Il riconoscimento da parte russa dei due nuovi stati, Ossezia del sud e Abkazia, porta a 206 gli stati del mondo. Quaranta anni fa erano, se non ho fatto male i conti, 85; erano, comunque, circa un terzo degli attuali. Ogni volta che ne è nato uno nuovo, la “comunità internazionale” (gli stati preesistenti, cioè) si è divisa fra chi ha dato il benvenuto al neonato e chi ha lanciato alte grida per violazione del principio chiamato “integrità territoriale”.
Accoglienza e rifiuto sempre hanno risposto ad interessi geopolitici consolidati: la prima si è prodotta nei confronti di un neo-stato che si sarebbe situato fra nell’area degli stati amici, il secondo si è avuto nei confronti del nuova entità destinata a situarsi nell’area della concorrenza. Per non andare troppo lontano, quasi tutto l’Occidente (con la significativa eccezione della Spagna alle prese con i problemi basco e catalano e della Grecia investita dalla questione macedone) ha appoggiato e subito riconosciuto il Kosovo, schierato nel campo occidentale. La Russia ha non solo fatto il diavolo a quattro per evitare nascita e riconoscimento del nuovo stato, ma ha minacciato che questo atto avrebbe avuto conseguenze negli stati inglobanti forti minoranze russe.
Così è successo in Georgia, regione europea costruita intorno a una etnia georgiana maggioritaria con l’annessione di due etnie russe, l’abkaza e l’osseta. Così potrebbe succedere, se così vorranno le etnie russe, in Lettonia, Estonia, Lituania, Moldova, stati che conquistarono l’indipendenza dall’Unione sovietica, inglobando forti minoranze russe (quasi il trenta per cento in Estonia e Lettonia) o minoranze russe più modeste (intorno al 6 per cento negli altri due stati).
Non è detto che succeda, ma è del diritto di quei popoli chiedere di autodeterminarsi, di applicare cioè la legge internazionale per decidere se farsi regioni autonome degli stati in cui oggi sono, se unirsi alla Russia, se continuare a vivere nello status attuale. Nel Quebec si sono svolti, che ricordi, un paio di referendum per l’indipendenza e entrambe le volte i quebecchesi hanno deciso di continuare ad essere uno stato federato con il Canada. Entro il 2018, il popolo kanako deciderà se la Nuova Caledonia debba continuare ad essere un Territorio d’oltre mare della Francia o farsi indipendente; e non è detto che decida per l’indipendenza.
Il numero di abitanti non è e non può essere, per il diritto internazionale, una dirimente (un grande territorio ha diritti, uno più piccolo no). La Nuova Caledonia ha avuto dalla Francia il diritto ad esprimersi ed ha 240 mila abitanti; non si capisce perché analogo diritto non debba essere riconosciuto ai quasi settecento mila russofoni dell’est della Lettonia
Perché, dicono oggi gli occidentali per i popoli della propria area e i russi per quelli della propria (si pensi alla Cecenia, oggi dimenticata), il principio della “integrità territoriale” è sacro. Sacro, va da sé, per i propri stati, non per gli altrui. Siamo, come si vede, in piena schizofrenia che nasce da pure e semplici pulsioni ideologiche e, quindi, immaginarie. Si invoca, soprattutto in Occidente, la vetustà e arcaicità di concetti come “nazione”, ma solo se riferiti a nazioni che non hanno un proprio stato. Ma guai a toccare l’integrità del proprio stato-nazione, concetto e pratica nati con la rivoluzione francese del XVIII secolo, alla faccia della modernità.
Nonostante quanto si affannano a proclamare governi e intellettuali adoratori dello stato-nazione, con incredibili salti logici e violenza alla realtà, non c’entrano i principi, il diritto internazionale, i valori riconosciuti. È solo una questione di potenza e prepotenza. Il mondo va così. Almeno si risparmi alla nostra intelligenza tutto il ciarpame ideologico con cui si difendono tesi indifendibili.
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