venerdì 12 febbraio 2010
Le lingue frammiste nei documenti alla corte di Qatna
di Atropa
“Fortifica la città, fino al mio arrivo [..] preparati alla fine”. E´ questo uno stralcio dalla lettera che Hattuni, generale Ittita, manda al Re di Qatna, la città amorrita URUQa-ṭà-na, qualche anno prima della distruzione del 1340 a.C. Una minaccia, sostiene l´archeologo Peter Pfälzner che ha rinvenuto il documento nel 2002; l´avvertimento di un amico è l´opinione di Thomas Richter, l'epigrafista che l'ha decifrato. Uno dei pochi, nel mondo, in grado di leggere il mix accadico/urrita delle tavolette cuneiformi di Qatna.
Questo e tantissimo altro nella splendida mostra allestita a Stoccarda fino al 14 Marzo 2010: Schätze des Alten Syrien - Die Entdeckung des Königreiches Qatna (1). 450 oggetti esposti di cui 400 mostrati per la prima volta e provenienti dalla tomba reale scoperta dal team siro-tedesco nel 2002, intatta ed a 8 metri di profondità. E´del settembre 2009 la scoperta di una seconda camera sepolcrale risalente al 1600-1400 a.C. Il palazzo reale di Qatna, eretto agli inizi del II millennio a.C., con i suoi 18000 m2 ed una hall di 1296 m², non ha uguali nel vicino oriente dell'epoca.
Nella lettera di Itur-Asdu (1775 a.C.) si legge: ”10 o 15 re seguono Hammurabi di Babilonia, altrettanti seguono Rim-Sin di Larsa, Ibalpiel di Eshnunna e Amutpiel di Qatna”, una testimonianza della potenza della città. La mostra di Stoccarda è corredata dei notevoli plastici, a firma italiana, che letteralmente ci riportano indietro nel tempo, seguendo l´evoluzione ed il decadimento di quella che fu una delle città più potenti del vicino oriente nel II millennio a. C. Tre squadre con 90 archeologi (Università di Tübingen, Università di Udine, e Direzione Generale delle Antichità e dei Musei di Siria) impegnate dal 1999 fino al 2018 a svelare i segreti di Qatna.
Le novità più importanti riguardano il culto dei morti e la presenza costante di un dialetto urrita, frammisto all'accadico, nei documenti di corte. Le inserzioni urrite nel comune accadico dell'epoca, non si trovano, ad esempio, nell´archivio di Mari distrutto nel 1750 a.C. da Hammurabi. I testi di Qatna testimoniano una vita di palazzo estremamente ricca e sviluppata, ma ancora non è chiaro quale ruolo giocasse l´elemento urrita(2): era sicuramente così pregnante da influenzare sistematicamente il linguaggio della corrispondenza ufficiale di corte (3). Uno dei testi è un fantasmagorico elenco di oggetti personali della regina, tra cui 200 coltelli d´oro puro e posate in lapislazzuli.
Alla cripta scoperta nel 2002 si arrivava dalla hall del palazzo, percorrendo un corridoio sotterraneo lungo 40 metri. A guardia della cripta due grandi statue di basalto, avvolte in drappi reali e molto più antiche della tomba stessa: sono il bellissimo logo della esibizione e introducono nel mondo degli antenati dei re di Qatna. Resti di offerte rituali sono ancora ai loro piedi. Nella tomba stessa, la testimonianza di un culto dei morti descritto nei testi siro-palestinesi dell'etá del bronzo, ma di cui solo ora, con gli scavi di Qatna, si ha una testimonianza diretta: il pranzo rituale assieme agli antenati morti, ad ogni luna nuova ed al plenilunio. Nelle tavolette la descrizione di un aldilà oscuro e triste, allietato solo dalle visite dei vivi. Gli oggetti d´oro, purissimo, trovati nella cripta sono di una finezza e di una accuratezza incomparabile. Il mio preferito è la cosiddetta mano cerimoniale, cava all'interno per inserirvi un supporto, con cui verosimilmente si reggeva un piatto fondo d´oro per l´offerta di cibo cerimoniale ai defunti, ovviamente di stirpe reale.
Nel 1350 Qatna è un satellite del potente regno urrita di Mitanni, ma il vento sta cambiando rapidamente. Dopo l´avvertimento del generale ittita, il re Idanda ordina la produzione di oltre 100.000 mattoni di argilla per fortificare i più importanti distretti di Qatna. Nel corso di un attacco o di una rivolta di palazzo Akizzi depone Idanda e prende il potere. Il grande re ittita Suppiluliuma I sta respingendo verso est gli urriti di Mitanni e sottrae dalla loro influenza, una dopo l´altra, le splendide città della Siria del nord. Il re di Ugarit, Niqmaddu II, firma un accordo di vassallaggio con Hatti. Commettendo un tragico errore strategico, Akizzi di Qatna si allea invece con l´Egitto, i cui regnanti attraversano però un periodo di indifferenza verso i loro alleati e vassalli orientali: è l´epoca della lunga malattia e morte di Amenophis III e dell'ascesa al trono di Akhenaten, impegnato nella sua personalissima rivoluzione religiosa.
Tra le oltre 350 lettere dell'archivio egizio di Amarna, tutte in accadico, si trovano anche quelle di Akizzi al faraone: “[..] al figlio del Sole, mio signore, cosí parla il tuo servo Akizzi: sette volte mi inchino ai piedi del mio signore. Mio signore, in queste terre io ho paura”. Ma il faraone non risponde all'appello di Akizzi, come non risponde a quello degli altri regnanti (4); gli Ittiti radono al suolo Qatna nel 1340 a.C.
(1) Tesori dell'antica Siria: la scoperta del regno di Qatna. http://www.landesmuseum-stuttgart.de/qatna/
http://www.qatna.org/; http://www.uni-tuebingen.de/uni/qvo/highlights/h24-qatna-02.html
(2) Sul discusso elemento urrita nella Siria e Palestina nella età del bronzo si veda.: Peter Craig, UGARIT, CANAAN, AND ISRAEL, Tyndale Bulletin 34 (1983) 145-167.
(3) Was die Schrifttafeln vom Untergang einer Stadt berichten, von B. Seewald, 21. September 2009, WELT-ON-LINE, Altorientalist Thomas Richter über Qatna
(4) Famosissima la lettera di Belit-Nesheti, un anomalo caso di regnante donna in Canaan-forse a Beth Shemesh-riportante gli attacchi degli Habiru: “Al re mio signore e mio sole: queste sono le parole della tua serva, Belit-nesheti. Mi getto ai piedi del re per sette volte. Devo dire al mio re che questo paese sta subendo atti ostili e che la terra del re, il mio signore, sarà perduta per sempre”
Mi perdoni Dr Losi, ma a parte la bellezza della mostra e la legittima pubblicità che ne fa penso che bisognerebbe chiarire alcuni aspetti che per un profano forse non sono così chiari.
RispondiEliminaChiunque abbia studiato un po di Storia, Epigrafia e Archeologia del Vicino Oriente Antico all'Università (essendomi laureato alla Sapienza di Roma ho avuto questa fortuna a differenza che in Sardegna) sa che nel Vicino Oriente, soprattutto quello del II millennio a.C. con la sua particolare situazione storica, quasi tutti i documenti sono scritti in varie lingue e contengono al loro interno espressioni influenzate da altre lingue (soprattutto quella Hurrita che si impose in una serie di campi "tecnici"). Tutte le varie cancellerie avevano frequenti contatti e subivano molte influenze reciproche (Hittiti, che normalmente da loro utilizzavano svariate lingue nei loro documenti, Hurriti di Mitanni, Egizi, Babilonia, Assiria, Elam, etc..). Questo fenomeno è motivato dalla particolare situazione storica, molto ben analizzata ad esempio da Mario Liverani. Ma tutto ciò fa parte di un contesto che è quello del Vicino e Medio Oriente, per l'appunto, che è molto specifico ed affatto differente dalla situazione nuragica. Appena andiamo un pò più a occidente all'epoca subito notiamo una differenza sostanziale, evidente nella civiltà micenea.
L'elemento principale - a mio avviso - di differenza è che quelle società vicino orientali avevano tutte una struttura politica di un certo tipo - statale innanzi tutto - che permetteva al loro interno la presenza di una "cancelleria" e di una scuola scribale. Ma in Sardegna l'evidenza di una struttura di questo tipo non c'è, almeno per il momento, e l'esistenza di una complessa scuola scribale che poi usasse differenti alfabeti, lingue o tradizioni non è motivata da una situazione contestuale.
Solo riflessioni, come sempre.
Senza malizia.
Gentile dr. Castangia
RispondiEliminaNon so dirle, nei dettagli, perché Thomas Richter definisca i documenti di Qatna eccezionali o comunque molto particolari dal punto di vista del mix accadico/urrita.Da quel che ho capito al museo e dalle varie interviste che ho letto (purtroppo spesso ripetitive) credo che l´elemento urrita sia qua piú forte che in altri documenti della stessa area e, soprattutto, che il dialetto urrita di Qatna sia tale per cui molte parole siano ancora incomprensibili (erano scritte tal quale nelle traduzioni al museo). Urrita sí, ma una novitá linguistica e anche inusualmente integrato: cioé questo mix é quasi una vera e propria nuova lingua, normalmente usata nei documenti di corte. Peró non fu usata, ad esempio, nelle lettere di Amarna al faraone da parte di Akizzi, re di Qatna.
Quanto al legame con la Sardegna, noterá che io non l´ho fatto, per caritá mi guarderei bene, sebbene ritenga ormai il legame tra siria-palestina e la vostra isola un dato pressoché certo. Come ho detto in un commento la mostra mi ha colpito molto e anche questo mix linguistico, per la disinvoltura con cui era utilizzato. Lo prenda come un piccolo reportage e, se le piacciono queste cose, ci faccia un salto: ne vale davvero la pena.
Caro dott.Castangia, leggo ora di fretta le sue considerazioni. Le risponderò oggi stesso se potrò oppure domani.
RispondiElimina@giandaniele,
RispondiEliminanon si può prendere come prova a carico, l'ignoranza nella cui stiamo della storia della Sardegna antica.
Il fatto che esista un popolo che
nel secondo millenio a.C abbia
adoperato un codice scrittorio
contenente più lingue, mentre
era ritenuto impossibile (Pittau),
avvalora la tesi che vede nei
cinquanta e più documenti finora
scoperti in Sardegna, l'elaborazione di un codice scrittorio con più alfabeti, d'altonde se ho capito bene , questo vuol dire protocananeo.
Il post della signora Losi risponde
anche a chi si domandava come fosse possibile tanto significato
in uno spazio così esiguo.
@castangia
RispondiEliminaMi scuserà l'intromissione,ma devo dirle che, in Sardegna sono presenti forme scrittorie assai arcaiche,come l'Aleph reso in forma di testa di toro,(Sos furrighesos,Is Loccis Santus),che denota il passaggio verso una forma di scrittura vera e propria,a causa della "stilizzazione" della protome disegnata.Essa infatti,nei casi citati è riportata nella forma classica in cui la troviamo nei vari alfabeti protocananeo e fenicio arcaico,gia più prossima alla sua forma finale in quegli alfabeti,cosa rilevabile, volendo,anche nel protosinaitico.
Eppure,rendere il segno con l'intiero animale è cosa rilevata e attestata,nelle forme più arcaiche di alfabeto proto-semitico(vedi tavolette di Tell Brak).La lettera aleph,in particolare ha un significato religioso complesso.Aleph in varie lingue vuol dire BUE oppure TORO.
Già qui,lei comprende,che la lettera rappresenta il simbolo,e il simbolo la lettera(in pratica sono la stessa cosa).
Dal punto di vista religioso(nell'ebraismo si conserva tutto il significato), l'aleph rappresenta l'unione dei 2 opposti ed è la lettera che rappresenta l'unità Assoluta del Principio creatore.Essa è anche NUMERO,il primo numero (UNO = l'unità), base e chiave di ogni numero, di ogni calcolo. L'unità del popolo di Dio. L'unità di Dio,egli infatti è uno.L'aleph è pertanto strettamente connessa con Dio,tanto che essa è,in qualità di simbolo e dei suoi significati Dio stesso.
Sempre nell'ebraismo,l'Aleph,(א ) si può osservare dal suo disegno,è come risultante di due Yod messe una sopra e una sotto a una Vav trasversale, ovvero ,due 10 intorno a un 6 (i giorni della Creazione), così offrendo alla lettera Aleph anche il valore ghematrico di 26, che è lo stesso del nome del tetragramma sacro di Dio YHVH (10+5+6+5).
Bene si intuisce che nella veste religiosa ebraica è ancora racchiuso tutto il significato religioso di Dio dell'Aleph.
Di sicuro però,questo Aleph in origine era reso dal bue-toro, nella sua immaggine,o anche dalla sua forma protomica.
Forma protomica a carattere religioso di cui la Sardegna è piena.Solo questo è già tanto in comune con i popoli orientali.
Certo,mentre culturalmente,quà non vi è un vero continuum culturale,e di questo me ne rendo conto,ciò non esclude la presenza di tracce assai antiche in Sardegna,con substrato semitico.
Andrea Brundu
Brundu nel brassard di Is Locci santus non c'è, come sostiene lei, una lettera aleph molto arcaica ancora in forma di testa di toro, ma bensì c'è disegnato UN toro, tutto. Compresa la schiena, le gambe anteiori, le gambe posteriori, e forse anche la coda. Se per lei queste sono differenze minime, dovremo inserire nei più antichi alfabeti del mondo una nuova lettera: la aleph a sembianze di toro completo, non più solo la testa: un'autentica rivoluzione epigrafica. Secondo il suo ragionamento, che è quello di Sanna poi, anche nel disegno di un grattacielo potreste leggere una lettera bet, come no, dal momento che bet in antico indicava (e in qualche modo raffigurava geometricamente) proprio la casa..magari un attico con veranda vista mare. L'epigrafia, a parer mio, non si può fare da autodidatta. Tantomeno sulla scorta di Sardoa Grammata.
RispondiElimina@Brundu
RispondiEliminaNon credo che il suo commento sia molto pertinente con la questione, né con la mia opinione che ho espresso più volte:
1. Non credo che in Sardegna nell'età del Bronzo sia impossibile che qualcuno abbia inciso dei caratteri su qualche supporto - ricordiamoci che ce ne sono di documentati e tranquillamente accettati dalla cattiva "archeologia ufficiale" come quelli sui lingotti a pelle di bue - e abbia pure usato dei caratteri per esprimere qualcosa, ma qui il discorso è se la situazione è paragonabile o no a quella del Vicino Oriente per quanto riguarda la supposta "commistione" di segni di varia origine.
2. Questo ragionamento sulla protome autorizzerebbe chiunque in tutto il mondo a legare il disegno di una protome taurina all'ambiente scribale levantino del II millennio! La qual cosa ovviamente non è eticamente né scientificamente corretta, perché si basa su una semplice analogia, che di per sé non dimostra nulla.
Ok Losi, ci sto. Per la testa di toro (escludendo le zampe e il resto), per l'omino e pure per il pesce. Togliamo di mezzo il fantomatico VI-N ma i conti non tornano ancora. Il sole dove lo mettiamo? In quale alfabeto? Nel sito in cui mi indirizza non c'è traccia di sole. Sarà stata una giornata nuvolosa?
RispondiElimina(ha visto? l'ho fatta contenta e mi son rilanciato nella mischia ;-) ..poi ho fatto contento anche Pintore e mi sono "accreditato")
@phoenix
RispondiEliminaSalve phoenix,quanto dice non è del tutto corretto.
E' parere unanime degli studiosi che i segni delle tavolette di Tell Brak ,che rappresentano una capra e una pecora, accompagnati ciascuno con il numero 10,siano le prime rappresentazioni di scrittura proto-semitica, dal momento che essi mostrano l'animale intero, e non esclusivamente la testa.
Inoltre le cito:
"L’ORIGINE DELL'ALFABETO
Già i più antichi studiosi sostenevano l’esistenza di una corrispondenza tra il nome delle
lettere e il loro valore fonetico. Alpha, perciò, corrisponde ad “a”, beta a “b”, ecc. Ma Alfred
Kallir, contro l’opinione generale, sostiene anche la corrispondenza tra gli oggetti ai quali i nomi delle lettere si riferiscono e i disegni dei simboli alfabetici […].
Ora, Aleph in lingua semitica significa originariamente “bue”. Ma come il segno
corrispondente “A”(...) possa far venire in mente un bue,
nemmeno la fantasia più sbrigliata potrebbe scoprirlo. Tuttavia, poiché la scrittura
alfabetica è stata preceduta da segni pittografici (le cui origini affondano nella notte dei
tempi), possiamo supporre che risalendo alle pitture paleolitiche e poi ai geroglifici si possa riscoprire una traccia utile per il nostro problema. Così è infatti. DALLA RAPPRESENTAZIONE NATURALISTICA E COMPLETA DEL BUE E DEL TORO nelle grotte paleolitiche e poi nei geroglifici, passiamo alla rappresentazione, sempre più stilizzata, della sola testa. Tra
le varie serie rintracciate da Kallir, particolarmente significativa è la seguente, tratta da segni di scrittura dell’isola di Creta:...........
Ora scopriamo nella nostra “A” il profilo stilizzato del bue."
Carlo Sini, I segni dell’anima, Laterza, Roma-Bari, 1989, p.p. 150-151.
Alfred Kallir, Sign and design. The psychogenetic source of the alphabet, Latimer, Trend
and Co., Plymouth, 1961. Tr. it.: Segno e disegno: psicogenesi dell'alfabeto, Spirali/Vel, Milano, 1994."
"SEGNO E IMMAGINE
Ciò che agisce come segno (veicolo segnico), ciò cui il segno si riferisce (designatum),
l’effetto su di un interprete (interpretante), non è arduo recuperarlo nell’immagine -opera
d’arte, una volta che questa si consideri, non già nella sua essenza o nel suo processo
creativo, ma nella recezione che se ne fa nel mondo o, più esattamente, nella coscienza
individuale. Neppure la pittura astratta, infatti, può dirsi mancare del tutto di designatum:
anzi si pone naturalmente come veicolo segnico a un interpretante, proprio per
l’indeterminatezza oggettiva e la carenza di un designatum manifesto; con che viene a
ricostruirsi sotto la triangolazione specifica del segno. Ed eliminato l’apparente scoglio della pittura astratta, è chiaro che tutte le altre opere d’arte passano agevolmente sotto la
categoria del segno […]. Ma si potrebbe sostenere l’inverso, cioè che ogni segno è immagine […].
L’origine del segno, come dell’immagine, andrà cercata alla radice stessa del conoscere,
appunto perché il divaricarsi dell’immagine come segno dall’immagine come immagine
induce un ceppo comune, una disponibilità originaria, e uno stadio precontestuale della
conoscenza […].
Dal ceppo originario dell’immagine divergono ormai i due rami: il primo, che nell’immagine stessa trova il veicolo per trasmettere e comunicare un nucleo di sapere
(conoscenza), si svilupperà nel linguaggio e nella scrittura, agevolando l’ascesa al concetto. Il secondo ramo, che è quello dell’immagine vera e propria, svilupperà la diretta
specularità dell’immagine nel senso di una figuratività che da conformazione s’innalza a
forma: il suo punto di arrivo sarà dunque la realtà pura dell’arte […]. Segno e immagine
sono dunque all’origine la stessa cosa che la coscienza rivolge in due direzioni diverse."
Cesare Brandi, Segno e immagine, Aesthetica, Palermo, 1960-1996, pp. 9-14
Andrea Brundu
@Aba Losi,
RispondiEliminacredevo di ricordare che il sig.Sanna aveva detto che il proto
cananeo era di per se un misto alfabetico, e comunque mi riferivo a Tzricotu, per Qatna ho parlato
di lingue. Il parallelo l'ho fatto
perché nei documenti sardi il sig.
Sanna c'attesta parole di origini
semitiche quanto indoeuropee, cosa
ritenuta impossibile.
Però lo confessa è stata un'estrapolazione esagerata.
In ciò che concerne le ammirabili
miniaturizzazioni, pensavo al ciondolo con i capridi che ho ritenuto uguale per scala con il
gioiello delle due anatre...
Mettere in 2 cm2 due capre, un
albero e cingere il tutto con un cordoncino avvolto, beh, mi sembrava una prodezza, pari a
quella che ha prodotto i sigilli di
Tzricotu. Ma siccome non sono certo
delle dimenzioni...
E si, mi rendo conto che sono stato sbrigativo.
Su Pallosu non so il perché, ma credo che lei voglia da me sentirsi dire che c'è analogia con almeno un carattere dell'ostrakon di non ricordo dove (Bet-Shean forse). In realtà, avederlo così senza troppa profondità, a me sembrerebbe un anello medievale, se non altro per esclusione avendo conoscenza di anelli di età protostorica, di età arcaica e di età classica. Non mi pare che nell'edito sul nuragico si conosca qualcosa di simile mentre in ambito medievale ce ne sono parecchi (ma io non ne capisco granché neanche di reperti medievali). Può anche esserci una certa somiglianza di segni, ma non basta. Non basta la somiglianza e soptrattutto non basta la somiglianza di uno solo di questi segni, gli altri dove li collochiamo? Per quanto riguarda le argomentazioni di Brundu, ne deduco che la rappresentazione di aleph in forma di toro "completo" dovrebbe pertanto essere una delle più antiche se non la più antica testimonianza di tale tipo di scrittura, al mondo. Un primato insomma. E quando i primati sono troppi qualcosa non quadra. Troppi "unica" spesso nascondono una scarsa ricerca di confronti, anche in ambito extra-insulare. Infine se anche dovessi ammettere che esistono in Sardegna iscrizioni semitiche così antiche, non vedo perché dovrei pensare che queste siano nuragiche, dal momento che non sono in nessun caso presenti su reperti chiaramente attribuibili alla cultura nuragica. Provengono dalla Sardegna, esattamente come la sfinge di età tolemaica di Cagliari, come le statue di Augusto, come la ceramica fenicia come il bucchero etrusco, come i tripodi e i lingotti ciprioti...come un sacco di altri reperti insomma. Che non sono attribuibili al sostrato isolano locale sardo del Bronzo e del Ferro(che per comodità possiamo chiamare nuragico).
RispondiEliminaRimane sempre valido l'invito a contattare gli esperti titolati, i quali potranno confermare, lasciare in sospeso o smentire tali attribuzioni.
Se volete dei nomi, ve li consiglierò.
Saluti
(I)
RispondiEliminaBellissima risposta Batsumaru. Solo una cosa che lei non sa: sempre Guido Frongia mi disse di non avere fretta, di procurarmi più prove possibili perché a poche non avrebbero creduto. Poi ci avrebbe pensato lui sia per l'articolo in inglese sia per una rivista internazionale (tramite Sabatino Moscati suo carissimo amico). Questo alcuni anni fa; e se Lei mi fornisse il suo indirizzo potrei mostrarle la nostra corrispondenza in proposito). Purtroppo le cose sono andate come sono andate e abbiamo perso in pochissimo tempo l'uno e l'altro.
Ma io, mi creda, i miei passini ulteriori per le mie gambette li ho fatti e mi sono 'attrezzato'. Ho già detto in questo Blog che forse (dico forse, non dipende da me) ci sarà entro quest'anno un accoglimento e un pronunciamento in una rivista specializzata (edizioni Gallimard) di lingue orientali. Lo devo ripetere? Comunque per 'vederci chiaro' non c'è solo bisogno di un articolo a favore o contro in una rivista specializzata, c'è bisogno anche dei suoi occhi. E, permetta che lo dica in tutta franchezza, vedo che li usa (e li sgrana!) davanti alle amenità (a dir poco) di Zaru. Davanti al mio articolo di risposta, una risposta credo abbastanza chiara (non dico per lei convincente)non li ha neanche aperti. Ed è rimasto freddo, più freddo del ghiaccio. Quando si ha un minimo di sensibilità certe differenze nel comportamento di chi desidera quella che si dice la 'verità' e non altro,se non lasciano una ferita. un po' di amarezza e tristezza la lasciano.
Prima di terminare le voglio raccontare del nostro filosofo di Villaurbana, il positivista A.Zucca, che lei forse conoscerà. Un grande pensatore anche se, forse, non grandissimo. Quanto ha cercato di farsi dare il bollo di riconoscimento da questo o da quello! Anche da B.Croce che lo snobbava come lo snobbava. Dal momento che, circa venti anni fa, ho cercato personalmente di capirci qualcosa su ciò che ha scritto, ho letto anche le sue lettere (che si trovano nella donazione della biblioteca di Oristano). Una mortificazione per il poveruomo che però mi è sembrato patetico nella sua insistenza a cercare il riconoscimento 'glorioso'. Sa che cosa le dico? Che per me A.Zucca è un grande, un grande davvero. E della supponenza di Benedetto Croce (per altro molto nota) me ne frego altamente. Durante una conferenza -dibattito sul detto studioso, avvenuta qualche anno dopo, ho visto che non ero il solo a pensarla così.
RispondiEliminaCerto i tempi erano diversi dai nostri e oggi ci sono forse, dico forse, garanzie di maggiore serenità nei giudizi, ma lei non deve scordare che quello che io sostengo è al di fuori dei 'paletti', quasi incredibile se non si vede ben bene tutto e tutto si tocca con mano. Le dirò di più: nessuno mai nella storia della scrittura ha scritto in modo così originale e impossibile da credere come gli scribi nuragici . Solo chi ha letto bene il mio volume su Glozel può capire quello che le dico in questo momento. Se lo immagina uno studioso francese, uno di quella 'Accademia che ha cercato di affossare dei documenti autenticissimi da quasi cent'anni, quale risposta potrà dare! Ho raccontato a quale stratagemma sono ricorso per parlarne nella facoltà di lettere ad Ain En Provence! O per restare in casa nostra, mi sa dire, a proposito della Stele nuragica di Nora, giudicata fenicia con presunzione di pietra tombale dopo settanta anni di martellamento in una stessa direzione, quale giudizio potrà dare uno che legge che nel documento c'è il 'santo' nuragico Lefisy ovvero Efisy?
Con ciò non voglio mettere le mani avanti: voglio solo dire che l'impresa dell'assenso ( se verrà e quando verrà) non sarà facilissima; ché non vado a proporre se in Sardegna la cultura del vaso campaniforme arrivi da est o da ovest. Sto solo proponendo una 'cosina' come una rivoluzione totale di una certa storia dell'età del bronzo (e non solo) che riguarda la Sardegna e l'intero bacino del Mediterraneo. Sarei un folle se non pensassi che solo un folle può sostenere tesi così ardite. Ma non penso di esserlo. Lei dirà: lasci fare ai documenti a cui tanto si affida. Giusto. Se però sui documenti, anche esaminati da superdottissimi e superpreparati, dovesse sorgere una 'disputatio medioevalis' come in questo Blog (quella che vede anche lei tra i protagonisti) sarei fritto. Fritto davvero.
Intanto però prima che i bolli arrivino o non arrivino e prima della 'frittura', facciamo una cosa semplicissima: chiediamo la Commissione proposta da Gianfranco per appurare 'semplicemente' se la documentazione nuragica esiste, se davvero le tavolette sono epigrafiche, se tutto il resto di epigrafico esiste o è una mia invenzione. Basta così poco, come basta così poco, per zittire gli scettici (o i maldicenti), far esporre (anche con una semplice mostra fotografica) contemporaneamente la scrittura ( i segni) della tavoletta A1 di Tzricotu, della barchetta di Teti, del coccio in caratteri ugaritici di Villanovafranca, del vaso di La Prisgiona di Arzachena, del sigillo di S.Imbenia, del 'brassard di is Locci Santus, dei due cocci di Orani, della la Stele di Nora, del frammento di stele di Nora, della la scritta del concio di Bosa, della la pietra di Zeddiani, della la pietra di Perdu Pes di Paulilatino, della pietra Pitzinnu di Abbasanta, della pietra di Aiga 1 di Abbasanta, della pietra di Aiga 2 di Abbasanta... Devo continuare?