lunedì 12 luglio 2010

Intervista sugli Shardana con Giovanni Ugas

Il saggio del professor Giovanni Ugas (diviso nelle tre parti El Ahwat e gli Shardana nel Vicino Oriente, Qui stavano gli Shardana, Architettura e ceramica Shardana nel Vicino oriente) ha suscitato numerose domande in molti lettori. Le ho sintetizzate, spero correttamente, per porle a Giovanni Ugas che risponde in questa intervista.





1.Il suo saggio su Shardana e el Ahwat sta suscitando, come è ovvio che sia, molto interesse e reazioni che vanno dall'incredulità alla cauta accettazione, dall'incoraggiamento all'attesa del suo libro sugli Shardana. Si attendeva qualcosa di diverso?
Mi attendevo esattamente questo. Ho presentato lo studio El Ahwat e gli Shardana nel Vicino Oriente in questo Blog non solo perché me lo ha chiesto Gianfranco Pintore ma anche con un preciso intento divulgativo data la scarsa accessibilità dell’articolo, pubblicato nel 2008 in un volume israeliano. Dunque non posso che essere grato ai lettori e mi scuso per il fatto che non mi è possibile rispondere a ogni singola domanda e a ogni commento. Questo mio lavoro ha il fine, come del resto lo avrà quello più generale sugli Shardana, di fare il punto sulla situazione degli studi e sulle problematiche relative al primo e più importante “popolo del mare”.
Nell’ottica di una prospettiva di identificazione tra gli Shardana e i Sardi non può essere certo trascurato, come sinora è avvenuto, il tema delle relazioni archeologiche tra la Sardegna e il Vicino Oriente (e l’Egitto) durante l’età del Bronzo. Si è solo all’inizio di una ricerca che, comunque, non è limitata ai soli dati presentati nell’articolo in forma abbreviata e per di più non documentati adeguatamente sul piano iconografico. Io ho cercato semplicemente di aprire, grazie anche all’Università di Haifa e in particolare ad Adam Zertal, la porta di un cammino difficoltoso che risente dello stato non ottimale della ricerca in questo campo poiché sino a un decennio fa nessuna missione archeologica sarda ha operato in contesti del Vicino Oriente. Il mio non è un punto d’arrivo ma di partenza e tuttavia non posso esimermi dal trarre le prime conclusioni.

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Nel disegno: ricostruzione della fortezza di el Ahwat

19 commenti:

  1. Una breve osservazione a commento del piacevole intervento di Ugas. L'affermazione secondo cui "Stando alle attestazioni epigrafiche e alle fonti mitografiche e storiche, nessun popolo vanta un nome affine a quello degli Shardana tanto antico quanto quello dei Sardi della nostra isola", può esser vera, ma è altrettanto vero che Stefano di Bisanzio, che manegggiò materiali di varia origine ed epoca, ed è studioso fidato, riporti:" Sardos, oos Parthos, polis Illyrias. oi politai Sardeenoi", che agli atti è l'etnico più vicino foneticamente a quello dei Shardana.(Stephani Byzantii "Ethnicorum quae supersunt", ed. Meineke I, 556). D'altra parte se un etnico "sardo" è esistito questo il nostro Ugas tende a farlo derivare dall'altrettanto supposto nome libico di Sardos, che non è affatto perspicuo per quanto riguarda l'etimo e non pare inserirsi nel caso lo si valutasse nei termini di un teonimo, nel novero comune degli etnici. E' forse utile ricordare comunque che la Libia è stata una testa di ponte di diverse popolazioni provenienti dall'Egeo, assai anticamente. Peraltro riguardo ad elementi di provenienza berbera nel sardo, se ne sono stati trovati, possono essere facilmente addebitati al tempo dei Fenici, ma qui bisognerebbe interrogare il venerando Paulis, che si dice ne sappia più di tutti noi.

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  2. Caro Giovanni
    In primis ti inviterei a riflettere su uno scritto di Lucia Vagnetti che sostiene che gli shardana sono arrivati nell'Isola nel XIII, ascolta cosa dice: «Moreover, in regard to the identification of the Sherden with warriors of Sardinian origin, a further difficulty arises from the almost complete lack of evidence for armor and weapons in Sardinia in the local Middle and Late Bronze Ages. Although this is admittedly an argumentum ex silentio, it is surprising that, if the Sardinian of the 14th century were renowned warriors enlisted in the service of Egypt, no trace of weaponry has been preserved in their supposed area of origin. If the warrior status had a particular importance for the Nuragic people, it should be visible in tombs.». (Vagnetti 2000).

    poi ti chiederei cosa ci facevano i nuragigi in Egitto e Palestina?

    per me non ci sono nè motivazioni valide nè, soprattutto prove di natura archeologia che possano dimostrare che i nurgaici fossero gli shardana invasori dell'Egitto.

    é immensamente più verosimile ritenere che gli shardana fossero l'etnia maggioritaria di quel levantini egeo-anatolici che arrivarono in sardegna a partire dal XIV secolo.
    nel mio ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO NURAGICO ritengo che ho tratteggiato uno scenario alquanto verosimile che spiega le ragioni per le quali si insediarono in approdi strategici dell'Isola, che qualche secolo più tardi prenderà anche il nome da loro.

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  3. Caro Prof. Ugas
    leggo sempre con attenzione e interesse i suoi interventi. avrei un paio di dubbi:
    1) la spada di bet dagal da Lei citata, sempre che sia la stessa, non sarebbe un po troppo antica per esser attribuita ai popoli del mare?
    è in rame arsenicato come quelle di produzione sarda (iroxi, Maracalagonis). ma proprio per questo motivo mal si prestano ad essere inserite nelle vicende dei popoli del mare quando ormai le armi erano in bronzo di stagno.
    si potrebbe pensare anche però ad una convenzione pittorica egizia, come pure al fatto che le forme delle spade del bronzo antico-medio siano perdurate durante il bronzo recente.
    In effetti una daga sarda di lama triangolare ma di bronzo i stagno sembra suggerire questo . volevo il suo parere.

    @ Mauro
    caro mauro capisco che ciascuno usa le sue armi e l'autorevolezza dei passi che gli son cari. ma come ebbi diverse e diverse volte a chiederti, la Vagnetti (che ripeto, non sono riuscito ancora a leggere) ha preso in considerazione le spade di iroxi-maracalagonis? continuo a chiedertelo, perchè la Lo schiavo con cui la vagnetti collabora, lo ha fatto da tempo e ha stabilito che a causa di talune particolarità che le differenziano le spade iroxi siano spade di produzione sarda, successive a quelle di al argar (accetta la datazione del prof Ugas) ma comunque derivanti da una base comune (quela campaniforme o epicampaniforme)...dette spade di iroxi tecnologicamente parlando non differiscono neppure, tranne che per la lunghezza, dalle daghe trovate in altri siti nuragici del bronzo medio, lasciandoci intravedere una cultura nuragica guerriera gia nelle sue origini.

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  4. Buongiorno Professore. La ringrazio per tutto questo materiale che ha fornito, sono certo che ci sarà molto da discutere in futuro, e mentre attendiamo con impazienza la pubblicazione del suo lavoro vorrei fornire due miei pensieri in merito a queste sue affermazioni.

    1) L’identità tra Keftiu, Kaptara e Creta è oramai considerata certa pressoché da tutti gli storici e archeologi moderni.

    2)Non esistono documenti archeologici sardi che presentino segni di scrittura attribuibili al Bronzo ad esclusione dei marchi derivati da scritture lineari sillabiche riportati sui grandi lingotti di rame assegnabili al XVI- X a.C, ma la cui produzione sarda è fortemente problematica.

    Risposta 1:
    Fra gli scritti recuperati nel tempio di Amenophi III, 6 sono settentrionali e, fra questi, uno mostra una lista di nomi. Nel titolo ci sono Keftiou e Danai e si parla di oggetti che giungevano in Egitto lavorati "secondo la tecnica Keftiou". Dalla parte opposta ci sono 12 nomi, fra i quali Amnisos (porto di Creta per Strabone), Phaistòs, Kydonìa, Mykènè, Wìlios, Nauplìa, Kythera, Wìlios, Cnossòs, di nuovo Amnisos e Lyktos. Il testo sottintende esperienze dirette, pratiche di navigazione e conoscenza dei portolani. Si deduce una realtà concreta con scambi di merci e di esperienze. Questo documento non ci fornisce prove che Keftiou sia Creta, dal momento che i termini sono usati come etnici e non come territoriali.Come è stato possibile identificare Keftiou con Creta? Era nominata insieme alle isole del centro del Grande Verde, confuse e scambiate con le isole dell’Egeo, per cui la prima fra queste non poteva essere che Creta. Quando si riferiscono a Keftiou gli egizi indicano un paese situato a occidente, ai confini estremi del mondo conosciuto, cosa che non si accorda con l'immagine di Creta o dell'Egeo, ma rientra nell'orizzonte dell'Haou-Nebout, agli estremi universali, con la necessità di utilizzare speciali imbarcazioni per raggiungerla. Ma se Keftiou va relegata nel lontano orizzonte oceanico, con quale nome indicavano Creta gli egizi? Sui documenti il nome di Creta esiste, ed è decisamente più appropriato, per quella che abbiamo sempre conosciuto come l'isola di Minosse: Me(i)nous. Popolata dai Keftiou, è riportata nelle varie liste dei popoli, associata e preceduta da Keftiou. Nella tomba di Amenemheb, un personaggio della nobiltà militare della XVIII dinastia, c'è un testo che accompagna la raffigurazione di tributi, e cita: "i re del paese Keftiou e di Minous". Era Keftiou che dominava in mari e Minous-Creta era la sua base mediterranea. In alcuni elenchi di paesi stranieri Minous risulta associata anche a Isy e scompare dai testi dopo la scomparsa di Keftiou. I minoici partecipavano insieme ai Keftiou e agli Haou-Nebout del Retenou (Siria) a commerci di beni preziosi in tutto il Mediterraneo. Keftiou deve quindi essere considerata come regione naturale, o come civiltà, importante quanto quelle dei Mitanni e della Mesopotamia, e si situerebbe nel lontano occidente.
    Risposta 2: L'indagine archeologica è ancora aperta (nel senso che futuri scavi chiariranno certamente il problema) ma sono certo che una civiltà così completa e prestigiosa, quale quella dei costruttori dei nuraghe, dovesse obbligatoriamente utilizzare forme di scrittura per comunicare con l'esterno (trattati di collaborazione), per la religione e per l'organizzazione interna (tributi e archivio). Sono possibilista verso una forma di scrittura che mescolasse caratteri indigeni integrandoli con i sistemi di scrittura già noti all'esterno. Un popolo di naviganti e guerrieri (oltre il resto) non poteva non appropriarsi di una tecnologia così importante quale era (ed è) la scrittura, ossia il sistema di comunicazione. Sarei molto cauto nell'affermare che la scrittura non c'era o che non era necessaria per quel tipo di organizzazione.

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  5. Cara Aba,
    mettendo a confronto il mio ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO NURAGICO con gli scritti di Giovanni Ugas è facile notare che dissentiamo totalmentesia sulla funzione dei nuraghi sia sui caratteri della società nuragica.
    Cosa vuol dire i nuragici secondo mauro non scrivevano?
    In primis c'è da specificare che segni (sia nuragici che pre nuragici) che per me avevano un significato simbolico per voi (tu e Gigi) hanno un significato scrittorio (se il futuro darà ragione a voi , sareste ricordati come e meglio di M. Ventris, non l'archeoasinis CoroneoBoys, mi riferisco a quello vero).
    Resto convinto che tra simbolismo e scrittura esista una differenza, seppur entrambi trasmettono, attraverso dei segni, dei messaggi.
    Insomma per me il nuraghe e la tomba di gignati tramettono dei messaggi di tipo simbolico e non scrittorio.
    Ma se andiamo a vedere che a partire dal XIII secolo a.C. come ha finalmente ammesso anche Paolo Bernardini , iniziano ad arrivare dei segni scrittori dal levante del mediterraneo. Bisogna, dunque, considrare che a partire da quella data, sarebbe normale ritrovare scritte (realizzate dai nuovi arrivati o dagli indigeni nuragici) in alfabeti d'origine levantina.
    Ovviamente tocca agli specialisti e non a me valutare le vostre proposte.
    Insomma nel quadro storico della Sandars (a cui aderisco) non sarebbe anormale ritrovare scritte in alfabeti levantini a partire dal XIII sec. a.c.

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  6. Apprezzo molto la chiarezza delle risposte date da Giovanni Ugas, oltre al fatto che le sue affermazioni e ipotesi sono saldamente rapportate a fatti e a ragionamenti forti.
    Apprezzo anche le domande, estremamente sintetiche e univoche, poste da GFP, che hanno di certo facilitato l'esprimersi dell'intervistato.
    Naturalmente i miei apprezzamenti e le eventuali obiezioni valgono quello che valgono, essendo io solamente un appassionato della materia. Due punti solamente voglio mettere in luce del discorso di Giovanni, dato che altri sono entrati nel vivo del discorso.
    Il primo, coraggioso da par suo, sta nella chiusura dove confessa la sua passione per il lavoro che svolge e quel chiamarsi fuori dal cerchio degli "scienziati" ai quali ogni altrui obiezione pare solo uno sgambetto ed un reato di lesa maestà. "io non credo che le cose stiano come tu dici - sembra dire - ma sentiamo le tue ragioni".
    Il secondo è il contrario del primo, dato che non è consequenziale con tutto quanto detto prima a proposito di Shardana-Sardi che trafficavano per mezzo millennio e oltre, e non come comparse, dalle parti dove l'alfabeto (gli alfabeti) sono nati e cresciuti. Ai Shardana la scrittura non serviva, a causa della frammentazione amministrativa del territorio sardo. E poi non si conoscono lettere scritte dai Shardana ai re degli altri popoli contemporanei.
    Sicuramente nessuno dei colleghi di Giovanni cercherà firme o tirerà fuori un cartellino giallo per queste sue affermazioni, ma si converrà con me che la loro diffidenza non diminuirà affatto.

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  7. elio ha postato questo commento

    "Sos poetes" si dividono in due categorie e sono rari i casi di singoli personaggi appartenenti ad entrambe. Ci sono "sos poetes de palcu" e quelli di “tavolino”.
    Se "sa gara poetica" ha avuto i natali in epoca recente, i cantori, gli aedi, i rapsodi sembrano aver origini che si perdono nella notte dei tempi. Fra questi mi pare che i nostri “improvvisatori” possano avere diritto di cittadinanza e vantare origini comuni.
    I secondi, invece, hanno un limite, come antichità, oltre il quale non possono andare: l'utilizzo della scrittura, per la composizione della loro opera, non può precedere la sua invenzione.
    La tradizione orale, è vero, si porta dietro un effetto collaterale particolare: non si può mai essere sicuri che col passare del tempo il messaggio iniziale rimanga inalterato. Anzi, si può essere abbastanza certi del contrario. Succede come nel gioco che si faceva da bambini, in cui il primo di una lunga fila (allora, bambini ce n’erano) sussurrava una parola all’orecchio del vicino che la ripeteva al successivo e così via fino all’ultimo. Il divertimento stava nel constatare quanto il messaggio iniziale venisse fuori storpiato, alla fine della catena. Nel gioco, il messaggio poteva essere alterato ad arte, per ridere di più.
    Nella trasmissione di fatti, di imprese rilevanti, di avvenimenti significativi o di scadenze non eludibili, da ripetersi ciclicamente, come nel tramandare da una generazione all’altra, cerimonie, riti ma, soprattutto, formule, canti, invocazioni, salmi o preghiere, l’errore doveva essere evitato in sommo grado.
    Sia nella sfera del sacro, sia in quella civile, il cui confine era perlopiù labile ed evanescente, tutto era affidato alle parola e alla memoria di essa. Importantissime dovevano essere le tecniche di memorizzazione, aiutate dalla scansione del componimento, dalla metrica, dalla rima, dalla musicalità dei versi. Non è da escludere un accompagnamento musicale di opportuni strumenti.
    Nell’ascoltare i nostri “cantadores”, mi pare di rivederli in lontane stagioni, girare di “corte” in “corte” a distribuire la “conoscenza” da rinserrare nel cuore e nella mente di chi ascoltava. Senza nessun aggancio neanche lontanamente “ scientifico”, sto dalla parte del “militarista”, in buona compagnia, Ugas.
    Preferisco lasciarmi trasportare e cullare in una immaginifica dimensione in cui il “verbo” contava. Per ora preferisco non farmi irretire in prese di posizione che vogliono apparire scientifiche ma che con la scienza, mi pare, abbiano poco a che fare dal momento che, da troppo tempo, coesistono e si combattono teorie opposte su reperti, date, interpretazioni e teorie in materie altamente opinabili quali la linguistica, l’epigrafia e finanche la “nostra” archeologia.
    Continuerò a leggere con diletto e interesse Gigi Sanna, Aba Losi, Giovanni Ugas e anche Mauro Zedda che, noistamus de dhu ligiri mi tocat a dhu ‘ntendiri (me lo posso permettere perché è un amico), intervenendo, se me lo permettono, nei loro discorsi. Rimango in fiduciosa attesa che dicano qualcosa di inconfutabile, per esempio, sul fatto che i nuragici scrivessero.
    Fino a quel momento continuerò a pensare che non lo facessero. Perché? Perché non ne avevano bisogno

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  8. A mio parere Giovanni Ugas non poteva essere più chiaro di fronte all'ottima sintesi preparata da Gianfranco Pintore.
    Con questo intervento non entro nel merito dei singoli problemi: le singole risposte meritano prima un opportuno approfondimento.
    Vorrei communque porre l'attenzione, ancora una volta, sull'onestà intellettuale del dr. Ugas: pur non condivedendo in pieno tutte le sue risposte non posso certo dire che "abbia girato intorno ai singoli temi". Anzi, ha dato risposte secche e, in alcuni casi (così almeno mi sembra) decisive!
    Intanto prendo atto del fatto che il professore dichiari formalmente: di evere notato la "scarsa accessibilità" offerta al suo articolo, di "stato non ottimale della ricerca" in certi campi e che il suo "non è un punto di arrivo, ma di partenza".

    Giuseppe Mura

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  9. Caro Dedalo.
    Su quello che mi chiedi hai risposto tu stesso nella domanda che hai fatto ad Ugas, che cioè sant'iroxi sia prenuragico.
    Dove sono le spade del bronzo medio? se lo chiedono anche al Vagnetti, la Lo schiavo e la Depalmas se se lo chiedono loro vuoi che non me lo chieda anch'io.
    Mi poni una questione che ci farebbe andare fuori tema e sul quale penso di aver risposto nel libro citato in precedente commento, perchè non prepari un articolo dove critichi quanto dico nel mio libro?

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  10. @ Aba

    "Sardos, come Parthos, città dell'Illiria, i suoi cittadini [si chiamano] Sardenoi".

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  11. @ Atropa
    Il "mio" Norace è uomo da marciapiede, va con chi lo chiama; salvo il trattenersi. Dipende dalla compagnia, con te si troverà benissimo.
    Non mi tornano i conti con la 'necessità' dello Spirito di manifestarsi attraverso la scrittura.
    Ne ha fatto a meno a dir poco per novantamila anni, immagini a parte ma non le definirei scrittura, tutto a un tratto ne avrebbe sentito il bisogno.
    Sotto, sotto, ci sento 'profumo di business.

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  12. @ Atropa Belladonna
    Ciao Atry, alcune considerazioni di carattere generale.
    Ti meravigliasti non poco, qualche tempo fa, nel leggere del mio scenario dell'Età del Bronzo che prevedeva la presenza dei Nuragici (vado in ordine geografico, non cronologico) a Creta, in Grecia, nell'Anatolia occidentale, nel Canaan e in Egitto che capovolgeva le direttrici culturali del tempo.
    Ti rendi conto che oggi stiamo già discutendo sulle origini dei singoli Popoli del Mare, sulla presunta cesura del tipo di rapporto tra Shardana-Nuragici ed Egiziani nel paese del Nilo, sull'estensione dei territori controllati dagli Shardana-Nuragici nel Canaan?
    Ci rendiamo conto che tutte le aree geografiche con le quali i Nuragici entrarono in contatto per secoli praticavano varie forme di scrittura e che non è possibile affermare con certezza che non le conoscessero?
    Pertanto andiamo avanti, intanto passiamo voce: i semafori perennemente rossi che impedivano agli antichi Sardi di lasciare la loro meravigliosa isola si sono definitivamente spenti.
    Ti auguro serene e riposanti vacanze

    Giuseppe Mura

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  13. @ Mauro:
    stava per partire e qualcosa in realtà l'avevo pure scritta, poi mi sono fermato causa tempo, lavoro, altri studi. ovviamente mi piacerebbe anche criticare meglio Ugas, ma temo proprio che non ci riuscirò per i soliti motivi, di cui sopra.

    vedrò di leggere la Vagnetti appena potrò.mi trovo a dover rimandare in continuazione...

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  14. Caro prof. Ugas,
    francamente non credo che le sue parole abbiano deluso qualcuno, leggerla è sempre molto interessante, nessuna delusione dunque. Certo quando lei afferma:
    “Non esistono documenti archeologici sardi che presentino segni di scrittura attribuibili all’età del Bronzo […] Mi spiace dire che non conosco altri documenti che possano indiziare l’esistenza di un qualsiasi tipo di scrittura tra le comunità sarde di questo periodo.” …beh, allora, diciamo che un leggero trasalimento in uno che segue da tempo e con tanta passione le ricerche del prof. Sanna, ma anche soltanto in un attento lettore di questo blog, lo ha certamente provocato. Ma dopo il sobbalzo è passato tutto, perché, si sa, è il grande limite delle “scienze umane”: si va per compartimenti stagni!
    Forse le cose miglioreranno in futuro, “l’archeologia è una scienza giovane”…forse bisognerebbe cominciare staccarla da lettere, far fare anche qualche esamino di matematica, topografia, biologia, chimica, un po’ di fisica, statica, epigrafia più antica di quella latina e greca…chissà, magari maturerebbe più in fretta…

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  15. ATRY scrive:

    ""no caro Giuseppe, non mi ero stupita che tu dicessi quelle cose: mi ero stupita che tu avessi dato voce ad un mio pensiero, che grosso modo si articola così: "Se dalle varie analisi i sardi sembrano essere oroginati un pò da Dappertutto (Illiria, area egeo-anatolica, egitto, siria, mesopotamia, palestina), perchè invece non pensare che furono loro (o anche loro) ad andarci nel Dappertutto?""

    Avete mai pensato che c'è una terza via più logica e più scientificamente probabile?
    LA COMUNE ORIGINE di una stessa CULTURA.

    Quando nel 2006 conferenziai per gli amici Bulgari, in VIDEOCONFERENZA partecipò l'archeologa DIMITRINA MITOVA, la quale sostiene nel suo libro (che mi regalò) che i SHARDANA e gli altri "USCITI dA UR" (i popoli del Mare) originarono anche la cultura della sua Terra. Dove si trova il pozzo sacro di JARLO, non distante dall'antica SARDIKA, fondata dalla "Jente Sarda" (parole sue e dei latini). Insomma l'attuale capitale SOFIA.
    Ma non furono i SHARDANA a originare LA NAZIONE bulgara. Solo ci frequentarono. proprio come i Romani dopo.
    Kum Salude
    Leonardo

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  16. Se io fossi Giovanni Ugas, e non lo sono...
    Se io fossi in lui, come lui, archeologo, ecc. ecc., bene, avrei detto le stesse cose che ha detto lui. Sì, anche a proposito della scrittura nuragica.
    Ha avuto coraggio a dire Shardana=Sardi e tutto il resto, argomentando in modo che nessuno ha tirato fuori dei ma e dei se.
    Ma Giovanni non è uno scellerato: se avesse detto qualcosa che potesse sembrare un consenso a quanto Gigi Sanna e tanti altri scrivono nel blog di scrittura nuragica, cosa avrebbe ottenuto?
    Gli antagonisti suoi e dell'equazione Shardana=Sardi avrebbero avuto gioco facile per buttare tutto nella spazzatura, facendosi forza della debolezza "scrittura nuragica".
    E allora?
    Che dopo tanta frequentazione nelle zone e nei tempi giusti dove nacque la scrittura alfabetica i Sardi-Shardana non è improbabile che scrivessero pure, bene, questo lo lascia ribadire a noi qua dentro.
    E se la ride, credetemi.
    Caro Giovanni, non prendertela se per un momento sono diventato così tanto supponente da entrare, da credere di essere capace di entrare nei tuoi pensieri.
    In fondo, sto dicendo che non sei mica un fesso.

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  17. @ francu pilloni

    Concordo.
    Le due teorie sono coerenti (quella del prof. Sanna con quella del prof. Ugas), l'una rafforza l'altra.
    E' come spalmare un cucchiaio di miele di corbezzolo in una seada appena fritta.

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  18. caro Giovanni Ugas, in una precedente intervista da parte di Pintore (30 giugno 2008), alla domanda sull'uscita del libro , la tua risposta fu: "Il lavoro è da qualche tempo in dirittura d’arrivo e mi spiace che per varie ragioni non sia ancora uscito dalle stampe. Spero (e che sia la volta buona) che il libro veda la luce entro i primi mesi del prossimo anno." Ben sapendo che la parte più difficile sono le "aggiustattine" finali spero che l'attesa sia questione di mesi e non di anni!

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  19. ...e il miele di corbezzolo? Delizia per il palato e corroborante per il cervello.

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