Un invito agli archeologi sardi a “una discussione più laica sui miti” quale quello di Atlandide e a contemplare “una seria revisione” sulla questione delle Colonne d'Ercole è stato lanciato ieri a Carloforte dal Attilio Mastino, rettore dell'Università di Sassari. Lo ha fatto di fronte a Sergio Frau, nel convegno “Úìze”, parola che in tarbarchino significa Isole, e di fronte a un bel po' di studiosi, da Franciscu Sedda a Umberto Eco, chiamati a riflettere sul senso di Isola.
Le informazioni sull'avvenimento sono troppo scarse (un articolo di Celestino Tabasso su L'Unione) per tirare conclusioni, ma mi pare che il muro di gomma non è più tale e che nel cordone sanitario steso intorno al lavoro dell'amico Sergio Frau si cominci a vedere qualche sfilacciatura. Forse uno strappo, data l'autorevolezza del rettore sassarese, ordinario di Storia Romana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Una quantità notevole di persone, da alcune molte famose ad altre come me e un bel po' di altri decisi a sapere oltre gli ipse dixit ripetitori di errori, chiede da anni un atteggiamento laico nei confronti di quanto ha scritto Frau, deciso a non passare come “l'autore numero 74 mila che dice la sua su Atlantide”. Il fatto che la stessa richiesta venga da uno come Attilio Mastino non è senza significato e fa ben sperare che la crepa aperta riguardi anche altri aspetti del “clericalismo” di gran parte della baronia sarda.
Ricorderete come la seconda tesi del Manifesto anti Frau, forse il più vergognoso tentativo di scomunica della nostra contemporaneità, affermasse che “l’Atlantide di Platone non è un dato storico riferibile a un determinato luogo e a un determinato tempo, ma è solo una costruzione poetica e utopistica a fini esplicativi, riconosciuta come tale già dal discepolo Aristotele, che affonda le radici in una serie di miti largamente diffusi nel mondo antico, radicati nella consapevolezza della fragilità delle conquiste della civiltà di fronte allo strapotere della natura e rafforzati dalla memoria di catastrofi naturali effettivamente accadute e documentate come l’eruzione del vulcano di Thera nelle Cicladi, tra il XVII e il XVI sec. a. C.”
Ad unire la gran parte dei firmatari (non tutti, perché ci fu chi aderì pensando si sottoscrivere altro) fu uno spirito di conservazione dell'orto già zappato e seminato di certezze e di dogma vitali. Ma ai funzionari delle soprintendenze, sarde e non solo, lieti o costretti difensori del conosciuto, si aggiunsero persone che di archeologia sanno assai meno di me: glottologi, linguisti, antropologhi nelle cui vene scorre, sotto specie di sangue, un astio incontenibile per la lingua sarda, per la cultura barbarica del “noi pastori”, per l'identità e in genere per tutto ciò che identifica il sardo come popolo a sé. Non parve vero loro di unirsi a chi, insieme a Frau, scomunicava le “derive identitarie”.
Un atteggiamento clericale che con garbo, ma fermezza, il rettore di Sassari chiede di mettere da parte. Prossima fermata la scrittura nuragica? Speriamo: in questo campo, gli atteggiamenti laici, come sappiamo, sono merce sconosciuta.
@ Zuannefrantziscu
RispondiEliminaMi candido a diventare l'autore 74 mila e uno che dice la sua su Atlantide e mi vedo costretto a ricordare che, nel mio lavoro, ho dedicato all'argomento un intero capitolo.
Ti riassumo brevemente i punti salienti che, a mio parere, costituiscono una novità nel vastissimo panorama sulla ricerca della misteriosissima isola.
1) I Greci dell'EdB avevano una speciale nostalgia nei confronti di un'isola felice collocata al loro tramonto del sole e in Oceano; i vari autori la chiamano Scheria, regno di Crono, Giardino delle Esperidi, Isole dei Beati, Campi Elisi e Atlandide.
Tanto è vero che, alla sua comparsa, il racconto di Platone passa quasi innosservato, mentre acquista tutta la sua misteriosità solo nei tempi moderni grazie anche alla mania di grandezza di certi personaggi passati tristemente alla storia moderna.
Insomma Platone. come i suoi predecessori, si cimenta semplicemente nella descrizione dell'isola felice, solo che arricchisce il racconto con i suoi principi filosofici per magnificare al massimo il suo luogo ideale.
Dai uno sguardo alle carte geografiche, risalenti ad almeno due secoli, di coloro che cercano di collocare Atlantide e vedrai quanto nomi di luoghi felici risultano accorpati alla misteriosa isola.
2)Al di là del fatto che la descrizione di Platone in termini geografici, ambientali, divisione territoriale, possesso dei metalli e di costume corrispondono perfettamente alla Sardegna, ricordo che il filosofo narra di uno stretto (Colonne d'Eracle) che separa il grande mare da un piccolo mare "un mare talmente piccolo da sembrare un porto", riproducendo così la morfologia che caratterizza anche la Scheria omerica, l'Ade-Tartaro e il Giardino delle Esperidi di Apollonio Rodio che identifico nella regione di Cagliari, con lo stretto che conduce alla laguna di Santa Gilla.
3) l'isoletta "cerchiata" costruita intorno al piccolo monte, collocabile anch'essa nella regione di Cagliari, fa parte della filosofia di Platone, tanto è vero che sostiene di averla fatta costruire per rispecchiare la forma del cosmo conosciuto ai suoi tempi (sette orbite=sette mura che racchiudono le cinte alternate di mare e di terra).
4) l'isoletta artificiale prende anch'essa il nome di Atlantide perché diventa la residenza del dio Atlante.
5)la distruzione di Atlantide, quindi, è riferita solo alla piccola isola artificiale. Tanto è vero che il filosofo, dopo la catastrofe, afferma testualmente: "la melma rimasta impedisce il passaggio di chi naviga da qui per il mare aperto"; questo significa che il filosofo sta illustramdo la situazione del piccolo mare. Quest'operazione è confermata poi da Aristotele, il quale commentando il racconro del proprio maestro dice: "colui che l'ha creata l'ha anche distrutta".
A si biri
Giuseppe Mura
Un po' per volta, Giuse', e che maniere. Già Frau, dicendo che la Sardegna è l'isola di Atlante, ha suscitato tutto quel pandemonio; tu addirittura localizzi. Tu non solo vuoi ferire il dogma, lo vuoi morto. Abbi almeno pietà degli Unti del Verbo.
RispondiEliminaBuongiorno Giuseppe. Nella lettura di Aristotele io ho interpretato diversamente l'ultimo dettaglio che hai descritto(o forse ho capito male il tuo post).
RispondiEliminaAristotele si riferisce al proprio maestro che, dopo aver creato un mito lo distrugge...quindi è Platone che distrugge il suo stesso mito.
Blogger Pierluigi Montalbano ha detto...
RispondiElimina@ Pierluigi Montalbano
Grazie Pierluigi, forse mi sono espresso male e confermo la tua precisazione:
" Aristotele si riferisce al proprio maestro che, dopo aver creato un mito lo distrugge...quindi è Platone che distrugge il suo stesso mito".
Ciao
@ zuannefrantziscu
RispondiEliminaSalve Zuanne, ti assicuro che l'educazione ricevuta non mi avrebbe permesso di "spingere" in questo modo, ma il momento potrebbe essere favorevole per demolire il Dogma.
Tutto sembra condurre verso un unico risultato: la nostra era davvero l'isola felice dei Greci, Platone compreso; perché nascondere un risultato che, credimi, è costato non poca fatica?
Ariosu