di Francu Pilloni
Se c’è una cosa di cui il giovane contadino di questa favola andava certo era che la Luna piena si alzava proprio dietro i filari di pioppo lungo il fiume, là dove termina il suo terreno. La seconda e la terza che dava per probabili sono, la prima, che in città non potevano vedere mai la Luna piena così bassa e così vicina; la seconda, che i cittadini avrebbero desiderato molto osservarla così come a lui succedeva da una vita. E allora, perché non consentirglielo, a quella gente di città, a cui avrebbe potuto vendere i prodotti della sua terra, mentre i bambini s’intrattenevano col vitellino e con le papere?
Prese un’ancoretta di ferro, quella che usava per pescare il secchio finito in fondo al pozzo, ci legò una lunga corda nuova e si esercitò tutto il giorno a lanciare l’attrezzo più in alto che poteva, in attesa della sera. Quando la Luna si affacciò con la sua faccia tonda fra i rami dei pioppi, il contadino lanciò l’ancora e il colpo andò a buon fine. Quindi ci legò in fretta sa tella de argiolai, la grossa pietra che veniva trascinata dai buoi durante la trebbiatura delle fave. Pensava, anzi sperava che la Luna sarebbe stata trattenuta da così gran peso. In effetti gli parve proprio che ciò avenisse, ma poi s’accorse che l’astro, seppure a fatica, seguitava a salire. D’istinto il contadino si aggrappò alla pietra per aggiungere tutto il suo peso ma non bastò: lentamente, molto lentamente, sentì che i piedi si staccavano dal suolo e saliva, fino a raggiungere l’altezza della cima dei pioppi. A quel punto capì di dover prendere una decisione ed esitò: poteva saltare, sapendo di rischiare di farsi male alle gambe, di procurarsi un’ernia, di rompersi la schiena; oppure poteva lasciarsi portare nel cielo in un viaggio magnifico, unico, impensabile per lui che non andava neanche alle fiere paesane. Aveva però timore che, giunto chissà dove e posati trepidamente i piedi su una terra lontana e sconosciuta, non sarebbe riuscito a trovare la via di casa. O almeno non così in fretta da poter accudire alle mucche e agli altri animali, la mattina dopo.
A questo punto mi fermo con la favola e mi dispiace: se volete, aggiungetevi un lieto fine, perché a me non riesce.
E però non mi esimo dal fare un parallelo fra il contadino e un sardo (autonomista, indipendentista, fate voi) come me, perché se è vero che riesco a comprendere il contesto in cui vivo (bene), che riesco a fare ragionamenti sensati (più o meno), è altrettanto lampante che mi manca il modus operandi.
In ciò, ne sono conscio, mi presento come un sardo paradigmatico, data per scontata che storicamente è proprio questa la carenza caratteriale, politica, organizzativa del nostro popolo.
A me, che sono un sognatore-biseri, la figura di quel contadino aggrappato alla pietra che si staglia contro il cielo, mi appare come la parabola della Repubblica di Maluentu, frutto di uno slancio emotivo, generoso, temerario. E nulla di più.
Proprio dopo che si è fatto il primo passo nella direzione corretta, subentrano le paure, quelle di percorrere sentieri sconosciuti, quelle di perdere il poco a cui ci teniamo stetti, la paura della solitudine, di non essere all’altezza della situazione.
Di questo passo, anche l’Italia, matrigna quanto si vuole, mi pare una patria, certo inadeguata, ma sempre meglio di niente. E così ragiono per la lingua, per la scuola, per l’economia, per tutto.
Ecco perché, con tutte queste paure in corpo, non riesco a immaginarmi un lieto fine che pure desidero più di ogni altra cosa al mondo. E intanto, irrassegnato, invecchio.
Mettiamola così, Francu: il futuro è in grembo di Hallà, come dicono da qualche parte, e non ci è dato di conoscerlo. Se dato ci fosse, sarebbe troppo facile e, forse, dico forse, non sbaglieremmo mai nelle nostre scelte.
RispondiEliminaIl fatto è che ogni scelta è un rischio e il risultato si vede solo aldilà della curva del tempo.
E' un esercizio per i giovani, per il quale dovrebbero essere tagliati. Ma che 'taglio' abbiamo loro dato in questi ultimi decenni?
Ecco perchè le tue paure, le nostre paure, ecco perchè viene difficile immaginare un lieto fine.
E' roba da vecchi come noi, anche se irrassegnati.
Signor Pilloni,è la prima volta che la sento un pò pessimista,non lo sia, continui a scrivere le sue belle favole e si isoli da questo mondo,così deprimente.Si ricordi inoltre che chi ha la fantasia di scrivere favole così poetiche non è mai vecchio.Prima o poi il mondo migliorerà, un azzicu.
RispondiElimina