martedì 15 febbraio 2011

Crocores 2 di Bidonì. Etruschissimo. Purché non sia capovolto

Crocores 2

di Gigi Sanna
 
Anche per questo intervento vale, ovviamente, la premessa metodologica sull'epigrafia dell'articolo precedente. In quest'ultimo riteniamo di aver mostrato e dimostrato, sia dal punto di vista paleografico ed epigrafico sia dal punto di vista contenutistico-linguistico, che il documento denominato Crocores 6 di Bidonì non solo è autentico ma illumina, nel suo 'piccolo' (con il suo linguaggio formulare, con la numerologia, con la formazione degli imperativi, con la presenza delle enclitiche coordinanti, ecc.) la 'conoscenza', in senso lato, della scrittura e della lingua etrusca.
Riguardo a quest'ultima si è visto che l'intera formula (la stessa ma non identica presente nel fegato piacentino) è composta da lessico di lingue diverse e cioè dalla lingua del luogo (nomi delle due divinità Tin e Uni), dal greco (verbi, aggettivi, preposizioni, esclamazioni) e dal latino (leggera 'coloritura' con il -ve enclitico). Mix linguistico che non sorprende di certo dal momento che si sa che l'etrusco possiede, per consenso unanime degli studiosi, non poche parole di derivazione sia latina che greca. Basta semplicemente scorrere i lessici, anche quelli manualistici, per rendersene conto.
Ora, il fatto nuovo circa la documentazione epigrafica, a mio giudizio, è quello che risulta essere il documento di Crocores 6 (e quindi, conseguentemente, il bordo destro del FP) formato da un'intera espressione. Essa non lascia dubbio alcuno, con la sua compiutezza, sulla strettissima parentela lessicale e morfo-sintattica dell'etrusco con il cosiddetto 'indoeuropeo'. Anzi, se solo si procede ad aggiungere le vocali e si tiene conto della (nota) variazione fonetica di certe consonanti (le occlusive) e delle modifiche dei dittonghi, la scritta offre un testo non dissimile da quello che sarebbe stato se la stessa formula si fosse pronunziata in certe colonie greche dell'Italia meridionale o della Sicilia del VII-VI secolo a.C.; oppure, più tardi, in quei luoghi dove ancora si parlava greco, negli stessi territori occupati dai Romani.

4 commenti:

  1. Sì, hai capito giusto. Ho preferito salvaguardare la forma greca originaria (AIN(E)SATE). Però la forma in etrusco (dato il normale passaggio dalla E alla I) potrebbe suonare AINISATE. In questo caso anche il terzo agglutinamento sarebbe letto con lettura iniziale (da sinistra a destra): ainIS(a)t(e). Se le cose stanno così (E>I) forse si avrebbe maggiore linearità e congruenza perchè con lettura palindroma, in tutti e tre i casi, della legatura si leggerebbe solo il secondo segno trascurando il primo (I E T). Su tale lettura, dove uno dei due segni viene 'ignorato', pensa alla stele di Nora che, guarda caso, si serve degli agglutinamenti per una doppia lettura (mem: shin/ lamed:shin/ sade: shin).
    L'etrusco, secondo me, in fatto di tecnica di scrittura (numerologia, sillabismo, agglutinamento, palindromia, metonimia, scrittura 'con', mix linguistico) deve non poco alle norme vigenti tra gli scribi nuragici 'shardan' e i loro epigoni. La scrittura 'con' (che resiste nella scrittura funeraria delle tombe del III -II secolo a.C.) la potrai vedere nel prossimo articolo. E sarà una sorpresa per molti.

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  2. Eheheh,vero! Figurati dunque quanto nelle vette dei miei pensieri! Ma l'accento suona diverso. Ahahah!

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  3. Eheheh,vero! Figurati dunque quanto nelle vette dei miei pensieri! Ma l'accento suona diverso. Ahahah!

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  4. oh my good!
    e io che speravo che gli archeoasinis avessero un'origine extraterrestre, invece bisogna prendere atto che sono umani e pure sardi doc (denominazione origine controllata)!

    saluti

    Mauro

    PS: a questo punto c'è solo da sperare che il reperto non sia autentico e continuare a sperare che gli archeoasinis siano degli stupidi extraterresti -:)

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