senso se i nuraghi fossero delle fortezze.
Ma questa teoria è lungi dall'essere comprovata!
Il fenomeno megalitico (in cui rientrano anche le costruzioni ciclopiche come i nuraghi) è una questione molto molto complessa.
RispondiEliminasi tratta di semi (culturali) che , almeno per quanto riguarda l'Europa e l'Area del Mediterraneo , si disperdono e dunque germinano, adeguandosi al genius loci, e fioriscono in modi originali.
Per El Ahwat sembrerebbe che Ugas voglia proporre l'idea che i costruttori siano di stirpe nuragica e che i nuragici siano gli shardana.
Non credo che sulla semplice base di riscontri di tipo tecnico-costruttivo si possa reggere una tal ipotesi.
Sono necessari altri elementi di riscontro, chiedo dunque: nella cultura materiale relativa al tempo in cui El Ahawt fu costruita , il resto della sua cultura meteriale è affine a quella nuragica?
Sè non esistono tali elementi di riscontro mi pare che la proposta di Ugas debba essere accantonata.
Senza questi elementi di riscontro, bisognerebbe valutare le convergenze di natura tecnico-costruttivo (che come ha fatto notare, molto simpaticamente, Francu Pilloni sono assai superficiali: "quelle di tell EL Ahwat mi parinti moderinas".
Ora lancio una sfida (voglio vedere se mi smentisce) non credo che l'amico Giovanni Ugas abbia nel suo "carniere" le prove che la cultura materiale delle genti che hanno costruito El Ahwat siano nuragiche, è troppi anni che lo dice ma ancora non ha mostrato niente, se avesse avuto tali riscontri sarebbe stato lo studio archeologico più interessante del Mediterraneo. Dimostrare che una comunità di nuragici avessero costruito El Ahwat sarebbe stata una scoperta del Secolo!
Viceversa , ritengo che l'amico Giovanni, abbia idee preconcette sia a riguardo della funzione dei nuraghi (li vede come luoghi utili ad ospitare guarnigioni, sic!) sia nell'identificare i nuragici come gli shardana citati nelle cronache egizie.
Spero che l'amico Giovanni voglia finalmente aggiungere qualcosa di nuovo e fondato alla questione nuragici=shardana!
PS: Pierluigi sei tenuto a non fare le veci!
@ Mauro
RispondiEliminame ne guardo bene...non sono all'altezza e, comunque, attendo la terza parte (ho appena letto la seconda). Credo che nelle prossime settimane avrò da studiare parecchio. Con tutto il materiale che il professore ha gentilmente fornito ci sarà da discutere per un paio d'anni.
Ad una prima analisi è molto più interessante di quanto speravo.
@ Alessandro Lessà
RispondiEliminaGiusto Alessandro, ma qui non si tratta di verificare qual'era la vera funzione del nuraghe, ma di accertarsi se esiste davvero la stessa mano costruttiva tra la Sardegna e El Ahwat: un particolare aspetto edilizio potrebbe essere semplicemente il risultato di una situazione locale.
Non dimentichiamo che le pietre nostrane sono ben differenti da quelle di quelle zone. La storia insegna che i popoli utilizzano sempre ciò che la natura circostante offre (salvo rari casi che costituiscono eccezioni e sarebbe meglio evitare).
RispondiEliminaCaro Pierluigi,
RispondiEliminariguardo al paio d'anni necessari per valutare la propsta di Ugas du El Ahawt, posso dire che è una considerazione erronea.
I tempi dell'analisi e del comprendonio sono variabili, a te serviranno molti anni (purtroppo), ma ti assicuro che a chi (dotato di QI normale) conosce la cultura materiale della Sardegna nuragica, sarà più che sufficiente in tempo necessario alla lettura del testo!
diciamo pure una mezzorettà!
con simpatia
mauro peppino
Caro Peppino, so bene che il mio QI è ben sotto la media e che la mia conoscenza di questi argomenti rasenta lo zero ma mi impegnerò. Magari riesco a farlo in un anno...risparmierei tanto tempo per fare altre cose.
RispondiEliminaPensa che devo ancora iniziare il lavoro di pubblicazione degli atti dei convegni dell'ultima rassegna e, visto che lo faccio a tempo perso, riuscire a risparmiare un anno sarebbe magnifico.
Ti ringrazio per avermelo fatto notare.
Caro Peppino, so bene che il mio QI è ben sotto la media e che la mia conoscenza di questi argomenti rasenta lo zero ma mi impegnerò. Magari riesco a farlo in un anno...risparmierei tanto tempo per fare altre cose.
RispondiEliminaPensa che devo ancora iniziare il lavoro di pubblicazione degli atti dei convegni dell'ultima rassegna e, visto che lo faccio a tempo perso, riuscire a risparmiare un anno sarebbe magnifico.
Ti ringrazio per avermelo fatto notare.
@Giuseppe.
RispondiEliminaSe la struttura ha finalità diverse come si può anche solo pensare di paragonarle? Paragoneresti un fortino del litorale quartese con la chiesa di S. Maria degli Angeli solo perchè son rettangolari e in cemento?
Per me è un metodo assai sbagliato.
Chi ha fatto notare che si usa "quello che c'è in zona" sbaglia.
Se fosse avvezzo per girare nuraghes, avrebbe constatato che qualunque materiale utilizzassero i Nuragici, la matrice è sempre la stessa. Calcare, marna, granito, basalto e via dicendo.
La "mano" è sempre la stessa.
Invece in questa cittadella di nuragico io ci vedo molto poco...!
Come ha fatto notare Franco, son muretti da poco....
Se poi si vuole andare ostinatamente in questa direzione va bene, bisogna portare delle prove però.
Nella prima figura che rappresenta la cella coperta a tholos, mi è parso che vi è un pilastro centrale!
RispondiEliminanon vi è nessun nuraghe che presenta un tal sistema! Sistema che invece e presente sia ne talayots balearici eche in etruria (attenzione ,con centinaia d'anni di sfasamento cronologico).
il paragone , se qualcuno lo volesse fare, sarebbe più calzante coi talayotos che con i nuraghes.
ma mipare si tratti di fenomeni di semplice convergenza tecnico costruttuva.
per fare dei paragoni seri è indispensabile l'analisi dell'insieme della cultura materiale dei due luoghi che s'intendono mettere a confronto.
@ Alessandro Lessà
RispondiEliminaForse mi sono spiegato male, certo non intendevo riferirmi a "strutture con finalità diverse", frase da lei attribuitami.
Ma non credo sia il caso di fermarci al parallelo tra il recinto del Losa e le mura di El Ahwat. Il lavoro proposto dal prof. Ugas contiene tanti spunti di riflessione, quindi abbiamo solo l'imbarazzo della scelta.
In ogni caso segnalo agli scettici che l'eminente studioso utilizza un metodo di ricerca basato in particolare sull'archeologia, sulle fonti letterarie e altri rami del sapere.
Giuseppe Mura