di Francesco Cesare Casula
Nella famosa poesia del Belli, il marchesino Eufemio si affannava a dimostrare «con ferma voce e signoril coraggio…che paggio e maggio scrivonsi con due g come cugino».
Con altrettanto «signoril coraggio», Tommaso Padoa-Schioppa (anche lui nobile) si è affannato a dimostrare nel fondo del Corriere della Sera di oggi, domenica 20 settembre, che la Nazione è differente dallo Stato (ha scoperto l’acqua calda!), e che, nel 2011, si dovrebbe celebrare lo Stato, nato secondo lui nel 1861, e non la Nazione italiana che preesisterebbe allo Stato fin dai tempi di Dante. E tutto questo – scrive – l’ha imparato a scuola.
Se questa bêtise me l’avesse detta un mio allievo all’Università, l’avrei bocciato. L’Italia cantata dai pensatori peninsulari, dal Machiavelli in giù, o dai poeti da Dante in giù, non è l’Italia nazionale ma l’Italia statuale che poi, nel Risorgimento, si realizza non per opera degli Stati italiani preunitari ma dello Stato sardo che li ingloba.
Se si desse retta all’assunto di Tommaso Padoa-Schioppa, Dante Alighieri non sarebbe stato un suddito della Repubblica di Firenze in esilio a Ravenna, presso Guido Novello da Polenta, ma un italiano al confino, perché, tanto, sia qui che là l’idem era il medesimo; e Cristoforo Colombo, genovese, avrebbe fraternizzato coi concorrenti Veneziani suoi contemporanei in quanto italiani come lui; e Giacomo Leopardi, papalino, sarebbe andato a Pisa, nel Granducato di Toscana, a scrivere “A Silvia”, senza esibire il passaporto (invece, lo esibì), perché considerato italiano in terra di italiani (non parliamo dei Sardi giudicali del Duecento o dei Siciliani spagnolizzati del Cinquecento accomunati ai Laziali, ai Lombardi, ai Romagnoli dallo stesso idem nazionale – ovviamente inesistente – nel Dizionario degli Italiani della Treccani!).
La Nazione italiana, cioè l’amalgama di Abruzzesi, Calabresi, Campani, Emiliani, Romagnoli, Friulani, Giuliani, Laziali, Liguri, Lombardi, Lucani, Marchigiani, Molisani, Piemontesi, Pugliesi, Sardi, Siciliani, Toscani, Trentini, Alto Atesini, Umbri, Valdostani e Veneti ha inizio coartatamente dopo il 1861 e non si è ancora realizzata (e, forse, se diventeremo una Nazione plurietnica con l’assorbimento delle culture aliene degli immigrati non di realizzerà mai, e cadrà il motto «fatta l’Italia facciamo gli Italiani»). Mi piace ricordare, per esempio. che mia nonna, morta nel 1958, non parlava e non capiva una parola d’italiano, e non sapeva niente della Penisola. Come si può affermare che era italiana?
Ma, adesso, a noi interessa di più la seconda parte dell’articolo. Concordo che fra due anni si debba celebrare lo Stato, ma non lo Stato di Tommaso Padoa Schioppa il quale confonde l’organizzazione interna dello Stato, che reputa malata nel sociale, nell’economia, nella terra, nelle acque, nella cultura, nella scienza e nella religione (vero!), con la personalità dello Stato viva e vitale dal 19 giugno 1324, da quando nacque in Sardegna a Cagliari-Bonaria (e non mi fate ripetere tutta la tiritera).
Il 17 marzo 1861 la Sardegna istituzionale finì di conquistare tutta l’Italia, volente o nolente (non ci fu, allora, la cosiddetta Unità, la quale si raggiunge a parità di condizioni; ma una serie di annessioni fatte dal Regno di Sardegna). Eppure gli Italiani geografici, essendo in maggioranza, hanno rigirato la frittata. Col Grande Inganno hanno stabilito, quella maledetta domenica di marzo, che «lo Stato si chiamerà d’ora in poi Italia, e che Italia vorrà dire Penisola italiana che tutti devono studiare a scuola e riverire nella società».
E noi Sardi, di Nazione sarda, che abbiamo fatto lo Stato con il nostro sangue, il nostro sudore e le nostre miserie, come siamo trattati? Dopo avercela messa in qual posto, col cambio del nome al nostro Stato, non siamo nemmeno inseriti nelle celebrazioni del centocinquantenario della cosiddetta Unità.
Ma, forse, ci sta bene perché siamo una massa di coglioni autocolonizzati e sottomessi.
Uno alla volta...non accalcatevi...c'è vasellina per tutti... - Bomboi Adriano
RispondiEliminaNon che continuare a battere sulla questione che sia stata la “Sardegna istituzionale” a “conquistare tutta l’Italia” ci faccia apparire meno coglioni autocolonizzati e sottomessi...
RispondiEliminaPietro Murru
No signor Murru,ma svelare l'arcano ai sardi e far studiare la storia vera e non un mito,ci toglierebbe quella frustrazione derivante dal non conoscere la nostra storia e di conseguenza la nostra importarnza all'interno del contesto statuale di cui facciamo purtroppo parte.Poi di questa consapevolezza possiamo farne cio' che vogliamo in termini politici,ossia esigere piu' importanza dallo Stato,esigere una vera autonomia,o meglio ancora l'indipendenza.Ma col complesso d'inferiorita' derivante dalla mistificazione della storia,che ci affligge come popolo,inclusa la classe dirigente isolana,il cammino e' in effetti piu' arduo.
RispondiEliminaEgregio Casula,
RispondiEliminacredo Lei sappia benissimo che fino al 1946 votavano in Italia solo i maschi e che ancora negli anni '20 solo chi maschio e sapeva scrivere, lo poteva fare; i Plebisciti del 1860 con cui una ristretta cerchia di borghesi aderiscono allo Stato savoiardo sono un fatto storico; sappiamo pure che a metà '800, una cifra oscillante tra il 2 e il 10 % degli italiani parlava il toscano di Dante. Ma da allora pur artificiosamente e come in tutti gli stati attraverso l'ipocrisia della retorica (laddove c'è una comune organizzazione del territorio si finisce per omologare cose in origine diverse) una nazione in qualche modo si è forgiata nei gusti alimentari, nelle comuni abitudini (pensi a cose grandi e cose minute: dalla secolarizzazione delle masse nel gusti musicali al fatto che queste non vanno più in chiesa e se ne fregano di quel che dice il Papa), al modus vivendi, alla comune lingua ormai parlata dal 98 % degli abitanti, al fatto che tutti esultano (persino i Sudtirolesi) per le vittorie della Nazionale. Molti attribuiscono ciò alla leva o alla televisione, il cui primo araldo è morto pochi giorni orsono. Insomma una nazione c'è o ci sarebbe. Qui sta a vedere perché stiano rinascendo spiriti divisionisti e separatisti, o queruli come nel caso Suo, che lamenta a disdetta del mondo, che ci abbiano cambiato il nome da Regno di Sardegna a Regno d'Italia: mi scusi, ma come avrebbe dovuto chiamarsi, il neo-stato messo su dai Savoia? Lei non pensa che se avessero continuato a chiamarlo "Regno di Sardegna"avrebbero fatto ridere i polli? Le pongo la domanda: Lei crede davvero che nel 1300 la gran parte dei Sardi (che erano schiavizzati dai monaci a lavorare nelle loro terre) stessero meglio di quanto sarebbero stati nei successivi secoli spagnoli e poi italiani? Io non credo che lo pensi, credo che il suo dire sia messo in opera da uno smaccato formalismo. E le chiedo pertanto: perché non si batte (o almeno non si lamenta) perché venga sciolto lo stato della Chiesa, visto che è dimostrata almeno dal 1400, l'inautenticità dell'atto giuridico della sua nascita (donazione di Costantino)?
alberto areddu
premetto che sono ignorante in storia, ma io non capisco quale diritto avesse papa bonifacio nel concedere nel trattato di anagni la licenza di invadere la sardegna. in sardegna non erano presenti degli "stati"? i giudicati mi sembra che fossero riconosciuti tali da altre potenze europee, o no?
RispondiEliminail popolo sardo comunque sia era dominato da re stranieri....e in seguito anche da lecchini sardi.a s'intendi riccardo
Il prof. Casula si basa sulla sua "terza via della storia" ovvero la "dottrina della statualita'",punta il suo sguardo sul "contenente" e non sui "contenuti".In questa prospettiva l'obiettivo e' quello di delineare la nascita,l'evoluzione di uno Stato, in termini "scientifici/giuridici",in questo caso l'evoluzione dell'attuale Repubblica Italiana,poi che il popolo vivesse meglio o peggio o uguale in un'epoca rispetto ad un'altra, non e' quello che si vuole dimostrare,per quanto interessante e importante e non di certo secondario possa essere questo aspetto.
RispondiEliminaIo ho avuto la fortuna,grazie al sig.Pintore di mettermi in contatto col gentilissimo prof.Casula,il quale mi ha donato una copia della "Terza via della storia:il caso Italia",dopo una piacevole chiaccherata.
Il suo e' un modo "nuovo" di affrontare la storia,(scrivo nuovo tra virgolette in quanto pur essendo un approcio che sconvolge i metodi storiografici sino ad ora utilizzati,il libro e'stato pubblicato nel 1997,non proprio ieri),e la sua aspirazione e' quella di vedere portata avanti questa sua intuizione.Per dirla con un esempio molto caro al Casula,la dottrina della statualita' si preoccupa di definire l'automobile(lo Stato, diverso da nazione)e non piu',come si e' sino ad ora fatto,il conducente o i passeggeri dell'auto in questione.
P.s.: ovviamente il discorso e' ben piu' articolato di come l'ho esposto,consiglio vivamente di leggere il libro.
personalmente pur da ignorante ho sempre distinto gli stati dalle nazioni.....
RispondiEliminaanche se giuridicamente fosse corretta l'analisi storica del prof. casula (non sono in grado di confutarla), i personaggi storici coinvolti non sono sardi, non scrivono in sardo-giudicale; da dove dovrebbe nascere l'orgoglio dei sardi?
i sardi nei secoli seguenti sono rimasti passivi e servili. l'isola è stata sfruttata e ancora oggi è sfruttata da altri con il benestare (sorridente) di una buona parte dei suoi stessi abitanti.
riccardo
Riccardo scusi o scusa(se posso darti del tu),col discorso dell'orgoglio lo studio di Casula non ha nulla a che fare,e con me sfondi una porta aperta in tal senso,io non credo che sia motivo di maggior orgoglio tutto il discorso sull'origine della Repubblica Italiana,e' piuttosto un dato storico incontrovertibile che purtroppo viene ignorato,tutto qui.Poi di questo dato storico ognuno ne faccia quello che vuole,esserne orgoglioso o vergognarsene o restare indifferente,non cambia la sostanza.
RispondiEliminaCaro Riccardo,
RispondiEliminaGiuseppe Mulas ha perfettamente ragione. La storia è storia, interpretabile quanto si vuole, ma storia. Piegarla a urgenze ideologiche come ha fatto, per esempio, qualcuno sulla scorta di un libro inventore della coda del cavallo è pericolosissimo. Si sa dove si comincia, non si sa dove si va a parare. Cesare Casula ci offre un coerente racconto di come sono andate le cose. Fa il nostro gioco? Non lo fa? O addirittura smonta nostri teoremi?
Il problema è e resta uno solo: la storia della nascita dell'attuale Repubblica italiana è quella o un'altra ancora da raccontare? La vulgata corrente non regge.
Ad Areddu, libero di sostenere le tesi che vuole, vorrei semplicente chiedere che cosa aggiunge al suo ragionamento l'insultante "queruli come nel sua caso" rivolto al professor Casula.
la storia della nascita dello stato italiano infarcita di patriottismo che studiai a scuola mi ha sempre fatto dubitare (mi ha sempre nauseato).....
RispondiEliminala teoria di casula che conosco superficialmente attraverso alcuni articoli giornalistici mi fa dubitare sul punto d'inizio: il papa quale diritto aveva nel concedere ai re d'aragona la licenza invadendi? i giudicati erano "dominio" del papato?
a s'intendi riccardo
Faccio una deroga al proposito di non voler mai “certare” su questioni dottrinarie. Ognuno è padrone di pensarla come vuole (e ci mancherebbe altro!). In deroga, quindi, al mio proposito, faccio un esempio per semplificare il discorso: se a uno viene lasciata in dote una casetta, magari anche sgangherata, magari costruita da “strangìius” ma divenuta di proprietà della sua famiglia da secoli, e, a un certo punto, viene un prepotente, grande e grosso, che lo mette da parte, occupa la casa e la fa sua, mi domando: ha diritto di lamentarsi la vittima? Può ricorrere con certezza di vittoria alla Giustizia? Ebbene, questa, in sintesi esemplificativa, è la storia dello Stato sardo e di noi sardi nei suoi confronti.
RispondiEliminaPassando all’altro argomento, che lo Stato sardo non è sardo perché retto da non sardi dal 1324 al 1861, vorrei che mi dicesse l’Anonimo (?) che mi contesta, cosa intende per sardi? Chi è nato in Sardegna? Allora io non sono sardo perché son nato a Livorno. Chi abita in Sardegna? Allora non è sardo l’emigrante che da trent’anni abita a Torino. Chi ha il cognome che finisce in “u”? Allora non è sardo il prof. Bolognesi che pure parla e scrive in sardo benissimo. Secondo me è sardo chi si sente sardo, come Gigi Riva. Naturalmente parlo di sardi antropologici e non istituzionali perché, dal 1720 al 1861, erano sardi istituzionali Mazzini, Garibaldi, i re, i ministri e tutti quelli che il Regno di Sardegna inglobò col Risorgimento.
Infine, riguardo alla questione che lo Stato sardo non dev’essere vantato dai sardi (?) perché retto da stranieri. Sappia, il mio interlocutore, che TUTTI gli Stati regnicoli sono stati e sono ancora retti da stranieri: Il Regno di Spagna è retto da Juan Carlos che è un Borbone francese; il Regno Unito di Gran Bretagna è retto da una tedesca che, per vergogna, si è cambiata il cognome in Windsor (lady Diana gliel’ha sempre rinfacciato). E allora?
La squadra del Cagliari, la quale nel suo genere è una istituzione, è guidata da Ranieri livornese e composta per nove decimi da “stranieri”, eppure gli facciamo tifo come cosa nostra.
Alla fine, ringrazio tutti coloro che mi apprezzano o che mi disprezzano. L’importante è che ora, sul tavolo di discussione, si è posto un nuovo elemento: la Statualità sarda. Servirà a migliorarci, non servirà? Dipende da noi. Saluti a tutti.
io anonimo (riccardo serreli)non ho scritto per contestare ma per capire, a quale Giustizia si dovrebbe ricorrere?......
RispondiEliminalo stato sardo secondo la mia modesta opinione non deve essere vantato dai sardi perchè è stato istituito da altri contro i regnanti precedenti sardi (?).....
per me è sardo chi si sente tale, oltre a chi nolente o volente ha un cognome sardo (sangunau!)
a s'intendi riccardo
Con tutto il rispetto, ma quella del Prof. Casuala mi sembra una discussione puramente accademica e in definitiva sterile.
RispondiEliminaMi ricorda tanto le discussioni, in voga in certa accademia sarda, su quale sia la lingua romanza piu' arcaica: discussioni che non hanno aiutato molto a capire i processi di trasformazione, utilizzo, contaminazione della lingua sarda (ancora) viva.
Allo stesso modo, il lavoro del Prof. Casula mi sembra un lavoro dal valore filologico, se vogliamo, ma che non ci porta a capire molto di piu' dei processi sociali, economici e culturali, e tantomeno mi sembra un buon punto di partenza per cercare di cambiare o influenzare questi processi.
da buon ospite, ringrazio per lo spazio concessomi
Oliver Perra