lunedì 1 marzo 2010

Cagliari, la rocca gialla

di Massimo Pittau

Siccome in questi ultimi giorni sono stati citati alcuni brani di quanto io ho scritto sulla etimologia del toponimo CAGLIARI nel mio «Dizionario della Lingua Sarda» (Cagliari 2003, vol. II pag.571-572), chiedo al Direttore del blog il favore di pubblicare l’intero testo della mia notazione:
Cagliari (Cágliari; ant. Karalis, Caralis, spesso plur. Carales).- La odierna denominazione locale del toponimo è Casteddu = «Castello», denominazione che in origine indicava il rione alto della città, la sua acropoli o roccaforte. Fino all'inizio del Novecento la città veniva chiamata anche Casteddu Mannu «Castello Grande» per distinguerlo da Casteddu Sardu «Castelsardo», che era il «Castello Piccolo».
È da respingersi con decisione la tesi corrente, secondo cui Cagliari sarebbe stata fondata dai Fenici; la testimonianza di Claudio Claudiano (I, 520), che la dice «fondata dai potenti Fenici di Tiro», non ha alcun valore perché è troppo tardiva (IV sec. d.C.). È assurdo infatti ritenere che, molto prima dei Fenici, i Nuragici non avessero messo occhio e provato interesse per questa località, caratterizzata come era da facili approdi, sia ad oriente che ad occidente, munita di un colle dirupato facilmente trasformabile in roccaforte, ricca di importanti saline e posta all'imboccatura di quella laguna di Santa Gilla, che non solo era molto pescosa, ma portava anche fino ad Assemini, nella direzione delle risorse agricole del Campidano e di quelle minerarie dell'Iglesiente.
D'altra parte risulta accertato che nell'area di Cagliari lo stanziamento umano è molto più antico dell'arrivo dei Fenici in Sardegna, dato che risale al periodo eneolitico e forse a quello neolitico, come risulta dai ritrovamenti effettuati nel colle di Sant'Elia, a San Bartolomeo ed a Monte Claro. Inoltre è quasi del tutto certo che il toponimo Karalis/Caralis - come aveva già sostenuto Max Leopold Wagner (La Lingua Sarda, pag. 141) - è sardiano o proto/paleosardo, dato che esso trova riscontro nei toponimi Carále di Austis e Carallái di Sorradile. Inoltre esso è da confrontare coi toponimi antichi Káralis o Kárallis della Panfilia e Karalléia della Pisidia, in Asia Minore (Strabone, XII 568; PW; LS 141; OPSE 102). Il quale accostamento interviene a confermare la tesi della venuta dei Sardi dall'Asia Minore (cfr. Ardali, Arzachena, Bargasola, Libisonis, Scandariu, Sindia, Siniscola, Tiana).
Ma assai più importante è osservare che il toponimo Karalis/Caralis è probabilmente da collegare con l’appellativo sardiano cacarallái, crialléi, crièlle, chirièlle, ghirièlle «crisantemo selvatico» (margherita di colore giallo) (Chrysanthemum coronarium, segetum L.) e «macerone» (Smyrnium olusatrum L.) e con l’altro garuléu, galuréu, galiléu «pòlline dei fiori, pòlline depositato nel miele» (che è di colore "giallo oro"), tutti da confrontare - non derivare – col fitonimo etrusco garouleou «crisantemo (selvatico)» (LELN 100; OPSE 102, 116, 143, 211-212; LISPR, DETR 93) e inoltre probabilmente col greco chlorós «giallo» (indeur.; GEW, DELG).
Con quest'ultimo accostamento è molto probabile che trovi la sua esatta spiegazione il fatto che nell'Ottocento e nel Novecento viaggiatori forestieri definivano Cagliari "gialla", colore che veniva attribuito alla città perché la roccia della sua roccaforte "il Castello" - che in quei tempi era di certo assai più visibile di adesso - era per l'appunto "gialla". Si veda Alberto La Marmora, Itinerario dell'isola di Sardegna, (Cagliari 1868) pag. 14: «color bianco giallastro della roccia calcarea»; pag. 25: «La pietra calcarea di quest'edifizio [la Torre dell'Elefante] è tirata dall'antica pietraja di Bonaria, pietra forte giallastra. Vedi Parte Terza, descrizione Geologica: cap. VII, pag. 257». Grazia Deledda nel 1899, nella rivista Natura ed Arte, num. 12, scriveva testualmente: «Cagliari è fatta di case giallastre» (G. Deledda, Versi e prose giovaninili, a cura di A. Scano, Milano 1938, pag. 218). Ma anche in epoca più recente, cioè nel 1932, Elio Vittorini definiva Cagliari «È fredda e gialla. Fredda di pietra e d'un giallore calcareo africano». E infine lo studioso Francesco Alziator, avendo detto che «Per qualche secolo, Bonaria è stata la cava dalla quale venivano fuori le pietre per le case e la breccia per le strade», specifica dicendo «Bonaria era una collina nudarella di calcare (….) che a primavera ricopriva il suo squallore giallastro con una grande infiorata di gigli» (L’elefante sulla torre, Cagliari 1979, pag. 217).
In conclusione, a mio avviso, è molto probabile che in origine Karalis/Caralis significasse «(La (Roccia o Rocca) Gialla».- La trasformazione dell'antico toponimo in quello attuale è di certo avvenuta attraverso le seguenti fasi, tutte storicamente documentate: Caralis > Calaris > Callari > Cagliari. L'ultima forma del toponimo è effetto della pronunzia spagnola della penultima (la quale si riscontra tuttora a Ollolai).
In epoca classica il toponimo ricorreva spesso nella forma del plur.: Karales, Carales. Come capitava per altre città antiche, il plur. voleva indicare la grande estensione della città; ed è quanto aveva segnalato lo stesso Claudiano, quando aveva scritto: tenditur in longum Caralis «Cagliari si distende in lunghezza».
Risale già all'epoca romana la forma del suo etnico Caralitanus e Carallitanus (RNG 309), con una indecisa intensità della consonante liquida che trova riscontro anche nelle forme del toponimo Calari e Callari e perfino nella pronunzia di quella consonante nell'odierno dialetto campidanese.

22 commenti:

  1. Grazie. Mi pare evidente che non percorra piste babilonesi.
    Più in generale, vorrei chiedere a lei, al cui responso volentieri mi sottometto:
    come giudica, in termini di metodo e di verosimiglianza storica, il tentativo di spiegare toponimi sardi col babilonese.
    Grazie in anticipo. Batsumaru

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  2. Al Professor Pittau
    Questa sua precisazione era necessaria.La ringrazio per questo. Comprenderà che riportare l'intiero pezzo mi era impossibile,non avendone peraltro titolo.Avrà certo notato che ho inserito il link della sua pagina così ognuno poteva andare a leggersi tutto il pezzo.
    La seguo da parecchio e possiedo quasi tutte le sue pubblicazioni.
    Sulla questione Lidica,ritengo che le sue considerazioni abbiano visto bene,mi riservo però di esprimere dei pareri precisi in altra circostanza.
    A tale proposito non posso non fare a meno di rivolgermi ad alcune sue citazioni prese dal suo
    -Origine e Parentela dei Sardi e degli Etruschi-.Nel Capit.III Le connessioni culturali fra Lidia e Sardegna a pag.81 "Il Sardus Pater e il santuario di Delfi"ritrovo questa citazione:
    "...Abbiamo già visto la notizia riferita da Pausania,secondo cui i Sardi della parte occidentale dell'isola avevano mandato in dono una statua bronzea del loro capostipite Sardus Pater al famoso santuario greco di Delfi.Da questa notizia si deve trarre una prima conseguenza di carattere storiografico:se i Sardi avevano donato la statua del loro dio eponimo al santuario di Delfi,è evidente che essi lo frequentavano spesso ed è anche evidente che essi si muovevano pure spesso nell'area del Mar Egeo,dove il santuario era situato"

    Ora questa sua giusta considerazione,confortata odiernamente anche dai rinvenimenti archeologici nel meditterraneo Orientale,dimostra che,il percorso Sardegna Egeo nelle rotte dei sardi è accertato.
    Non solo conferma questo,ma delinea,in modo assai chiaro, alcuni altri aspetti:
    1)I Sardi in antichità possedevano loro flotte ed una marineria che consentiva lunghi tragitti;
    2)I sardi in antichità conoscevano le rotte,(a tal proposito invito la lettura anche dei testi di Giangiacomo Pisu,uno che di correnti e rotte,da e per la Sardegna,se ne intende),e che spesso sfruttavano le correnti per arrivare a destinazione con il minimo sforzo;
    3)Le navi dei Sardi raggiungevano le coste orientali del Mediterrareno,prova ne sia ad esempio El-Ahwat,dove sono stati riscontrati grandi parallelismi con la Sardegna Nuragica.
    Ora nella medesima pagina del suo testo lei parla di Sardi,Lidi ed Etruschi come di tre tronconi della medesima etnia.
    Ebbene,ritengo che,anche su questo abbia visto bene,l'unico aspetto da appurare è come questi tre tronconi(ma penso ve ne siano anche altri)si siano venuti formando,o se i vari tronconi siano esclusivamente il risultato di varie tappe migratorie,in diversi ordini temporali e direzioni;occidente-oriente e oriente-occidente.
    Certo stabilire da dove il troncone primario è partito, sarebbe l'ideale,ma credo non sia difficile appurarlo,ed alla fine salterà fuori.

    Andrea Brundu

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  3. Non capisco come stabilire che il nome di Cagliari non sia di derivazione fenicia possa portare a credere che UN insediamento di tipo urbano non vi sia stato fondato dai Fenici. Chi dice che non ci sia stato qualcosa di Nuragico? Finanche un grande insediamento? Ciò non toglie che come per Sulky, nome nuragico forse o sicuramente pre-fenicio, l'insediamento fenicio poi ci sia eccome! e dati all'VIII sec. a.C., in base agli elementi abbondantissimi di cultura materiale raccolti. Che poi ci sia stato anche un insediamento nuragico preesistente non ci piove, ma da qui a negare che vi sia stata una determinante presenza fenicia ce ne passa.
    Oppure dovrete spigare a tutti come può essere possibile che tutto d'un tratto, dall'oggi al domani, i nuragici si siano trasformati e abbiano iniziato ad adottare tecniche costruttive finora sconosciute, e iniziassero, sempre dall'oggi al domani, a fabbricare red-slip e anfore e tutta una massa enorme di cultura materiale fenicia (sulla quale capisco che non ci siano competenze ma non capisco la non accettazione delle competenze altrui).
    Per fortuna non esiste solo la linguistica, ci sono documenti anche più tangibili.
    Non si può negare tutto questo, se lo si nega è perché non si ha neanche una minima idea di quel di cui si sottolinea l'esistenza più che tangibile e verificabile. Allora la soluzione è andare a vedere. Vadano tutti a vedere se si tratta di pochi ruderi e se li possiamo chiamare nuragici.
    Cordialmente.

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  4. Se poi quello su cui vi invito a riflettere lo considerate nuragico o comunque non fenicio, tanto di capello perché avreste fatto la scoperta archeologica più sensazionale del millennio. I nuragici avrebbero fondato dunque Cartagine, Mozia, Cadice, Lixus, Utica, Ibiza e un numero altissimo di altri piccoli insediamenti disseminati lungo le coste di tutto il mediterraneo centro-occidentale. Oltre, naturalmente, ad essere gli abitanti di Tiro, Sidone, Biblo, Sarepta e tante altre città fenicie (o nuragiche?) del Libano.
    Non scherziamo per favore. Io rispetto e credo nella linguistica e nella glottologia e nella toponomastica e nella filologia storica. Voi crediate un pò all'archeologia. Che non mente, non mente mai, al massimo siamo noi a non comprenderla e interpretarla correttamente.

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  5. Vorrei a chiosa -e parziale contastazione- di quanto dice il prof. Pittau, aggiungere una parte del mio di saggio,(restando in attesa della ricognizione di batzumaru per l'altra):

    Dunque sono, a
    mio giudizio, coesistite due diverse radici: Kal- e Kar-. Partiamo
    dalla seconda: nonostante gli spiriti filomediterraneisti della
    scuola italiana, incarnati nel caso dall’ ottimo ALESSIO 1936, una
    base *Kar- ‘pietra’ è ritrovabile anche in ie. (POKORNY, 531 e
    938 ss.). Inoltre il lago pisidio di Kàralis (Strabone, xii, 568)
    viene oggi in turco denominato Kayagöl ‘lago roccioso’ per cui è
    lecito già per le forme micrasiatiche invocare la base ie. kar(r)a-
    ‘pietra’ (GEORGIEV, 248).

    saluti

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  6. Cari Prof. Massimo Pittau, Areddu e Batsumaru,

    colgo l'occasione per ri-chiedervi

    Karaili = macigno in Isilese e penso in tutto il campidanese.

    specifico che ad Iisli usiamo anche Crastu sinonimo di Karaili.

    invece la parola Perda indica pietre più piccole.

    ancora giarra = pietruzza

    giarrixedda= sassolino

    vi cheiedo dunque se la voce Karaili deriva dal latino o è una forma più antica del latino?

    cordialmente vi saluto

    Mauro

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  7. Caro Brundu, guarda che per Pittau i nuragici non erano sardi, solo dopo il XIII secolo con l'arrrivo del lidi-sardiano la l'isola si sardizza!!

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  8. @ Mauro Peppino,
    abbia pazienza, non ho la biblioteca vicina (e neppure Alghero, per la questione di calic).
    Su caraili, lo trovo definito così in Puddu:
    caràili, caraíli, nm punta, bica de monte ue no faghet a colare, a rocas artas; roca manna / andai infatu a is c. = pònneresi in perígulos est unu caraili mannu slg.
    Si ritrova nella toponomastica (Villaputzu) e Paulis - I nomi di luogo della Sardegna - lo inserisce nelle sue "serie onomastiche di probabile origine preromana e di etimologia oscura nella toponomastica moderna" (ma forse, se posso fare una battuta, non ha pensato al babilonese!).
    Per parte mia, penso proprio che sia prelatino. Oltre non vado.
    Un saluto, B.

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  9. Dal prof Massimo Pittau

    @ Batsumaru
    I linguisti di professione fino al presente non hanno trovato alcuna connessione fra la lingua sardiana o dei Protosardi con la Mesopotamia e nemmeno con la lingua dei Sumeri, mentre ne hanno trovato abbastanza numerose con l'Anatolia o Asia Minore.
    Ed ora una domanda a Lei: premesso che fino al presente Lei ha dimostrato di possedere una elevata cultura storica e grande moderazione e buon senso, perché teme di esplicitare il Suo nome e cognome? Sicuramente i Suoi interventi Le attirerebbero non critiche né contumelie, ma grande stima.

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  10. forse non è pertinente, ma il termine corongiu/carongiu è prelatino? la "radice car" è in qualche modo confrontabile?

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  11. @mauro peppino
    Riguardo a Karaili=macigno,ti ho già risposto nel post del 27 febbraio 2010 17.21 :
    http://gianfrancopintore.blogspot.com/2010/02/basta-con-il-silenzio-per-favore.html


    "....Ora presupponendo una forma Paleosarda Karalu/Karallu od anche Karale/Karalle,(forme non certe)di esse si possono avere riscontri in altre lingue,come per altri termini del paleosardo (Vedi Sardella)e(vedi Pittau).Anche lo Spano ne fa derivare Karali dal semitico KAR-EL(città di Dio),essa è ovviamente una delle tante proposte.Altra ancora è quella di
    Francesco Artizzu,il quale riscontra che la radice "kar" nel linguaggio dei popoli mediterranei significava "pietra/roccia" e il suffisso "al/ar" aveva valore collettivo, secondo lui nacque proprio così il toponimo Karali, dal significato di "luogo di comunità sulla roccia" o semplicemente "località rocciosa".
    Questo riscatterebbe mauro peppino ed il suo Karaili = macigno.
    Ma,non per rompere le uova nel paniere KAR in sumero ed in accadico sta per ROCCIA o anche PROMONTORIO.
    Ma guarda un po',anche GENNA significa promontorio,montagna ed allo stesso tempo valico,porta.
    Avesse ragione Aba?"

    Ora peppì,scusa eh,ma se già in sardo karaili vuol grosso macigno, (e in alcuni paesi roccia,anche se in verità trovo anche caràili= pericolo,forse derivante da rocce scoscese?)se nello stesso sardo troviamo Caràle,o Karàle che indica una montagna e allo stesso tempo un passo o valico(come avviene per Genna,il quale indica montagna ma anche passo, valico, porta),io ritengo che un termine protosardo Karàle/Karàlle indicasse roccia, montagna rocciosa o simila,ma allo stesso tempo anche porta o valico, come per Genna.
    Nelle forme più antiche,anche prelatine,se si va a spulciare, in molti linguaggi Kar sta sempre a roccia,come anche in Sumerico ed in Accadico.Nelle forme semitiche Kar=città,essa si assunse poichè, probabilmente,le città stavano in genere arroccate(vedi Cartagine).

    Andrea Brundu

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  12. Cari tutti,

    Brundu la pista sumero-accadica l'ho seguita ascoltando dal vivo professor Sardella (per giorni interi (uno dopo l'altro) per anni) oltre che leggendo i suoi libri. Certamente vi sono delle assonanze, ma mi pare che vi siano delle piste assai più verosimili.

    Dopo la lettura del libro di Alinei "mi sono convinto" che in Sardegna si parlasse una lingua indoeuropea.

    All'indoeuropeo ci sono arrivati seguendo piste differenti sia il Prof. Massimo Pittau che Alberto Areddu.

    Gli studi di genetica confermano la pista indoeuropea.

    Colin Renfrew (non un pinco pallino qualsiasi) parla di una Sardegna inserita nel ceppo cosidetto ITALIDE (Che comprende anche il provenzale e il catalano), uniti archeologicamente dalla ceramica a pettine.

    Anteriore all'Italide vi era un fondo o iberico o balcanico (questo dice la genetica), ritengo che sarebbe interessante che si sottoponessero le tesi di Alberto Areddu ad una severissima disamina critica.

    A me sembra di vederli un gruppo (un centinaio) di cacciatori paleolitici provenienti dai Balcani che arrivano in Sardegna nel 20.000 a.C circa (maschi appartenenti all'aplogruppo I1b), avviene la mutazione M-26 e gli I1b diventano I1b2. Poi coloro che non sono I1b2 muoiono (mancata resistenza a qualche malattia)
    nel 13000 a.C tutti i maschi sardi sono I1b2, un gruppo esce dalla Sardegna e va in Iberia, contemporaneamente arrivano in Sardegna altre popolazioni dall'Italia quelle che popoleranno anche la Corsica.

    Mauro Peppino

    PS: ritengo che la linguistica, non abbia ancora superato il vecchio paradigma (predarwiniano) dell'invasione dell'Europa da parte degli indoeuropei, un paradgma che l'archeologia ha abbondantemente superato.
    Ripeto non è che non sono valide la gran messe degli studiosio di indoeuropeistica, è soltanto da rivedere la recensiosità della loro presenza in Europa!

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  13. Gentile prof. Pittau,

    Le sono molto grato per la risposta, assolutamente chiara.

    Di fronte a tanta cortesia non svicolo: non ho fatto la scelta di usare uno pseudonimo per vigliaccheria, ma semplicemente per difendermi. In passato, più di una volta, mi è capitato altrove di essere insultato, e non per quello che esprimevo. Adesso metto avanti le mie idee, sforzandomi di non offendere nessuno (anche se qualche volta perdo le staffe).

    La ragione che mi spinge a dire la mia è semplice. Le cosiddette scienze umane sono sotto assedio, e la linguistica in modo particolare: ogni glottologo sa che i parlanti, spesso solo per il fatto di parlare una certa lingua, si sentono legittimati a esprimere opinioni su questioni linguistiche anche spinose. L'etimologia, poi, attrae più della buona cioccolata.
    Quante volte Le è capitato di avere a che fare con "appassionati" (magari arroganti) che Le contestavano un'etimologia in favore di un'altra impossibile sul versante della fonetica storica?
    Per il profano è più facile credere che Bolotana significhi "tana di bulli" piuttosto che κύκλος e wheel siano la continuazione della stessa parola.
    L'assonanza, magari insieme a una qualche somiglianza di significato, vale più delle leggi fonetiche per i profani (che però entrano nel fanum senza neppure togliersi le scarpe).
    Quello che penso io è che chi ama la linguistica debba difenderla - come Lei fa - mostrando l'importanza del metodo e il livello di specializzazione richiesto dalla disciplina. Non basta conoscere le lingue per ragionare di linguistica. Altrimenti, i portieri d'albergo...

    Un saluto, e buon lavoro. Batsumaru

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  14. Caro Batsumaru,

    in questo blog ho avuto modo di apprezzare sia i suoi modi che le sue proposte.

    Conosco le fatiche di chi si occupa di linguistica, la considero una delle materie più affascinanti tra le scienze sociali.

    é una materia basilare, per capire il passato, il fatto che conta molti cultori dilettanti rappresenta un termometro della sua importanza.
    Veda dunque tale fatto come una ricchezza, una ricchezza che gli specialisti debbono saper rispettare e possibilmente coltivare.
    Io come sa condivido la teoria di Alinei, non faccio etimologie, ma per me è fondamentale capire se Alinei ha ragione o torto, la questione rappresenta uno snodo cruciale per capire le vicende della preistoria.

    Quando venne pensata l'invasione di genti indoeuropee (legga J. Trigger insegna storia dell'archeologia in Canada) l'Europa stava conquistando il mondo, Darwin non aveva ancora Rivoluzionato il modo di intendere la vita e la profondità della storia umana.
    Non vi è nessuna prova archeologica della supposta invasione dei popoli indoeuropei nel 2500 (Archeologia e linguaggio di Renfrew).
    Che i ceppi indoeuropei Slavo, germanico, celtico, Italide siano presenti nelle rispettive aree da tempo immemorabile non deve essere considerata una ipotesi peregrina, ma una proposta da analizzare e dunque confutare o verificare.

    Mauro Peppino

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  15. Dal prof. Massimo Pittau
    Agli Egregi Interlocutori
    ANDREA BRUNDU
    Nella mia opera che Lei ha citato, ho ricordato - e pure disegnato – quella che ho chiamato la «Rotta Transmediterranea» menzionata da Plinio il Vecchio, la quale toccava, da Oriente all’Occidente) le seguenti tappe fondamentali: 1) Miriandro nella Siria; 2) Isola di Cipro; 3) Patara nelle Licia in Asia Minore; 4) Isola di Rodi; 5) Isola di Antipalea nell’Egeo; 6) Capo Tenaro nel Peloponneso; 7) Capo Lilibeo in Sicilia; 8) Karalis in Sardegna; [9) Baleari]; 10) Cadice in Spagna.
    Sicuramente questa rotta era determinata e favorita sia dallo spirare dei venti, sia dal movimento delle correnti ed era seguita tanto dai naviganti forestieri che venivano o toccavano la Sardegna, quanto dai Nuragici che andavano in Oriente oppure in Occidente.
    Bella, ma anche molto impegnativa l’ulteriore questione che Lei mi ha proposto: «Quale era la sede originaria del gruppo etnico Lidi-Sardi-Etruschi?». Nell’altra mia recente opera «Storia dei Sardi Nuragici» (anno 2007; pag. 46) io non sono entrato ex professo sulla questione, alla quale ho dedicato soltanto un breve paragrafo (§ 9) intitolato «Ittiti, Lidi e Sardi», che ho chiuso citando la seguente considerazione del mio collega e amico Onofrio Carruba, dell’Università di Pavia, uno dei più autorevoli studiosi delle lingue anatoliche: «È mia opinione (con Sommer, Hethitisch und Hethiter) che i Lidi del primo millennio siano discendenti di popolazioni che, pur abitando nell’Occidente anatolico, erano ittiti di lingua e cultura, pur con influssi luvi più recenti».
    Nel § 40 della stessa opera ho elencato una trentina di toponimi sardi che trovano esatta oppure forte corrispondenza con altrettanti toponimi dell’Asia Minore.
    PHOENIX
    io ho fiducia nell’archeologia come scienza umanistica e faccio di tutto per tenermi aggiornato su quanto scrivono gli archeologi sulla Sardegna antica. Soltanto mi lamento che essi non facciano altrettanto, ossia non leggano quanto noi linguisti scriviamo sulla lingua dei Proto/Paleosardi.
    Un solo rimprovero faccio non a tutti gli archeologi della Sardegna antica, ma almeno ad alcuni: con grande stupore – ed anche scandalo – io constato che alcuni di loro confondono i Fenici coi Punici o Cartaginesi. I Punici o Cartaginesi – pur essendo di lontana origine e lingua fenicia - abitavano nell’Africa settentrionale, proprio di fronte e a due passi dalla Sardegna e la loro presenza soprattutto nel Meridione dell’Isola è inconfutabile: i numerosi e chiarissimi reperti di Cagliari, Nora, Sulcis, Monte Sirai, Tharros ecc. caverebbe gli occhi perfino ai ciechi che elevassero dubbi in proposito.
    Invece i veri od originari Fenici abitavano nel lontanissimo Libano, a circa 4.000 chilometri dalla Sardegna; ragione per cui la loro presenza nell’Isola va grandemente ridimensionata e soprattuto va dimostrata con reperti archeologici e possibilmente linguistici veramente certi. Il trovare in un sito sardo un vaso sicuramente “fenicio” dimostra molto poco, perché quel vaso può essere stato importato nell’Isola dagli stessi Nuragici. Questi infatti navigavano anche nel bacino orientale del Mediterraneo, seguendo appunto quella «Rotta Transmediterranea» che ho su citato.
    Ed allora concludo, egregio Phoenix: io non ho alcun dubbio circa la massiccia e lunga presenza dei Punici/Cartaginesi a Cagliari, mentre attendo che mi si dimostri in maniera certa anche la presenza dei loro antici progenitori, i Fenici del Libano.
    Però, quand’anche si dimostrasse la sicura presenza dei Fenici nel sito di Cagliari, insisto nel dire che è inverosimile ritenere che prima di loro non vi avessero impiantato un importante stanziamento i padroni di casa, cioè i Protosardi, i Nuragici e perfino i Prenuragici. I più antichi reperti archeologici rinvenuti a Cagliari, a Sant’Elia, a San Bartolomeo a San Michele, parlano chiaramente a favore di questa tesi.
    (continua)

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  16. Dal prof. Massimo Pittau

    II

    ZEDDA, BATSUMARU, ILLIRICHEDDU
    Io conoscevo il toponimo Caraili (di Villaputzu), ma non conoscevo l’appellativo caráili «macigno, roccione, roccia», segnalato da Peppino Zedda e registrato del Ditzionariu di Mario Puddu. Rispetto al quale in primo luogo dico che ha tutte le apparenze di essere un relitto preromano, anche perché è documentato nelle aree isolate che sono il Sarcidano (Isili) e il Sarrabus (Villaputzu). In secondo luogo lo giudico molto interessante, perché può essere effettivamente chiamato in causa per l’etimologia del toponimo Karalis. Pertanto prospetto anche io che Karalis sia da connettere con l’appellativo caráili «macigno, roccione, roccia, rocca», però senza rinunziare alla soluzione da me prospettata in precedenza. Il linguista storico spesso è costretto a prospettare più soluzioni per l’etimologia di uno stesso appellativo o toponimo, senza essere in grado di privilegiarne una piuttosto che un’altra. Pertanto ne traggo adesso questa conclusione: Karalis in origine significava o «la rocca» (= «roccaforte») o «la (rocca) gialla». Ed è evidente che in entrambe le ipotesi l’elemento geofisico che avrebbe dato il nome al sito sarebbe stato con grande verosimiglianza la collina rocciosa sulla quale insiste il suo odierno Castello.
    Formulo dunque agli Interlocutori un vivo ringraziamento per la loro decisiva collaborazione.
    E muovo pure un invito particolare all’amico Peppino Zedda: quando tratta di fatti linguistici, non metta troppa carne sul fuoco, chiamando in causa vocaboli che non hanno nulla da fare tra loro.
    Massimo Pittau

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  17. Riguardo Napoli, credo che si possa anche segnare un gol in trasferta: cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Nablus.

    @ Mauro Peppino
    Per quanto riguarda caràili, farebbe pensare a un'integrazione latina: CAR-ATILE (come piz-adile 'stratiforme').Va detto però che tal suffisso -ATILE ce lo troviamo pure in toponimi che col latino non c'azzeccano nulla. Zuri/Zurradili; Bara/Baratili ecc.E se proprio volete saperlo in albanese atille, che vuol dire solitamente 'tale', vale anche 'forte'. Dunque potremmo pensare che caraili sia un originario sintagma nominale: "pietra" + "forte",adattassimo per celebrare sua maestà il 'macigno'. Pertanto il cerchio si chiuderebbe in chiave decisamente illirica (e proprio a Isili, terra di supposte immigrazioni rom albanofone). Vorrei approfittare della cortesia di Mauro per chiedergli, se la voce dosu 'maiale' è viva ancora in loco?

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  18. @ Batsumaru
    Potrebbe segnalarmi un "abbecedario" di leggi fonetiche?
    Grazie

    Sisaia

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  19. @ Sisaia
    Purtroppo non esistono, che io sappia, testi divulgativi in questo campo: la guida migliore per lo studio della fonetica storica del sardo resta la "Fonetica storica del sardo" del Wagner, ma è un testo specialistico e ampio (se ha una cultura glottologica di base, però, non abbia paura di servirsene).
    In alternativa, una scorciatoia potrebbe essere cercare qualche bravo studente universitario che abbia seguito un corso di linguistica sarda, magari tenuto da Giulio Paulis, che la fonetica storica del sardo la conosce bene (è il curatore dell'edizione italiana dell'opera del Wagner che ho citato prima).
    Un saluto, B.
    p.s.: non ho visto la recente opera di Blasco Ferrer di cui si discute in un post recente... ma penso che non mi affretterò ;)

    p.p.s. per Riccardo, in breve. Nel Dizionario etimologico sardo trova corongiu sotto la voce corona (di cui è considerato un derivato). In sardo ant. si ha coroniu.

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  20. @ Batsumaru

    Se c'è nella biblio comunale, farò senz'altro un tentativo di lettura.
    Ricordo di aver visto "Wagner" sulla costola di qualche libro un pò di tempo fa.
    Recuperare uno studente di linguistica sarda: mission impossible.:(
    La ringrazio per la cortese segnalazione.

    Sisaia

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  21. Alberto Wrote: Dunque potremmo pensare che caraili sia un originario sintagma nominale: "pietra" + "forte",adattassimo per celebrare sua maestà il 'macigno'. Pertanto il cerchio si chiuderebbe in chiave decisamente illirica (e proprio a Isili, terra di supposte immigrazioni rom albanofone). Vorrei approfittare della cortesia di Mauro per chiedergli, se la voce dosu 'maiale' è viva ancora in loco?

    dosu? prima volta che la sento provo ad informarmi!

    per ora mi soggiunge solo un "ladosu" che vuol dire generoso.
    che forse deriva da lardosu , il lardo era prezioso.

    PS: perchè Bolognesi ha trasformato la tua "recensione" del libro di blasco in "quasi" rissa?

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  22. La voce dosu/dossu'maiale' è riportata come una del vostro bellissimo gergo arbarisca/arromanisca (che nasconderebbe arbaresch 'albanese')[http://it.wikipedia.org/wiki/Romaniska]. Per caràili 'ho guardato nel vocabolario del Mura (che è anche online) e non l'ho trovato (c'è però nel Rubattu); sorgono in me dei dubbi che possa essere -atile/atille, perché vedo che -d- intervocalico si conserva bene nel vs. dialetto, ma non so se la stessa cosa s'avveri in parola sdrucciola. Ho trovato tuttavia una parola che mi interessa niva 'vendetta', si usa ancora?

    Per quanto riguarda lo studioso olandese, credo che pensasse (e pensi) che conto musse. Ma se si procurerà il saggio si dovrà ricredere. Per intanto mi tengo (a titolo d'onore) l'illirichitzu, illiricatzu.

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