domenica 16 maggio 2010

I giorni di s'Akkabu

di Davide Casu

Quando li scorsi giungere, debbo dire che non mi avvidi da subito che, secondo quanto detto dai babai, costoro fossero gli unici ad esser giunti sulle nostre sponde dai giorni de "su Akkabu". Assai 
simili a noi nel linguaggio e nella carne non diffidavamo entrambi all'incontro... Li accompagnammo alle "grandi pietre", attraverso quattro leghe di terra ardente, il nostro villaggio si sarebbe offerto loro alla vista sulla collina che i babai chiamavano delle "tombe di Pretu". Evidentemente logorati dal viaggio, provenienti da chissà dove, dilaniati dai denti del mare, facevamo noi da traino ai loro corpi quasi esanimi.
Dalle grandi pietre, la nostra gente, avvistatici da almeno un quarto d’ora, ci avrebbe atteso ansiosa; era difatti già diffusa la notizia che degli altri umani fossero approdati sulla costa dell'Alighera, lì dove, sotto le onde, si raccontava fosse sorto uno degli immensi villaggi eretti dai nostri antepassati.
Quando il nostro Vell convocò la riunione delle anziane, io, già donna, fui ammessa all'incontro con i forestieri; quello che doveva essere il loro capo, il Vell, raccontò i successi che avevano coinvolto il loro gruppo causandone l’arrivo presso il nostro litorale. 
Erano partiti in 200, affermò, su quattro imbarcazioni salpate dalle terre dell'est, circa 3000 leghe al largo dell'isola di Gaddura;. Un giorno, figlio, ti porterò su quella terra; Zifara, la figlia del Vell, racconta che ci vivono cose che nessuno ha mai visto ed è per questo che i Vells ne proibiscono da sempre l'accesso: dicono che agli uomini è ormai interdetta la meraviglia, l'incontenibile fragore della vita.
Tra gemiti, colpi al petto e abbondanti lacrime, il loro capo disse che la loro terra era ormai sale,
le riserve di acqua erano svanite in una notte, quando il suolo cominciò a tremare rovente
e tutto consumare. Dai giorni de su Akkabu, avvenuto circa 300 anni prima, avevano sperato di non dover mai concedersi al mare, infine solo una settimana prima avrebbero dovuto dare la faccia al destino e navigare verso ovest, dove avevano udito che un tempo si trovasse la terra del "grande verde".
Da 300 anni sino ad allora si era sempre cercato di renderci genticamente più vari che si potesse, ma non fu per quello che caddi infatuata di quell'uomo... All'alba del giorno seguente, un cielo color dell'infezione, la sabbia ed il vento di nord già di subito nefasti, ci svegliarono e ci videro, me e quell'uomo, vagare tra i terreni sottostanti le grandi pietre, forse già in cerca di un intimità impossibile in quella vallata di niente, dove neanche l'ombra osava più dimorare. Sostammo durante la mezza giornata, scavando in cerca di qualcosa da buttare giù e ci spostammo poi a bagnarci alla volta del canale di Sixeri, dove, tra un cabussò e l'altro, riferivo le leggende che si solevano raccontare su quei luoghi irmenticados.
Si diceva che un tempo, più di quattromila anni fa, il nostro popolo fosse tra i più gloriosi di allora, e che lì, proprio lì sotto, quando ci si immergeva nelle giornate più terse, quasi affianco all'oscuro abisso, si potesse intravvedere una magnifica dimora fatta di torri e massi enormi. Verso l'ora della notte, diretti verso le "Grandi Pietre", che dicono anch'esse essere state erette millenni di anni fa, passammo per "il Suelgiu". Era questo l'unica grande pianta che esistesse al di fuori di Gaddura, e devi sapere che un tempo tutta la nostra terra era coperta di questa pianta e non solo, animali grandi quasi quanto bimbi, e milioni di colori, più numerosi della sabbia tappezzavano ogni angolo di questa desolata landa; e non v'è più nessuno oggi che conosca l’esistenza di parole che decrivano quello che fu Sardinia ed il suo popolo. 
Marco, questo era il nome di quell'uomo, di tuo padre, pendeva dai miei aneddoti, da quelle leggende ormai inconcepibili per lui e, reso al mistero, mi domandò infine: -Sai tu com'è che tutto ciò è finito?- Non avevo responso alcuno, avevo sentito de su Akkabu migliaia di volte e mai avevo chiesto cosa realmente fosse accaduto; così che, una volta congiuntami con quell'uomo, incinta di te, persi memoria di quel quesito fin quando egli mancò e, scorti nella mia memoria i suoi occhi increduli domandarmi perché Sardinia fosse finita, mi rivolsi a MamaiAna.
Questa era donna di Scienza, del sambenadu di Carbia e da generazioni costoro si tramandavano il Passato; ma quando, una volta affianco a lei, le esposi la questione, la donna esplosa in lacrime mi chiese di tacere le mie curiosità e solo aggiunse:
-Se solo avessimo saputo scegliere, Lei, ormai così ineffabile, sarebbe ancora "mama, fizza e isposa".
Con lei, con MamaiAna, si estinse il segreto sulla nostra disgrazia, con lei forse si estinse l'ultimo frammento di quell'antica Sardinia.

4 commenti:

  1. Sempre molto profondo Davide, nell'intento di (ri)creare una grande e bellissima mitologia, ci trascini in ambientazioni familiari alla nostra estraneazione, magica e crepuscolare...complimenti ancora una volta no so dove vai ma ti seguo perfettamente ahahah.

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  2. Ciao artista, vedo che l'animo Algherese ha sepolto i fantasmi di Madrid...bene, sono felice per te. Un caro saluto.

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  3. scusate se non ho calcolato i vostri commenti, ma ormai non ho realmente tempo per fare nient'altro che il massaiu... scusate anche per gli errori di ortografia e punteggiatura, che mi ha segnalato mio padre, però come ho già detto la fretta e la mancanza di tempo a volte non mi permettono neanche di fare la doccia...
    un saluto a jotta dedalo e montalbano...

    davide casu

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