La retorica nazionalista italiana si è svegliata stamattina con due mal di pancia, entrambi dolorosi, anche se di diversa entità. Il primo è la vittoria nelle Fiandre degli indipendentisti della Nuova alleanza fiamminga che diventa il maggior partito del Belgio. Alla Camera avranno 27 seggio contro i 26 dei socialisti, vittoriosi in Vallonia, anche se il PS Vallone e quello delle Fiandre si uniranno in un solo gruppo. La politica in quel che oggi si chiama Belgio è, comunque, complicata quasi quanto quella italiana, e non sono tanto sadico da dare altri numeri.
Il secondo mal di pancia è tutto interno alla Repubblica italiana e riguarda l'Inno di Mameli, inno provvisorio dal 1946, cui in quel del Veneto sarebbe stato preferito il Va pensiero di Verdi. L'autore di tanto crimine sarebbe il presidente della Regione, Aia, il quale ha smentito di averlo commesso. Che Aia dica il vero o menta, il problema sta nella levata di scudi che si è avuta alla notizia che qualcuno abbia osato tanto. Improvvidamente, chi ha con la Costituzione frequentazioni assai meno assidue delle mie con teoria della relatività, l'ha tirata in ballo, per indignarsi contro una violazione tanto grave. Si dà il fatto che la Costituzione non parla di inno né di Mameli né di altri, a differenza, per esempio, di quella francese che al suo articolo 2 sancisce: “L'hymne national est la Marseillese”. L'inno italiano è “provvisorio” e si dice per consuetudine che sia “nazionale”.
Ma mi sa che il mal di pancia più consistente sia quello provocato in Belgio dalla vittoria degli indipendentisti moderati della N-Va accompagnata dal consenso agli indipendentisti radicali di Wlaams Belang (subito esorcizzati in Tv e su molti media italiani come di estrema destra, così non ci si pensa più). Della Lega, partito maggioritario nel nord ricco italiano, si sa tutto, anche del suo poco amore per un inno che parla di “schiava di Roma”; quel che è successo nel nord ricco del Belgio è sceso sulla gran parte dei lettori e dei telespettatori italiani come un fulmine a ciel sereno, anche se i media esteri da anni si occupano della difficile convivenza tra fiamminghi e francofoni.
Qui, il più delle volte (pochissime, per altro) che i media si sono occupati del Belgio, l'hanno buttata in folclore, irridendo ai fiamminghi che si rifiutano di parlare in francese coi francofoni valloni e alla loro curiosa abitudine di interloquire con loro in inglese. La stessa curiosa abitudine che i tedeschi hanno di voler parlare la loro lingua e gli italiani la propria: stranezze di questo mondo alla rovescia. Il Belgio è, notoriamente, una creatura artificiale delle due grandi potenze, Francia e Gran Bretagna che ne decisero la nascita intorno al 1830. Allora, le grandi potenze avevano di questi ghiribizzi e mettere insieme a forza olandesi e francesi non sembrò cosa disdicevole. Così come, trent'anni dopo, sembrò normale a Napoleone III aiutare la Sardegna a provocare l'Austria per trovare un pretesto all'invasione del Lombardo-Veneto, allora austriaco in base a trattati internazionali.
Fiandre e Vallonia hanno faticosamente convissuto, tentando anche la strada del federalismo, formalmente in atto, ma sostanzialmente fallito. La meridionale Vallonia, ricca quando il carbone tirava l'economia, vive un processo di impoverimento; le nordiche Fiandre, un tempo più povere sono oggi più prospere. Nella prima, per dire, la disoccupazione è quasi al 17 per cento; nelle Fiandre non arriva al 7 per cento. Sullo sfondo, ma in realtà in prima evidenza, la questione linguistica ancora irrisolta e, pensa gran parte dei fiamminghi, irrisolvibile se non con un franco e consensuale divorzio. Un po' come successe nel 1993 fra Cechi e Slovacchia, una volta unite nella Cecoslovacchia, e oggi entrambi stati dell'Unione europea.
Una vicenda, come si può capire, che se pur rimossa dall'informazione è di pessimo esempio per la Repubblica italiana e provoca il grande mal di pancia per la retorica nazionalista italiana. Cechi e slovacchi, che uniti per forza non si potevano sopportare, ora che vivono separati, sono diventati amici per la pelle. E in Europa collaborano senza problemi. Questo, naturalmente, non vuol dire che necessariamente il Belgio seguirà la strada della Cecoslovacchia, ma solo che è possibile e che se capiterà, al più in Europa ci sarà un re in meno e due presidenti di repubblica in più.
Nella foto: Bart de Wever, il vincitore delle elezioni in Belgio
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