mercoledì 7 marzo 2012

Perché la lingua sarda è sempre una priorità. Anche ora


di Micheli Podda
 
Sembrerebbe quantomeno inopportuno mettersi a parlare di lingua sarda in un momento così drammatico per l'intera società sarda, perchè tolto il clima e la natura, gli abitanti e le tradizioni, alla nostra isola poco altro rimane.
Siccome però la speranza è davvero l'ultima a morire, c'è da sperare che la situazione non rimarrà così grave in eterno, e prima o poi un'alternativa o una via d'uscita si troverà e la ripresa ricomincerà gradualmente. Ma quando questo avverrà e finalmente avremo un minimo di serenità economica (fra cinque, dieci, quindici anni?) non potremo certo ripartire, per quanto riguarda la lingua, dalla situazione in cui l'avevamo lasciata. In quei cinque, dieci o più anni, la possibilità di riprendere l'uso del sardo sarebbe ancor più difficile, considerando quanto già oggi lo sia. Perchè la lingua si allontana sempre di più dalla mente e dal cuore di tutti i sardi: dei bambini che ne sono ormai privi totalmente (scuola e Tv), dei giovani che la considerano inutile e dannosa per il loro inserimento sociale e per il loro futuro, degli adulti che solo in parte sperano e operano con sempre meno energia (io fra questi), degli anziani che difendono il loro piccolo spazio vitale con la lingua italiana, evitando di essere morti prima del tempo.
In queste condizioni, come dicevo, non è che il recupero si interrompe, e può riprendere dallo stesso punto in qualunque momento; no, una parte sarà persa per sempre. Diverse volte mi sono reso conto di come, a distanza di venti o trent'anni, alcuni termini o espressioni o costrutti normalmente usati non mi fossero più così chiari e facili nell'utilizzo e nella comprensione. Se questo capita a me, significa che capita anche ad altri, forse in modo anche più grave. D'altronde tutti gli studi condotti negli anni recenti hanno dimostrato che la competenza nell'uso del sardo è diminuita in modo costante e inarrestabile dopo gli anni sessanta, con tutte le valide (o meno) iniziative culturali e legislative (legge 26, legge 482, LSC ...) avviate dopo il 1972 (delibera della Facoltà di Lettere di Cagliari per il riconoscimento dei sardi come minoranza linguistica).
La conclusione è questa: qualunque altro problema si stia affrontando (economico, politico, culturale, sociale...) e di qualunque gravità esso sia, il problema della lingua deve essere seguito contemporaneamente in modo costante, senza alcuna pausa, o i danni sarebbero più gravi e irreversibili; questo è un dato di fatto, sicuro e ammesso da tutti. Discutibile invece potrebbe essere ancora l'opportunità di salvare la lingua, che forse per qualcuno non sarebbe così importante; ma la grande maggioranza dei sardi, e sopratutto dei "maledetti" intellettuali, è del parere che lo sia, e che la lingua rappresenti effettivamente l'anima di un popolo, la sua identità, il contenitore di tutta la sua cultura.
Se così è, e lo è, allora non bisogna trascurare neanche per un momento la questione linguistica, contemporaneamente a qualunque altra questione. Resta da vedere come, in che modo, perchè appena si entra nel merito sappiamo come finisce: incomprensioni, ripicche, contestazioni, divisioni, talvolta insulti. Per questo mi auguro che gli appassionati che hanno voce in capitolo, come gli amministratori di blog come questo, sollecitino nuove iniziative che portino assolutamente e in breve ad un obiettivo: l'attribuzione del prestigio che spetta alla lingua sarda, raggiungibile soltanto con l'insegnamento obbligatorio in tutte le scuole, subito. Tutto il resto è ben poco, quasi nulla.

19 commenti:

  1. "la lingua rappresenti effettivamente l'anima di un popolo, la sua identità, il contenitore di tutta la sua cultura."Tutti i sardi dovrebbero rendirsi conto dell'importanza di questa frase.Dubito enormemente che si riesca a rendere obbligatorio l'insegamento della lingua sarda nelle scuole.Ho molto dubbi sui politici ma vorrei avere tanta fiducia nell'orgoglio del popolo sardo nella difesa della nostra lingua.Le rivoluzioni hanno valore se fatte dal popolo.

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  2. E ka d'essere tempus de iscriere e allegare sempes in sardu, gai kie nos arcurtada faghed' "oricra" e kie nos leghede ada a crumprendere sempes mengius sa bellesa e su sonu galanu de sa limba nostra.

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  3. "Tolto il clima e la natura, gli abitanti e le tradizioni, alla nosra isola poco altro rimane."

    Mentre sono d'accordo sull'accopiata clima-natura, mettere assieme abitanti e tradizioni, fra quel poco che ci rimane di buono, ritengo possa essere fuorviante.

    Intanto perché bisognerebbe esprimersi sulle "tradizioni" su cui non c'è un'idea condivisa e il confine fra folklore e tradizione risulta labile e variabile, all'interno della categoria degli "esperti", nel corso del tempo.

    In secondo luogo, per come la vedo io, sono proprio gli abitanti il fattore più negativo e determinante nella la mancanza di tutto il resto. Compresa la lindua e il suo essere in stato preagonico.

    Cercherò di essere più circostanziato,se ne avrò l'opportunità, in un altro momento.
    Qui voglio dire solo una cosa: per strappare agli Italiani quanto diciamo ci sia dovuto, dovremmo smetterla di fare gli Italiani.

    "Marranu" che ci sia una sola persona capace di distinguere il comportamento dei Sardi da quello degli Italiani di fronte a quanto la realtà ci mette d'avanti giorno per giorno.

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  4. es kraru a totus ki sa meikina bona est'una, ka sa matematica es matematica.
    Suberanía sa parabula po istare bene.
    Ma fatu meda piakere legere kust'iskrittu forte de sensu e de kirka dhe mogere a unu puntu dhe non ritorno, ka gai atta mogidu s'istadu italianu fintzas a komo, una "conolizazione perfetta",maista, kun sas klasses politica sardas dhe s'historia konnoskida nosta, unfra dhe subalternidade "endemico-virale" ki at "contagiau" sa sotziedade tzivile sarda.
    Tokat a nois komo a detzidere, deo apo jae kambiau su sensu dhe sa bida mea e soe felix meda meda ma matessi mamentu, pompiandhe s'andala in Sardinna istimada,no soe bidendhe unu tempus benidore tristu meda.
    Sa morte dhe sa limba ki andat paripassu kun sa morte dhe unu populu, e...pómpiae, si no ponimus martza aberu kin operas suberanas, komente bois puru pessaes po torrare assekus.
    Po piakere no si montobet a karatere politiku una federatzione kun s'Italia, ka este komente sa kontinuidade territoriale, l'amus a pakare sempere su leasing po si komporare sa makina noba.
    Deo pesso ki siat menzus sa suberania komente sa parabula nata, si nono no atta a essere komente a komo, su kambiamentu dhe mentalidade si no este akumpanzau dae sinnos fortes e kussentziosos es delicau meda dheaberu.

    ps. deo puru appo sempere meda prus difikultade a m'akatare kin sas parabulas sardas, ma este historia dhe maistos dhe iskola kolonizaos e pitzinnos sardos dhe kolonizare, e sa frunza i sas manos dolet meda e deprus puru si tenes ses annos.
    Tando konnoskia jae duas limbas, su sardu e su gaddhuresu.

    Saludos
    Gianni canu

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  5. Mi piacerebbe dibattere e precisare su ciascun commento, all'occasione. Per ora vorrei dire ad elio che bene ha fatto ad aggiungere "di buono", perchè è proprio quello che intendevo.
    Il clima e la natura costituiscono una ricchezza straordinaria che tutti ci invidiano e che nessuno, finora, è riuscito a toglierci. Per il resto, se la nostra isola costituisce il territorio, perchè vi sia una NAZIONE servono anche gli individui (gli abitanti) e la loro storia (le tradizioni); per completare inoltre bisognerebbe aggiungere anche lingua e governo, ma qui si evidenzia appunto la nostra debolezza: la lingua è tradita e il governo ... è traditore, mi verrebbe da dire; ma mi limito a dire che non rappresenta appieno il popolo sardo (intendo il governo sardo, ma vale anche per quello italiano).
    Quanto alla bontà di abitanti e tradizioni, condivido le perplessità, anch'io, ma in linea di massima considero sia un popolo che le sue tradizioni "sempre" positivi, in qualunque parte del mondo, e dunque certamente in Sardegna, dato che noi conosciamo bene pregi e difetti, e siamo in grado di valutarci. Se colpe gravi ci sono, da parte di un popolo, bisognerebbe vedere chi c'è dietro, chi tira le fila, chi muove le masse, talvolta facilmente manovrabili; è certo che più c'è democrazia, meno errori si verificano da parte di un intero popolo.
    Per farla breve: forse che i sardi hanno loro tradito la lingua sarda? NO, LO NEGHERO' SEMPRE. Sono stati indotti in mille modi, e non c'è bisogno che stia qui a dimostrarlo. E l'auspicio che nelle famiglie si parli in sardo, è un pio desiderio che avrebbe senso soltanto quando si riconoscesse anche ad esso, in modo reale e concreto, quel prestigio a cui ogni lingua ha diritto all'interno di un popolo. La nostra lingua è BANDITA dappertutto, e non ci vuole lo psicologo per spiegare quanto sia vero, nonostante le trasmissioni in pseudo sardo, giornali e fumetti, convegni e conferenze, e gli sforzi di tanti (bentuesusu, el-pis...) che insistono a scrivere e parlare in sardo in molte occasioni.
    Sia popolo che tradizione, secondo me, sarebbero per il sardo ma... non hanno sufficiente potere. E a quel punto, per vivere o per sopravvivere, "facciamo gli italiani".

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  6. Secondo il mio modesto parere, l'uso della lingua sarda sta diventando un problema, un ulteriore problema da aggiungersi ai già tanti di cui noi sardi ci lamentiamo anche in questo blog.
    Ho visto, a destra della colonna principale, in un sito FP40 consigliato (non so a chi appartenga) la traduzione del testo di una canzone di Dalla il cui nome è riportato in sardo come Lùtzu, Lucio in italiano.
    Mi ha colpito l'accento, dal momento che la u, sia in sardo che in italiano, è sprovvista di accento fonico, poiché non vi è distinzione fra u acuta e u grave. Dunque, quell'accento è un accento tonico, che fa risaltare, nella pronuncia la sillaba Lu (oppure Lut?). Ciò significa che in assenza dell'accento avrei dovuto leggere la parola accentandola sull'altra sillaba? e cioè Lutzù?
    Fossimo in francese, ci avrei fatto un pensiero, ma solo per un istante: parrebbe che quell'accento sia del tutto inutile, se non proprio inopportuno. Non dico una stupidaggine, ma certo denota una grave un'insicurezza di chi l'ha scritto.
    Ora Lucio suppongo abbia la stessa radice di Luce che fa Luxi in campidanese e Lughe, Luche altrove. Forse in LSC fa Lutzi? Se pure così fosse, per Lucio e Lucia avremmo rispettivamente Lutziu e Lutzia.
    Mai Lutzu, porca miseria!, che significa piscio, urina, in campidanese.
    Anche questa quisquilia dimostra che la lingua sarda è un ulteriore problema per i sardi adulti.
    Allora, amici, mettiamo da una parte la lingua sarda, nascondiamola, lasciamola a chi la vuol parlare, togliamole tutti gli incentivi in danaro, riponiamola e dimentichiamola.
    Sono sicuro che solo così potremo salvarla: coverà sotto la cenere dell'italiano e dell'inglese; se la ritroveranno i nostri pronipoti viva e calda fra duecento anni.
    Continuare a parlarne, profetizzarne l'agonia, lamentarsene, è come additare la volpe ai cani: finiranno con lo sbranarla.

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  7. Salude Francu.

    Su de Lùtzu est una faddina, l'apo currègida. Medas gratzias, mancari a s'àtera borta dia agradèschere prus unu cummentu deretu in su blog meu, ma andat bene su matessi.

    Difatis, m'est abbarradu s'atzentu in sa u chene lu chèrrere. Duncas est Lutzu.

    Su proite in bidda "Lucia" est <> e "Lucio" est <>, no est chistione chi resesso a resorvere deo.

    Prus a prestu, siguru seis chi lutzu bolet nàrrer petzi su chi narades bois, fintzas in su "campidanesu" de Marmidda? Chi non tèngiat àteros sentidos?

    E in prus, non bos seis agatadu chi no l'apo iscrita in LSC? O fiat tropu sa fùria de li pèndere un'istocada?

    Fabrìtziu

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  8. Uff, Blogger si m'at papadu sos nùmenes, tontu deo chi non pòngio sos signos giustos.

    Sa fràsia prena est:

    Su proite in bidda "Lucia" est «Lukia» e "Lucio" est «Lutzu», no est chistione chi resesso a resorvere deo.

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  9. Non voglio annoiare, ma il commento di Francu (severo ma giusto) riapre una piaga troppo dolente, e non posso astenermi da un' ulteriore breve osservazione.
    Se la nostra lingua entrasse a scuola in modo definitivo e stabile, allora sì che ci sarebbe bisogno di un continuo confronto e dibattito, per mettere a nudo contraddizioni, divergenze, errori ed orrori molto diffusi nel suo attuale utilizzo. Come possiamo bene vedere ad ogni pie' sospinto, se commettiamo un piccolo errore in italiano qualcuno ce lo fa notare; in sardo tutto è permesso, per due motivi:
    1- perchè il sardo è TERRA DI NESSUNO;
    2- perchè IL SARDO NON HA TITOLO DI LINGUA NAZIONALE, e non è stato mai appreso a scuola.
    Attualmente tutti, dico TUTTI, commettiamo molti errori nell'uso del sardo. Sarebbe ora di cominciare a parlarne. E comunque onore a Fabrìtziu che si espone con coraggio.

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  10. "Ora Lucio suppongo abbia la stessa radice di Luce che fa Luxi in campidanese e Lughe, Luche altrove"

    A mie resurtat chi in sardu siet

    luʒe
    luʒi
    ludʒe
    ludʒi
    luɣe
    luɣi
    luke
    luʔe
    luχe
    ...
    e gasi sighinde. E dae custu tocat de mòere.

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  11. L'infortunio (dis)ortografico Lùtzu è quel che si chiama un ipercorrettismo: se devo mettere l'accento, finisco per mettercelo anche dove (la stessa LSU) non lo esige. L'autore dice che si è solo distratto, e gli è rimasto appiccicato. Diamolo per buono, ma perché scrivere chèrrere, quando il verbo è cherrer (la -e è epitetica come battor-o; est(e) ecc.), che gli risparmierebbe anche il necesse dell'accentazione sdrucciola imposta dal CBC (corrainobolognocorongiese)? Riguardo la parola "Lucio" ignoro se dalla documentazione antica si abbia una forma "nostra", che oggi però potrebbe essere o: *Lutte (< voc. lat. LUCIE) in gran parte del Logudoro, o: *Lutzi (nella versione camp.); o se dal nom.acc.: *Luttu con *Lutzu. Considerando che mostra sicura derivazione, il femminile: Lughìa (<LUCIA) se ne potrebbe trarre, senza alcuno sforzo operativo, il derivato maschile: Lughìu, e ci saremmo salvati sì in un caso dall'odore delle urine ma anche dal ferale sentore di condoglianze nell'altro.

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  12. @albertu

    Happu circau su chi boliat nai
    custu "epiteticu", e si narat de
    litteras agiuntas a unu fueddu ma chi no funt etimologicas.
    Duncas po battor(o), cor(o) ecc,
    ddu cumprendu giai ca custus
    fuedus benint de su nominativu
    latinu: quattuor, cor ecc...Ma
    cumenti fais a ddu nai po is verbus?

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  13. E drìnghilli! Sicomente sa limba no est cosa fata a taulinu, Alberto Areddu, Lùghiu o Lughiu deo non l'apo mai intesos. Torro a nàrrere, e custu est su puntu primàrgiu, chi in bidda "Lucio" est Lutzu, gasi comente "Luciano" est Lutzianu. Fraigadebi subra totu sas teorias chi cherides, ma su datu reale est custu. Sa c durche in bidda essit in tz [ts]; pensade chi Manneddu pronuntziaiat "tzincuetzentotzincuantatzincue" in italianu.

    Pro s'atzentu de chèrrere a mie istat bene de gasi pro como. Cando m'aes a bogare a campu una grafia chi mi andet bene, pro iscrìere e lèghere, cantu (si non prus) de sa LSC, l'apo a pigare in cunsideru.

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  14. Allora, Perra, come ha ricordato la vocale epitetica si pone quando la parola originaria non si è completamente integrata in una, e una sola, forma. Così mentre cor 'cuore' ha prodotto il solo esito: coro, e nessuno direbbe:

    *su cor meu

    altre parole hanno due rese diverse, e nel caso, quelle dell'infinito corrispondente, solo accentualmente, alla III con. lat.: cherrer e chèrrere, quest'ultimo si usa in pausa: (:chèrrere.), mentre nel continuo del discorso si usa cherrer:

    li dia cherrer faeddare
    dia cherrer ischire

    Le forme dell'infinito in -er sono prevalenti nei documenti medievali sardi: faker (e non fakere),battuger (ma anche bature), secondo il Meyer -Lubke la presenza di forme in -ere può far sospettare che ci fosse ancora traccia della II con. lat. (e che quindi aer 'avere' si alternasse ad abère,e non con àbere) e sempre secondo lui, ripreso dal Wagner "negli infiniti dei verbi proparossitoni -e finale è già scomparso in log. ant....e così nei documenti del camp. ant."; anzi in qualche caso si hanno degli infiniti raccorciati: bolle, ponne, ponni, kerri, che ci indicano che la -r finale tendeva a estinguersi. Dunque possiamo dire che cherrer è la forma da eleggere (nell'ipotetica realizzazione di un linguaggio archetipico), e che se vogliamo istituire una microvariazione sintattica possiamo accettare la forma chèrrere in pausa. Ma non so se ne valga la pena.

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  15. Il riferimento è all'articolo:

    Flessione nominale e grammaticale del sardo antico e moderno

    pubblicato dal Wagner su Italia Dialettale nel 1938, pag. 135-140

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  16. Per Rsu46:

    la lingua non è fatta a tavolino? A me sembrava che scrivere chèrrere fosse proprio uno stilema di chi ha riflettuto (a tavolino) sulla diversità che intercorre tra l'italiano grafico: ultimo, medico e lo spagnolo: último,médico. Anche perché, desumo, che l'autore manco spagnolo è...

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  17. Da tempo anch’io, come afferma alberto areddu, preferisco scrivere “facher”, “tenner”, “aer”; diversamente si avrebbero le seguenti antipatiche conseguenze:
    1. sempre l’accento sulla terzultima (fàchere, tènnere, àere);
    2. in posizione sintattica si ha spesso l’elisione della “e” ma anche della “r”, per cui si pronuncia “fachebbene”, logico se scritto “facher bene”;
    3. “-er” finale davanti a consonante perde la “r” e rafforza (raddoppia) la consonante successiva.
    Mi pare che così i conti tornerebbero. Perché complicare ulteriormente le cose ?

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  18. @Alberto Areddu

    Sceti po claresa, no iat a essiri
    mellus a ddi narai "apocope" a sa littera chi nd'arrui a s'accabu de verbu?

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  19. errata
    "a sa littera chi nd'arruit"
    Perdonaimì

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