giovedì 3 maggio 2012

Domenica, che fare?

Non sono né mi sento un "difensore della casta", come imprudentemente i promotori del referendum di domenica prossima definiscono i pochi oppositori e i molti osservatori tiepidi. Mi oppongo alla abolizione delle province con un sì senza rimedio e alla diminuzione dei deputati regionali a cinquanta, sono assai tiepido di fronte alla proposta di abolizione dei consigli di amministrazione degli enti e delle agenzie regionali e di elezione diretta del Presidente della Regione, sono favorevole alla riduzione degli stipendi dei consiglieri regionali e vorrei anche io una Assemblea costituente per la scrittura del nuovo Statuto, sempre che qualcuno mi convinca che non si tratti di un escamotage per rinviarlo alle calende greche. Come spesso capita, le cose sono un po' più complicate di quello che la demagogia vorrebbe indurci a pensare.
La questione delle province è ridotta ad un semplice giudizio sui loro costi e non sulla loro necessità o superfluità democratica. Per quel che ho potuto leggere in questo periodo, i pochi che sono entrati nel merito della loro funzione hanno sfogato il loro astio nei confronti di questo grado di autonomia locale. I più l'hanno buttata sui loro costi. Come del resto i professionisti dell'anti-casta fanno nei confronti delle Regioni, soprattutto le speciali, invocando più o meno sotterraneamente la cancellazione della specialità in quanto comporta maggiori spese. Chi cavalca la tigre della cancellazione delle province non immagina, o forse non gliene importa, come sia poi difficile scenderne o anche solo fermarla davanti alle seduzioni totalitarie di chi farebbe a meno di parlamenti rappresentativi di tutte le sensibilità politiche e, quindi, costosi.
Non è il problema principe né decisivo, ma non mi pare di aver sentito i professionisti dell'anti-casta riflettere sulla sorte delle centinaia e centinaia di impiegati provinciali che vorrebbero mandare ad aumentare le file dei disoccupati. Anche loro parte della casta? Per risparmiare bisognerebbe licenziarli, se non si licenziano dov'è il risparmio: negli stipendi di otto presidenti di provincia e di un centinaio di assessori? Anche i demagoghi dovrebbero mettere di tanto in tanto vesti pudiche. Senza contare che, in ogni caso, abolite le province bisognerà prevedere un qualche ente intermedio fra comuni e regione. Non costeranno? Mi pare vagamente impossibile. Costeranno meno di una provincia? Certo; e non si poteva riformare le province, in modo che, pur costando meno, assolvessero alla loro funzione di ente di democrazia autonomista?
Queste cose non si possono decidere con un sì o un no. Soprattutto quando i sì e i no da esprimere sono dieci, una mole grande di quesiti nella quale si mescolano questioni differenti, dominate però da quelle abrogative e consultiva sulla sopravvivenza delle province, destinate, in questo clima di caccia alla casta, a trainare le altre. Io vorrei andare domenica a votare sì alla moderazione degli emolumenti parlamentari e alla Assemblea costituente - pur temendo che la questione nasconda tentazioni dilatorie - e votare no alla riduzione del numero dei consiglieri regionali, una trappola "bipartitistica" per impedire la rappresentanza di minoranze politiche. Forse lo farò, ma grande è la tentazione di non farmi complice di scelte dettate dall'isteria del momento.

2 commenti:

  1. Prima di eliminare le province,creando altri disoccupati,potremmo rinunciare all'acquisto dei famosi aerei da guerra con un guadagno di svariati miliardi di euro.Meno pensioni d'oro ai parlamentari e ai vari dirigenti,meno sprechi veri nella pubblica amministrazione,più onestà e meno ingordigia da parte dei soliti noti.Se poi lo Stato pagasse i suoi creditori in tempo utile si eviterebbero tanti suicidi.

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  2. Mi rendo conto che sono andata un pò fuori tema rispetto all'argomento,me ne scuso.

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