lunedì 21 marzo 2011

Goffredo Mameli, il Maghreb, la matria illirica e Mamujada

I Mameli d'Italia
di Alberto Areddu
In queste ore e giorni stiamo festeggiando, e dire che meglio non si potrebbe, due ricorrenze storiche. La prima un po' sospesa, ma ben presente sui libri di storia, è il centenario dall'invasione giolittiana dello scatolone di sabbia; per ben dare lustro alla memoria, abbiamo ceduto in queste ore a riinvaderlo, e quantunque il suo attuale governante, detto raìs, come i nostri esperti di mattanze, neanche pochi mesi fa ce lo ospitavamo amichevolmente in gran pompa col suo harem personale, ci siam genialmente detti: "non ce ne frega più niente che ci venda petrolio o ci tenga lontane le cavallette, dobbiamo celebrare come si deve, invadendolo a casa sua e in buona compagnia".
Della seconda sappiamo meglio: è il centocinquantenario della nascita dell'Italia, che benché non fossero ancora accorpati Roma e Nordest, ebbe il crisma della santificazione in una marzolina giornata del 1861, con l'erezione a capodinasta di Vittorio Emanuele di Savoia in quel di Torino. Per quella unificazione si eran battuti ed erano caduti fior di giovani e tra questi, al tempo della Repubblica Romana, il genovese Goffredo Mameli, l'autore del testo dell'inno nazionale che in ogni salsa e ritmo (bello quello di Fiorello), da Bologna in giù in questo anno risentiremo spesso cantare.  Musicato piacevolmente da Novaro, è come noto lordo di retorica e di riferimenti storici ormai obsoleti, in un linguaggio ridondantemente postarcadico, né più né meno di qualsivoglia libretto d'opera della stessa epoca, e chi ne ha tentato l'esegesi strappalagrime e patriottarda è dovuto quindi scendere molto in basso (ma per i cospicui emolumenti sanremaschi ci si può elevare a tali bassezze). 

7 commenti:

  1. Gli studi di Illiricheddu sono per me, semplice appassionato di linguistica sarda, sempre intriganti. Tuttavia, anche a me frulla una mosca in testa. A mio modo di vedere, non é posibile separare il significato di Mameli dai tanti toponimi (Mamoiada, Mamujone, Mamone, Mamuntanas etc), cognomi (Mamusa)e sostantivi vari (mamutone) che si caratterizzano per avere tutti lo stesso prefisso. Il mio stesso pseudonimo potrebbe rientrare nel discorso, visto che Maimone e Mamutone spesso vengono dai Sardi scambiati fra loro. Non escluderei neppure termini come Mamacciara, Mommotti etc. Forse la chiave di tutto é proprio il prefisso.

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  2. Mi viene in mente ora che sul Gennargentu, sicuramente nel comune di Desulo, ma forse anche nei comuni limitrofi, é diffusa una particolare varietà di pero (peraltro facilmente distinguibile dalle altre varietà anche da una certa distanza) detta PIRA MAMMOI, o più semplicemente SU MAMMOI. Aggiungerei all'elenco anche questo termine, perchè la cultivar a me sembra molto antica.

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  3. Nel sito: http://www.civiltacontadina.it/modules/news/article.php?storyid=17, si sostiene che la "pira mamoi" sia abbia "strana forma" e che sia la "parola sarda che indica l'«uomo nero»". Ora sarebbe interessante sapere: a) quale forma ha la mamoi b) se è scura c) se un'eventuale radice mam-mom 'scuro' si ricolleghi in qualche modo ai vari toponimi sardi con mam-, i quali, ripeto quel che ha già detto il Pittau, si appongono invece per certo a luoghi dove ci sono fonti.

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  4. In effetti su mammoi ha una forma un pò particolare perchè rispetto ad una pera normale si presenta schiacciata dall'alto verso il basso, a sembrare quasi una mela. Esteticamente é proprio un bel frutto, anche di discrete dimensioni, che però non é affatto scuro di colore, anzi é piuttosto chiaro. A meno che non ci si riferisca al momento del consumo. Questa pera, infatti, veniva tradizionalmente consumata in inverno dopo "ammezzimento" (credo che si dica così), e cioè sottoposto ad un processo di maturazione post-raccolto (per esempio tenebdola in acqua) che lo rendeva pressoché nero ma facilmente sbucciabile e mangiabile. Fresca dall'albero é pressoché immamgiabile. Ad ogni modo la spiegazione di "uomo nero" mi lascia perplesso. A me in questo senso mi pare che si dica Momotti, ed é un termine usato con i bambini.
    A proposito di bambini ricordiamo anche le mamas (de su entu, de su sole, de sa funtana etc etc).

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  5. Terionimi come "mammoj" "babboj" "babbaj" (spesso scarafaggi o mostri in genere) hanno secondo Alinei una radice familistica, cioè sono deformazioni dei comuni bab- mam-; è probabile che sia così, ma io credo non per deriva diretta, ma per de-ideologizzazione del mondo precedente che ne faceva uso linguistico. Fa il caso di Diana, che era una dea e poi ha acquisito le valenze più o meno positive, di una fata o donnetta minuta. Per "su mammoj" (come i vari giangalloj) la denominazione potrebbe esser dovuta ad attrazione di "piroi" (che deriva da "pir-one") 'pera selvatica'; se ne sarà voluta in qualche modo metter in luce la grossezza matronale.

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  6. Babbai nell'area campidanese é un termine affettuoso per indicare il padre, ma riferito ad animali schifosi o spaventosi mi giunge nuovo. Quanto all'origine familiare di certi termini, in effetti questa é osservabile, giusto per restare a Desulo, nel modo in cui si indicano i nonni: Mannoi e Mannai.

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  7. maimone, in Albania la madre con carezza lo dicono, mamush, mamka ,mentre in albanese mamujone significa nostra madre .
    Pira mammoi in albanese pir mama
    in italiano significa bere al seno di madre, essere alimentato con late dal seno materno

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