Un residuo di spirito di casta, evidentemente non rimosso da qualche anfratto, mi istiga a dichiarare una qualche preoccupazione per la legge sulle intercettazioni approvata dalla Camera dei deputati. Mi riferisco alla parte che riguarda noi giornalisti. Quella riguardante i magistrati mi pare sacrosantamente adottata, perché non se ne può più di un Grande fratello che intercetta o può intercettare tutte le conversazioni private sia tra gente che parla al telefono sia di chi conversa per strada. Più che indagini, sembrano pesca a strascico.
Dovere della magistratura è, naturalmente e giustamente, perseguire i reati e condannare chi li commette. Dovere degli organi di polizia giudiziaria è di indagare per scoprire chi delinque, ma non è tollerabile che questo avvenga passando uno scanner su tutta la società, per cogliere una conversazione da cui emerga il sospetto che si sia commesso o si stia per commettere un reato. È giusto, invece, che si intercetti chi è sospettato di aver tentato o commesso un reato. Come mi pare stabilisca la legge approvata. Mi conforta, e mi solleva dal cruccio di poter essere sospettato di berlusconismo, il fatto che anche venti parlamentari dell’opposizione, nel segreto della propria coscienza, abbiano ritenuto giusto un principio sacrosanto: meglio un colpevole libero che un innocente in galera.
Ma dicevo dei giornalisti. Qualcuno dovrà pur riferire loro i contenuti di intercettazioni (spesso consegna loro un intero fascicolo di intercettazioni. È questo qualcuno il responsabile primo, i giornalisti fanno il loro dovere che è quello di riferire quel che sanno. In linea di principio è così e per questo un po’ mi preoccupa la possibilità che finiscano in galera. Solo in linea di principio, però, visto che anche ai giornalisti è richiesta la capacità di vaglio critico e quella di capire che vicende di corna familiare, battute grevi, parolacce e turpiloqui, espressioni di machismo o dileggio delle facoltà sessuali di un maschietto, possono anche essere eticamente non irreprensibili, ma nulla hanno a che spartire con un crimine.
Io mi sono sempre rifiutato di leggere le paginate intere di intercettazioni trascritte, ma quello che ho spesso sentito in televisione esser stato pubblicato anche da serissimi quotidiani mi ha fatto spesso vergognare di avere da 41 anni e passa la tessera di giornalista. Del resto, anche la federazione della stampa e quella degli editori, nel loro appello al Parlamento, riconoscono la “necessità che sia tutelata la riservatezza delle persone, soprattutto se estranee alle indagini”.
Lo hanno detto sempre, ogni volta che hanno riconosciuto di aver pubblicato pagine e pagine di intercettazioni che violavano la riservatezza delle persone e coinvolgevano persone estranee alle indagini. Moltissimi lo hanno riconosciuto, hanno fatto mea culpa, salvo ripetere la stessa cosa, passata la temperie della protesta. Moltissimi hanno tirato il filo, nell’illusione che la società civile e quella politica non osassero reagire. Ora il filo si è rotto e temo sarà difficile, per quanto auspicabile, riaggiustarlo. Ripeto, il fatto che venti parlamentari dell’opposizione abbiano votato il provvedimento sta a significare che dietro la legge sulle intercettazioni non c’è una volontà della maggioranza di autotutelarsi e che, comunque, la necessità di mettere un freno alla degenerazione, giudiziaria, giustizialista e mediatica, delle intercettazioni è più sentita di quanto appaia.
A proposito di degenerazioni. La giornalista della Nuova Sardegna, Valeria Gianoglio, ha riferito qualche tempo fa dell’esito di un processo in Toscana contro dei sardi, dibattimento, a quel che ho capito, fondato su intercettazioni. Scrive la Gianoglio: “Si tratta di migliaia di pagine di dialoghi in sardo stretto. Perizie con risvolti persino comici perché tra le tante cose avrebbero attestato sbagli di interpretazione clamorosi nel tradurre i dialoghi dei sardi intercettati in Toscana. La tipica invocazione sarda, rivolta al cielo, «Sarvamentu» scambiata per «Prendi l’armamento», tanto per citare un esempio.” La “banda dei sardi” è stata assolta. Ma i suoi “componenti” avranno mai un risarcimento per la galera e per l’onta subite, per via della passata di scanner sulla loro vita privata? E per via, anche, della approssimazione con cui le loro parole in sardo sono state interpretate.
Già, perché c’è anche questa complicazione, che dovrebbe rendere avvertiti soprattutto i giornalisti che pubblicano a cuor leggero le intercettazioni: in nessun lingua, la parola scritta rende l’intonazione della voce, il gusto antifrastico di molti parlanti, il sorriso che accompagna una espressione e che è in grado di attribuire alle cose dette un significato diverso da quel che appare. Irresponsabile chi consegna i plichi ai giornalisti, ma poco responsabili essi nel pubblicarne il contenuto.
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