Non volevo scrivere. Un proverbio friulano dice che “è inutile tentare di insegnare a un asino: si perde tempo e si infastidisce l’animale”.
Ma mi è tornata sott’occhio una frase di una persona speciale, che non parlava inutilmente.
"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci." Diceva Gandhi.
Ebbene, se avesse avuto la possibilità di vivere fino ad oggi, penso che ci avrebbe fatto presente che siamo vicini alla vittoria!
Infatti si è scatenato un attacco frontale, vergognoso contro la lingua friulana, che ritengo sia lo specchio di un popolo e per questo l’attacco arriva dritto al Friuli e ai Friulani.
Non solo ci sono certi politici che si perdono a criticare iniziative che invece nel resto d’Europa sono prese come modello (vedi il Grant dizionari bilengâl talian furlan, trad. Grande dizionario bilingue italiano friulano - ndr, che l’università di Stoccolma utilizzerà come impianto informatico per un vocabolario italiano svedese). Un intervento che è stato finanziato con fondi destinati alla politica linguistica (sul Messaggero Veneto del 04.09.2009, Sergio Cecotti, già presidente della Regione, dichiara «anche prendendo l’anno di massimo finanziamento, stiamo parlando di meno del 0,0003% del Pil. I politicanti che impiegano quote significative del loro tempo a prendersela con un presunto spreco dell’ordine del decimo di millesimo di punto percentuale vanno classificati nella categoria dei buffoni»).
E non solo la politica (con la “p” minuscola) parla a vanvera. Sia “L’Espresso” sia "Io Donna" (inserto del Corriere della Sera) hanno armato il fucile della malinformazione e hanno iniziato a sparare contro il Friuli, i Friulani e la lingua friulana.
Ad essere buoni, anche se un giornale serio non dovrebbe essere giustificato, si potrebbe dire “Vabbè, hanno le redazioni lontane, magari non conoscono la nostra realtà e sono caduti in errore ed erano in buona fede”. Ma questo ragionamento nell’epoca dell’informazione globale non dovrebbe neanche esistere… inoltre quando in un’inchiesta che ricorda l’interrogazione di un politico in consiglio regionale che accusava di sprechi il suddetto Gdbtf, il giornalista si “dimentica” di scrivere anche che il tutto si è concluso in una grande “bolla di sapone” e con tanto di dimostrazione che il lavoro è sottopagato e invece le risorse per progetti simili fatti altrove sono molto più alti, la qualità di certi articoli si commenta da sola…
Senza contare che sono anni che l’Europa sostiene la difesa dei diritti linguistici riconoscendo le lingue dei popoli (esiste anche Eblul, un ufficio europeo per la tutela delle lingue meno diffuse), e più di qualche volta ha richiamato l’Italia per le inadempienze in questo settore (non parliamo poi dei “grandi finanziamenti” alla L.483/99 che di grande ha solo una continua e drastica riduzione).
Ebbene, proprio perché lo stato italiano si conferma molto in ritardo su questi temi (a dire il vero, non solo su questi…) non mi sento di dover festeggiare chissà che: da tempo il Presidente della Repubblica invita a ricordare in modo degno i 150 anni dell’Unità d’Italia. Mi sarebbe piaciuto che con la stessa forza, lui che ne è il garante, avesse chiesto il rispetto della Costituzione della Repubblica italiana (compreso l’art 6: La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche).
Mi consolo dunque tornando a Gandhi, perché se dopo anni in cui nel resto d’Italia ignoravano (e forse in molti ancora oggi non sanno) dove fosse il Friuli, continuando a vedere che in tanti non perdono occasione per deriderci e ridicolizzarci, ora hanno iniziato a combatterci con cattiveria: ebbene, come abbiamo resistito finora (sono anni che dicono che il Friulano sarebbe sparito e invece siamo ancora qui), resistiamo ancora un po’ perchè il prossimo passo è vicino e sarà quello decisivo: la vittoria!
Ps: tra l’altro, i conquistatori italiani arrivarono nel 1866 in Friuli centro occidentale mentre nel Friuli Orientale fino al 1918 c’era l’Austria… ma questo non importa: quando si tratta di celebrare l’Italia "una d'arme, di lingua, d'altare" tutto è permesso e anche i numeri e le date valgono un tanto al kg.
(titolo originale dell'articolo pubblicato in friulano nel sito di Romanini)
Trovo che sulla maggior parte dei passaggi di questo articolo ci sia poco da dire: la necessità di sostenere le lingue "meno parlate" è condivisa ormai da tutti, è quasi un luogo comune.
RispondiEliminaTuttavia, enti come l'Unesco, l'Unione Europea etc. etc. ne fanno una necessità CULTURALE, punto e basta.
Quello che non mi piace in discorsi tipo quello dell'articolo è il passaggio "disinvolto" dal discorso culturale a quello politico: trovo cioè che ci sia una sorta di manipolazione nel giungere, passando per un discorso culturale ampiamente condiviso, a rivendicazioni schiettamente politiche che così condivise non sono. Occorrerebbe allora sottolineare con maggiore onestà intellettuale il passaggio dalle premesse culturali alle proprie personali conclusioni politiche. Almeno secondo me.
Batsumaru
mandi Gianfranco
RispondiEliminaGrazie pe ospitalitât, al è un onôr e un plasê =)
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RispondiEliminaL'intervent di Batsumaru a mi cjate dal dut di conciert.
RispondiEliminaL'intervento di Batsumaru mi trova del tutto concorde.
Unu saludu a tottus
Mandi
http://donebete.splinder.com/
Corazza, sei un classico troll. Non incanti più nessuno con il tuo nazismo culturale.
RispondiEliminavia la limba sarda e la marelenghe sveggglia che i catalanni di barcelona aano ormai 30 anni avanti di noi dobbisamo tradurre tutti i libri catalann in sardo efriulanno
RispondiEliminaproblemi di tastier volevo dire viva la limba sarda i telegiornali sardi e friulanni devonno essere in lingua locale
RispondiEliminalesspresso di debenedetti e bravissimo a difendere le minoranze fuori del italia kurdi mowaks gay e chi piu ne a ma sul italia a dei giornalisti cretini pagati a pezzo bye bye espresso sei diventato solo un setimanalle di culo e camicia come tua sorella sexpublicca
RispondiEliminaCari Natsumaru e donebete (a proposit: ce sît sflandorôs! ;-))
RispondiEliminanon riesco a comprendere bene la critica mossa a Romanini.
In primo luogo ho seri dubbi sulla coerenza della frase:
la necessità di sostenere le lingue "meno parlate" è condivisa ormai da tutti, è quasi un luogo comune.
Tuttavia, enti come l'Unesco, l'Unione Europea etc. etc. ne fanno una necessità CULTURALE, punto e basta .
Mi spiego:
se vi chiedessi di citare un solo passaggio compreso nei citati documenti ove si affermi che la necessità di difendere, preservare e promuovere le lingue meno diffuse e le lingue senza stato sia di natura "meramente culturale" nessuno di voi saprebbe riportarmi un solo capoverso. Basterebbe questo per dire che è priva di onestà culturale (poiché non preceduta da un "secondo me").
Ma c'è di peggio.
La necessità di:
- difendere l'ambiente;
- fornire medesime possibilità di realizzarsi;
- dare accesso universale alla conoscenza;
- tutelare l'infanzia;
- combattere il lavoro minorile;
- dare asilo a chi viene persguitato per le proprie idee;
- dare pari opportunità a prescindere dal proprio sesso;
non sono tutti luoghi comuni? Non sono forse necessità culturali?
Ma, guarda il caso, nessuno si sognerebbe di dire "punto e basta".
Da queste necessità culturali DEVONO (proprio perché "necessità") essere attivate delle politiche di controllo, attuazione, garanzia, per evitare che restino dei luoghi comuni di cui ci ricordiamo quando c'è la notizia una Bophal, di dodicenni costretti a lavorare 18 ore, di milioni di cittadini analfabeti.
Politiche.
E le politiche hanno un costo.
Vogliamo tutelare chi è disoccupato e si ammala? Proviamo a lasciarla una mera "necessità culturale" e togliamo la sanità pubblica.
Vogliamo dare un'istruzione anche a chi non può permettersela? Proviamo a lasciarla una mera "necessità culturale" e togliamo l'istruzione pubblica.
I diritti si pagano.
Con le mie tasse, con le vostre: questo è lo stato, questa è l'Europa.
L'articolo 6 della costituzione italiana recita
"La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche".
C'è qualcuno che si sente in diritto di dire che è una sciocchezza? Allora si prepari ad accoglie a braccia aperte chi pensa che la sciocchezza sia -invece- l'articolo 11 ("L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali") o, perché no, l'art. 2 ("La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale").
Dovrebbe farlo, il pensiero (qualcuno utilizzerebbe il termine "postfascista") è ASSOLUTAMENTE IDENTICO.
Io credo che nella seconda parte dell'art. 1 ("La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione") ci sia già la risposta a tutto questo. Che in buona sostanza significa: o accetti quello c'è scritto dopo oppure non sei italiano.
Come direbbe Batsumaru, punto e basta.
E in pieno rispetto di quanto ha detto aggiungo: secondo me.
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RispondiEliminaMandi Gianfranco,
RispondiEliminaun sincero grazie dalla provincia di Gorizia per le tue parole a difesa dei diritti linguistici di noi tutti cittadini italiani.
E' rincuorante leggere post e commenti come questi, dopo aver assistito a degli attacchi sulla carta stampata che a mio modo di vedere, senza considerare i pur lampanti grossolani errori, per il linguaggio che hanno utilizzato possono essere tranquillamente considerati fascisti.
Incoraggiati dalle parole di Gandhi, attendiamo dunque tutti la quarta fase: la vittoria (della ragione)...e magari un nuovo Rinascimento.
Di nuovo grazie!
Michele
PS. Come segno di stima ho tradotto la tua bgrafia su wikipedia in friulano :)
Gentile signor Peresson,
RispondiEliminami perdoni se non sono d'accordo con Lei. Mi perdoni anche se non la seguo nei meandri delle Sue tortuosita' e provo ad andare al sodo.
Per la verita', sarebbe Lei a dover citare qualcosa dell'Unesco, ad es., in cui si dice che la difesa delle lingue "meno parlate" (si usano termini molto neutri, in certi ambiti) possa essere usata per legittimare le rivendicazioni politiche (in senso autonomistico) di questa o quella presunta nazione. Quasi un termometro per legittimare istanze nazionalistiche, come vorrebbe qualcuno.
Non mi sottraggo, in ogni caso: Le cito l'Atlante delle lingue in pericolo dell'Unesco. Legga la prefazione, mi dica se la necessita' di difendere le lingue in pericolo di scomparsa li' portata avanti puo' definirsi nient'altro se non una necessita' culturale. Cosi' come proteggiamo i monumenti, altrettanto dobbiamo fare con le lingue, beni culturali di primaria importanza: in una lingua si trova la traccia profonda della cultura, della storia, della visione del mondo di chi la ha usata. Sono temi che ricorrono anche negli scritti di linguisti molto attenti alle questioni delle lingue a rischio, per es. David Crystal.
Sono tematiche che, per fortuna, sono entrate nel dibattito di tutti i giorni, spesso non comprese appieno nella loro complessita' (per questo, quasi un luogo comune).
Liberissimo, chi vuole, di partire da queste premesse e fare discorsi politici sulla nazione friulana, sarda, padana etc. etc. Liberissimo io di rimarcare come le due cose (il discorso culturale e quello politico) sono distinte. Che a lei piaccia o non piaccia.
Batsumaru
Sig. Batsumaru
RispondiEliminanaturalmente lei è liberissimo e del tutto legittimato a pensare che la lingua così come i monumenti siano solo beni culturali. Così come di credere che le lingua e i nomumenti si proteggano da soli, senza azioni (positive o negative) politiche.
Devo dire che gli esempi che abbiamo a disposizione non vanno nella direzione da lei auspicata: la lingua italiana si è affermata non perché bella, perché patrimonio culturale, perché ha avuto una eccellente letteratura, ma perché prima il Regno di Sardegna, poi quello d'Italia, poi la Repubblica ha "investito" su di essa con leggi e una quantità enorme di risorse, trasformando l'italiano in cardine del "sentimento nazionale".
Basti considerare la canea reazionario scatenata contro i "dialetti", stupidamente contrapposti a quel "sentimento nazionale" che è in crisi non certo perché il 60 per cento dei cittadini dello Stato parla anche in "dialetto".
Così come l'italiano è ritenuto elemento fondante della nazione italiana, il sardo è elemento fondante della nazione sarda. Libero, naturalmente, qualunque cittadino sardo di non sentirsi parte della nazione sarda: lo Stato si impone, la Nazione no. O ce se ne sente parte per libera scelta o no. Chi non ne vuole far parte, però, abbia il buon gusto di non lanciare invettive. Io, per dire, non me la prendo con chi si sente parte della nazione italiana.
Va tutto bene, ci mancherebbe. Solo, io non ho mai detto che i monumenti e la lingua si proteggono da sé, senza azioni politiche e senza investimenti (casomai ho detto che gli investimenti, specie in tempi di vacche magre, andrebbero un tantino selezionati). La politica linguistica attuata da uno Stato (per tutelare quello che, per come la vedo io, e' un patrimonio culturale fondamentale) e' altra cosa rispetto agli investimenti identitari/autonomistici che talune minoranze fanno sulla valorizzazione delle lingue locali. A quest'ultima politica, ovviamente, mi riferivo: spero fosse chiaro.
RispondiEliminaInfine: se dall'Ottocento ci e' stata gradualmente imposta una lingua, e' un buon motivo per pensare che oggi si potrebbe/dovrebbe fare la stessa cosa con le lingue locali?
Infine, non ho lanciato nessuna invettiva: se pero', dissentendo, ho offeso la sua sensibilita', mi dispiace.
Saluti, Batsumaru
quando leggo i punti di vista di Batsumaru,trovo conferme all'idea che mi sono fatto sul centralismo tosto a morire. Si sancisce il principio della tutela delle lingue minoritarie ma non lo si vuole realmente applicare per paura delle spinte centrifughe. Si cambi allora la Costituzione inserendo il condizionale, ossia: "La Repubblica, per mera necessità culturale, tutelerebbe con apposite norme le lingue minoritarie se solo sardi, friulani, ecc. promettessero solennemente di non volersi mai affermare come Nazioni distinte da quella italiana." Saluti, Piero
RispondiEliminaGentile Batsumaru,
RispondiEliminase in quanto da me scritto ha intravisto in qualche modo una mia vocazione a "crociate separatiste" devo essermi spiegato molto male.
Se sono stato tortuoso le chiedo scusa. Qualche anno or sono Chomsky -parlando del mezzo televisivo- spiegava come sia difficile sintetizzare pensieri complessi senza essere banali. Dev'essere che talvolta uso questo pensiero come scusa per la mia logorrea.
Ho capito solo ora (creda alla mia buona fede) che legge nella sequenza di richiami alla storia ed alla Costituzione di Romanini una rivendicazione nazionalistica. Mi sembra una forzatura considerare chi chiede "il rispetto della Costituzione della Repubblica italiana" (cito il post) uno scissionista ma evidentemente la pensiamo in modo diverso.
Per andare al sodo:
non vedo nelle parole di Romanini alcuna rivendicazione secessionista (ma è un mio parere) mentre resto convinto che ciò che sta alla radice di quanto da lei detto sia profondamente discriminatorio verso la categoria del "debole" in qualunque forma essa venga declinata (minoranza linguistica, pensionato, disoccupato, straniero,...). La dicotomia "politica-cultura" da anni viene usata in chiave discriminatoria. Lei non è il primo a farlo e di certo nemmeno l'ultimo.
La saluto cordialmente
Sa com'e': uno legge di Gandhi, si allude a una vittoria...
RispondiEliminaLa saluto, Batsumaru
Caro sig. Batsumaru,
RispondiEliminami creda, io ho stima di lei e rispetto le sue idee ma non può sinceramente pensare di scrivere quanto ha scritto nel primo commento e poi darci a bere che stesse parlando del titolo del post.
Lo dico per lei...
Anche perché, seppur anonimo, (e a quanto capisco non leghista) io mi sentirei un po' in difficoltà accorgendomi di aver paragonato Gandhi a Bossi.
E' una battuta, si intende.
Con simpatia,
L.
Mi sa che facciamo a non capirci, pazienza.
RispondiEliminaSaluti, Batsumaru