di Gianfranco Sabattini
Francesco Cesare Casula, autorevole studioso di storia medioevale, sostiene l’esistenza di una terza via per narrare il passato dei singoli popoli statualmente organizzati. Per Casula, sinora la narrazione della storia sarebbe stata fatta sulla base del metodo estrinseco del “territorio geografico e del riferimento cronologico temporale e topico locale, a volte uniti a volte separati, quasi a formare un unico contenente o due contenenti diversi: due vie su cui inserire l’elencazione (quantitativa o selettiva o esplicativa o ragionata) degli avvenimenti umani” (p. 39).
Casula afferma di volersi sottrarre ai limiti del metodo estrinseco di fare storia. Cioè ai limiti delle due vie da esso derivate, proponendo, in sua vece, il metodo intrinseco del riferimento ai veri valori storici, da narrare, appunto, attraverso la terza via, fondata sulla dottrina della statualità. Il metodo intrinseco – per Casula - “sarebbe difficile da capire nella sostanza, e ancora più difficile metterlo in atto rigorosamente, fino alle estreme conseguenze, piacciano o non piacciano i risultati” (p. 14).
L’ideatore della terza via della storia pare dubitare del successo che potrà riscuotere il metodo da lui proposto. Ma non ha alcun dubbio sul fatto che esso, se accettato, possa diventare l’”originale griglia” di un nuovo modo di narrare la storia e, in primis, di narrare una nuova storia d’Italia. Ciò, perché, nel narrare la storia d’Italia, sulla base del metodo estrinseco, avrebbero sbagliato tutti, in quanto – afferma Casula - se per “storia d’Italia s’intende la storia dello Stato di cui siamo cittadini, per il quale paghiamo le tasse, al quale ci rivolgiamo per i nostri bisogni primari, con cui trattiamo per un tenore di vita migliore; se per storia d’Italia si intende la storia dello Stato per cui combattiamo, lavoriamo, preghiamo; se per storia d’Italia si intende la storia dello Stato che oggi siede all’O.N.U., gravita nell’orbita militare dell’Occidente-USA, fa parte della Comunità Europea, accoglie profughi, rifugiati politici ed extracomunitari, aspira ognora ad una stabilità d’ordine interno e di governo; ebbene, sì: hanno sbagliato tutti” (p. 235).
Hanno sbagliato tutti “a far passare la storia dell’Italia geografica per la storia dell’Italia statuale, col risultato assurdo di escludere dal panorama generale – spesso e volentieri – proprio quella terra che Italia geografica non è ma che, di contro, è l’embrione dello Stato.
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Vedi anche "Ma la storia deve essere utile o basta che sia vera?"
Premetto che non ho ancora avuto il tempo di leggere il comunque interessante libro di Casula e quindi non posso imbarcarmi in giudizi sommari. Qualche parola tuttavia sulla "pigrizia intellettuale" dei Sardi e sulla loro repulsione verso il nuovo (e/o l'eventuale utile apportato dal nuovo) ci sarebbe. E tutto può essere sintetizzato nel quesito: Ha senso lamentarsi della pigrizia di un Popolo che - proprio per quella serie di fattori concomitanti avvenuti nel tempo - si è contribuito a disperderne i segni di una visione identitaria capace di automatizzarsi? Che cosa intendo? Abbiamo trattato più volte su U.R.N. Sardinnya il tema, cercherò di sintetizzarlo in breve: A causa degli accadimenti storici occorsi all'isola è venuta meno una regia (o chiamatela anche "minoranza illuminata" a seconda dei punti di vista) che non è stata capace (anche in questo caso per una serie di eventi e circostanze) di assumere il potere. Tale regia avrebbe dovuto comportare l'avvio di quella "tutela politica" che avrebbe dovuto guidare i Sardi verso una maggiore autostima di se stessi, della propria identità e delle loro capacità di automazione politica (e magari quindi anche istituzionale). Per renderla ancora più comprensibile, spostiamo il problema nel presente: Vi pare possibile che oggi la classe dirigente Sarda (da destra a sinistra) allevata nella più totale ignoranza del suo passato e con modelli storici e culturali sorti tra l'800 ed il 900 italiano (unitariamente ai mass-media ed altri elementi di coesione sociale) possa IMMAGINARE LA PROGETTAZIONE dell'utilità di una Sardegna realmente autonoma in uno stato federale o addirittura indipendente? Questo è uno dei motivi essenziali per cui ad esempio il nazionalismo della ns associazione (pur essendo indipendentista) ha assunto un carattere sovranista: Nel senso che si è consapevoli di operare in un territorio che ha tutto il potenziale per definirsi Nazione (e lo è) ma non ha né una classe dirigente, né la maggiorparte dei suoi cittadini "formata" sui principi che altrove invece il nazionalismo ha forgiato verso l'orgoglio di se stessi (che non significa prevalicazione ma affermazione). In questo quadro dunque (e quì parlo di politica, più che di storia, diritto o psicologia) l'instaurazione di un modello GRADUALE per l'autocoscienza del Popolo diventa un passaggio obbligato. Un discorso che quindi passa per la tutela delle peculiarità identitarie Sarde ma anche per la loro esternazione. Con la consapevolezza che questa tutela può essere effettuata solo secondo adeguate riforme sociali ed istituzionali, a partire da una nuova Autonomia. Ma per fare questo, occorrono prima gli strumenti essenziali: Una politica cosciente della realtà in cui vive, quindi un Partito Nazionale Sardo e/o un Fronte unito sulla necessità di conseguire tali risultati legislativi per la formazione delle prossime generazioni. Io non vedo questo percorso né nell'attuale indipendentismo (che spesso non capisce l'utilità delle riforme per modellare il tessuto sociale), né nell'autonomismo filo-italiano (che per ragioni di mero interesse personalistico di potere e/o per assenza di una reale cultura territoriale) l'unica politica che riesce ad attuare è quella del gattopardo: Nei fatti diventando organico al centralismo/nazionalismo italiano. Ancora meno ovviamente questo percorso può essere visto nella politica italiana, se non i sporadici soggetti dotati della giusta vena culturale. - B. Adriano (SANATZIONE.EU)
RispondiEliminaMagnifica replica di Gianfranco Sabatini!
RispondiEliminaMi rimane però un dubbio: e se Casula-esattamente come Sabatini-stesse soltanto facendo politica?
Sabatini si chiede: "Che senso ha precisare che il processo di unificazione istituzionale e nazionalitario dell’Italia moderna è avvenuto per incorporazione all’interno del Regno di Sardegna dei restanti stati insistenti sul territorio geografico chiamato Italia, se poi il “meccanismo” sottostante il processo di unificazione è stato del tutto ininfluente rispetto alla capacità della Sardegna di crescere e di svilupparsi rispetto alle comunità insistenti in altre regioni dell’intera area geografica italiana coinvolte nello stesso processo di unificazione?"
Sabatini è davvero così ingenuo?
Casula-e lo fa a modo suo-sta mettendo in discussione il mito di fondazione dello stato gestito dai "patroni" della borghesia compradora sarda. Mettere in discussione quel mito significa mettere in discussione la legittimità del predominio della borghesia compradora sarda sul resto della società isolana.
Altri-fra cui io-l'hanno fatto in altro modo.
Casula dimostra che il mito dello stato "unitario", nato dal "idem sentire", è appunto un mito.
Come la scemenza dell'italiano "lingua nazionale".
Lo stato italiano nasce dall'espansionismo del Regno di Sardegna: la cosa in sé è talmente innocua che, quando frequentavo le elementari, non ci insegnavano altro.
Ma erano altri tempi: in questi giorni di maggio ci facevano cantare "Il Piave mormorò".
Oggi il militarismo sanguinolento risorgimental-fascista non è più di moda. Oggi il "risorgimento" bisogna confezionarlo diversamente: l'idem sentire, appunto, che ci propone Sabatini.
Il problema è che il mio sentire non è affatto idem con quello di Sabatini! E non sono solo.
Ammetto che il lavoro di Casula sarebbe patetico se, come appunto lui fa notare, voi Italiani non foste tutti concordi nel cancellare-cercare di cancellare-dalla memoria collettiva la verità banale che anche l'Italia è nata dalla violenza e dalla guerra e dalla foia latifondista di una schiatta di montanari (cito indirettamente Braudel), oltre che dalle smanie ancora meno nobili di alcuni intellettuali e notabili padani o limitrofi: Dio ci salvi dagli idealisti!
A me personalmente il lavoro di Casula è servito a ribadire l'inutilità della tecnologia sociale chiamata "stato" per il raggiungimento dell'emancipazione dei popoli.
Eppure devo ammettere che, nel momento in cui il nemico-lo statalismo e gli statalisti-si aggrappano istericamente alle proprie fandonie, il semplice ricordare come stanno le cose va molto oltre l'espressione formale ed estetica.
Casula grida che il "Re è nudo!"
È vero-verissimo!-che Catalogna, Scozia e tante altre entità "nazionali" formalmente riconosciute sono lì a ricordarci che quello che conta sono altre cose: i rapporti di forza reali (come ai tempi del Regno di Sardegna), ma ricordare che formalmente l'Italia nasce dalla Sardegna può dare fastidio solo a voi.
E infatti vi da fastidio.
È un po'come lo scudetto del Cagliari: non è servito a niente, ma ci ha fatto capire che si può anche vincere.
Ricordo il commento rabbioso di un giornalista milanese: "Il Cagliari ha vinto perché non c'era niente di meglio."
Infatti quell'anno l'Italia è arrivata seconda, dietro il Brasile-vi ricordate?-ai campionati mondiali del Messico.
Futilità, è chiaro, ma se vi fa rabbia, beh, ne valeva la pena!
dal prof Francesco Cesare Casula
RispondiEliminaCaro Roberto, ho letto il tuo “pezzo” sulla “dottrina della statualità” e non ti dico quanto piacere mi ha fatto, non tanto perché ne sono l’autore, quanto perché mi accorgo che comincia ad entrare nelle menti. Ormai essa è fuori di me, e vive di vita sua. Credo che col tempo sarà accettata comunemente, tranne, ovviamente, dai “resistenziali, tipo Sabattini.
Gianfranco Sabattini, nel 1600, al tempo di Galileo Galilei, avrebbe detto: ma a che serve sapere che non è il sole a girare attorno alla terra ma la terra a girare intorno al sole? Al contadino interessa veder sorgere il sole, vederlo salire nel cielo, vederlo riscaldare i prodotti, e, infine, vederlo tramontare invitandolo ad andare a letto (“Sorge il mattino in compagnia dell’alba dinanzi al sol…”). Tutto il resto è indifferente. La “dottrina della statualità” è una scienza, facilmente controllabile ed adattabile a tutti i casi del mondo. Quale sia il suo tornaconto non fa parte del suo intento: questo, dipende da chi la usa accettandola o la rifiuta misconoscendola. L’applichiamo al caso Sardegna-Italia perché ne siamo dentro, in veste di ingannati.
L’Italia è indubbiamente uno Stato al quale tutti noi facciamo riferimento; quindi, s’insegni e s’impari -non solo a scuola ma in tutto l’apparato mediatico nazionale- quando è nato, dove è nato e qual è la storia di questo nostro Stato. Servirà a noi sardi l’assunto? Secondo me, sì: a livello sociale (pensa che ricaduta ne avremmo se tutti gli italiani imparassero che centocinquant’anni fa erano tutti sardi, e che il sardo era la prima lingua del loro Stato!), a livello politico (è un cardine del preambolo del nuovo Statuto di autonomia); a livello economico (e questo lo lascio agli economisti perché “… ad ognunu s’arti sua”).
Se, invece, Sabattini, che è un economista, crede insieme a suoi seguaci che la “dottrina della statualità” sia solo un vezzo estetico, solo una questione nominale, possiamo continuare a sguazzare, come abbiamo sempre fatto, nella nostra brodaglia isolana…
Con stima, tuo F. Cesare Casula
Il Prof. Sabattini, docente ‘ordinario’, penso, di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Cagliari, è uno dei pochi accademici che scende in polemica con Francesco Cesare Casula. Un altro, di cui ho certezza, è un semiologo Per ora non risulta, alla mia scarsa informazione, che un suo collega, storico, abbia fatto altrettanto; se ciò non fosse, pregherei chi avesse riscontri diversi di darmene informazione.
RispondiEliminaLa cosa è di per sé indicativa e può essere la spia di due atteggiamenti mentali da parte degli storici ‘patentati’: non avere argomenti validi da contrapporre o ritenere le argomentazioni del Casula destituite di ogni fondamento storico e giuridico e, di conseguenza, non degne della loro attenzione.
Mi sentirei di escludere la seconda ipotesi per poter accreditare ai non specialisti stretti, pur sempre docenti universitari, una patente culturale all’altezza del ruolo che ricoprono. Altrimenti non si capirebbe perché dovrebbero perdere il loro preziosissimo tempo dietro “i deliri” o le considerazioni puramente “estetizzanti” d F.C. Casula.
Ci deve essere qualche cosa che disturba l’Accademia, nel suo complesso, nella ‘Teoria della Statualità’, in caso contrario, in riferimento all’articolo di Sabattini, non si capisce la sua domanda: “Cui prodest la narrazione del processo di unificazione istituzionale e nazionalitaria del moderno stato italiano secondo la prospettiva della ‘dottrina della statualità’?” Segue alla domanda una ‘lenzuolata’ da cui si dovrebbe capire a chi giovi tale ‘dottrina’, per chi, in definitiva, lavori il Professor Casula. Devo confessare che la risposta alla domanda, almeno per me, è rimasta inevasa.
Ahimè, devo ammettere la mia ignoranza in semiologia, economia e anche in storia, non ho fatto studi accademici in quelle discipline; ho un pezzo di carta dove c’è scritto che sono un geologo ma non ho mai esercitato quella professione. Mi sono scavato la mia piccola nicchia nel formaggio della pubblica amministrazione e ho fatto l’insegnante, gira, gira, per quarant’anni. Mi è piaciuto e ho cercato di farlo nel modo migliore possibile, insegnando ai giovani a guardare dietro la facciata delle cose per coglierne gli aspetti meno appariscenti o che talvolta si vogliono nascondere.
Per non divagare ulteriormente, una cosa mi sento di dire nella mia ignoranza: i concetti espressi da Francesco Cesare Casula mi sono subito apparsi chiari e facilmente sottoponibili a riflessioni critiche, la ‘grigliata’ di Sabattini mi puzza di ‘bruciato’, forse perché lontana da una immediata comprensione. Colpa mia, ben inteso, dovrò tornarci sopra.