Ci sono altre caste, oltre a quella dei politici, meno celebrate e meno additate al ludibrio pubblico ma altrettanto consolidate e intoccabili. Con in più il fatto che si inalberano se sono sottoposte a critica: quelle dei giornalisti e dei magistrati. Per la verità, non è che negano il diritto dei cittadini a criticarle, ma nel momento in cui si fa, ecco sbucare fuori l'attacco alla libertà di stampa ed ecco l'attentato all'indipendenza della magistratura. Il che, ovviamente, rende solo virtuale il riconoscimento del diritto alla critica. Ed invece la critica, anche aspra, è l'unica arma che ci resta di fronte ad atti, soprattutto in materia di informazione, che sfuggono ad ogni possibilità di difesa.
L'episodio di Cagliari, dove un gruppo di giornalisti si è inventata di sana pianta la lacrimevole storia di un pensionato costretto dalla miseria a rubare in un supermercato, non è l'unico ad inquietare. A quella invenzione si è aggiunta quella di giornalisti di altri giornali e delle tv, arrivati a descrivere minutamente figure e fatti collegati al finto pensionato.
La questione, forse, sarà risolta internamente alla casta con la punizione dei colpevoli. Ma senza la rinuncia da parte dei giornalisti, dei loro direttori ed editori al sensazionalismo, alla notizia spettacolo, e con un ritorno al racconto dei fatti il problema del distacco sempre crescente fra stampa e pubblico continuerà ed avrà effetti davvero inquietanti. Ed autorizzerà frotte di forcaioli, sempre in servizio permanente ed effettivo, ad invocare censure e limitazioni. Già ce ne sono sentori: l'esasperazione di lettori presi per i fondelli, di persone messe alla gogna senza possibilità di difendersi, di cittadini denigrati senza ragione è uno splendido terreno di coltura per il virus del totalitarismo.
martedì 30 ottobre 2007
L'altra casta
E' la nouvelle vague, stupido
E' in atto da tempo una campagna di delegittimazione della letteratura in sardo. Non è una campagna scatenata da destra, centro, sinistra, su o giù, ma molto più semplicemente da un gruppo di intellettuali di varia provenienza, contrari alla lingua sarda come veicolo di comunicazione.
Dispostissimi ad accettarla come residuo folcloristico e come dialetto cantonale, si oppongono con tutti i mezzi, compresa la menzogna più spudorata, alla affermazione del sardo come lingua nazionale.
Dispostissimi ad accettarla come residuo folcloristico e come dialetto cantonale, si oppongono con tutti i mezzi, compresa la menzogna più spudorata, alla affermazione del sardo come lingua nazionale.
E' tanto forte la cupio dissolvi, che intellettuali prima di allora schierati con il presidente della Regione, gli hanno voltato le spalle quando Renato Soru ha con forza affermato la sua volontà di fare adottare alla amministrazione regionale una lingua sarda di riferimento, sa limba sarda comuna. Sanno benissimo, questi intellettuali giacobini, che sa limba sarda comuna, pur senza mettere in discussione la ricchezza dei linguaggi delle varie comunità, è la prima mossa verso la internazionalizzazione del sardo e, dunque, verso la sua dimensione nazionale. Lo sanno e proprio per questo la osteggiano.
Recentemente, il capofila della intellighentzia metropolitana, Giulio Angioni, ha riconosciuto la esistenza della "nouvelle vague" letteraria sarda, cooptando in essa gran parte degli scrittori sardi in italiano e espellendo dalla "vague" tutti gli scrittori in lingua sarda. Oggi sono circa duecento i romanzi e i racconti in sardo, alcuni ottimi, altri mediocri, altri ancora brutti, come, del resto, succede per tutte le letterature.
La speranza della sua tesi, sposata da alcuni scrittori da lui coalizzati nel saggio "Cartas de Logu", è che negando l'esistenza dell'unica letteratura sarda (quella scritta, appunto, in sardo), non resti, a rappresentare la Sardegna, se non la letteratura italiana di autori sardi. Magari con la vergogna di essere sardi.
Leggi a proposito la testimonianza, raccolta nel libro di Angioni, di Bianca Pitzorno