domenica 10 gennaio 2010

Dubbio atroce: non è che Sant'Antioco sia stata anche nuragica?

Una piccola notizia su un quotidiano sardo da conto dello sfogo di Marco Massa, responsabile dell’archivio storico comunale di Sant'Antioco: “Sarebbe opportuno ... valutare se sia possibile una campagna di studi per l’immenso patrimonio archeologico del periodo nuragico e antecedente, che si trova sull’isola e nei dintorni”. C'è, nelle avance di Massa qualcosa di eversivo. Verrebbe da pensare che l'università, l'archeologia, la soprintendenza abbiano sottovalutato la presenza di autoctoni prima che sull'isola sbarcassero fenici e punici. Quando mai?
Per la verità, qualche sentore di sottovalutazione lo si ha anche leggendo il sito del comune sulcitano: “Le fasi successive della cultura nuragica hanno una presentazione minima, soprattutto a causa delle indagini attualmente non assidue in questo campo” è scritto nella pagina dedicata al Museo archeologico. “Non assidue”? Da non crederci, se appena si pensa che il Museo è diretto da Paolo Bartoloni, professore ordinario di Archeologia fenicio-punica, è dedicato a un grande studioso del periodo fenicio-punico Ferruccio Barreca ed è in una via intitolata ad un altro grande dell'archeologia fenicio-punica, Sabatino Moscati.
Del resto, se ancora uno si trattiene nel sito del Comune, si accorge perché è difficile star dietro alle mattane eversive di Massa. Clicchi sulla voce “La storia” e ti appaiono tre capitoletti: “Sulky fenicia e punica”, “Sulci romana”, “I greci e Sant'Antioco”. Prima, zero, non pervenuto. Sarà perché la storia comincia con la scrittura, si dirà. Spiegazione accettata, se non fosse che l'autore del primo capitolo, Paolo Bartoloni, scrive: “Si consideri ad esempio che le scarse iscrizioni con più parole di senso compiuto rinvenute fino ad oggi a Sulky riguardano la dedica di un tempio da parte di un privato cittadino ad una divinità femminile o la dedica di una coppa da parte di alcuni magistrati ad un’altra divinità maschile. Pertanto, la ricostruzione dell’antica storia dell’isola risulta particolarmente difficoltosa e ancor più lo è quella dell’agglomerato urbano di Sulky.”
Questo non impedisce, ci mancherebbe altro, che i reperti fenici e punici trovati siano raccolti in un museo e che della civiltà precedente, invece, ci siano solo labili tracce per le “non assidue” indagini. C'è è vero lo straordinario bronzetto recentemente restituito dal Museo di Cleveland che lo aveva comprato ad un'asta dopo esser stato trafugato da ignoti nel nuraghe di Grutt'e Acqua. Toh, che davvero ci fossero nuraghi a Sant'Antioco? E se, alla fine dei conti, quella feniciomania di cui a volte si è letto su questo blog fosse qualcosa di più di un sospetto?

Nella foto: L'arciere sulcitano nel sito del Comune di S Antioco

133 commenti:

  1. Visto che la statuetta proviene da un nuraghe mi pare in salita pensare che sulky sia di fondazione mediterranea (fenicia). Non voglio nemmeno pensare che studiosi del calibro di Bartoloni siano convinti che le strutture cosiddette fenicie siano state impiantate laddove c'era un semplice promontorio disabitato e non attrezzato con moli e tutto ciò che serviva per controllare la zona mineraria. Bisogna continuare a scavare, a indagare e a scrivere. Prima o poi si giungerà alla soluzione, si troveranno gli anelli mancanti fra nuragici, mediterranei e punici. Forse la soluzione più semplice è stata sempre sottovalutata: i levantini erano composti anche da sardi, pertanto l'integrazione fra nuovi arrivati e indigeni fu talmente naturale che possiamo considerare sulky un insediamento con continuità di vita, senza cesure, senza colonizzazioni, senza forzature imposte da chi vuole non capire.

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  2. Dimenticavo la pesca...che ancora oggi è fiore all'occhiello del territorio, così come certamente lo era allora.

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  3. E il sigillo -dischetto di piombo con il nome Bar'as'on in entrambe le facce, pubblicato dal Barreca nel 1965 e ripubblicato due anni dopo da M. G. Amadasi (1967, pp.123 -124; tav. XLVIII, 41 A e 41 B) cos'è, fenicio forse? Pur di farlo diventare fenicio (e che cosa mai avrebbe potuto essere!) si vedano le contorsioni epigrafiche e linguistiche del Barreca alcune delle quali contestate e respinte dalla stessa Amadasi.

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  4. Maura M:
    Una piccola considerazione per inciso. In questo blog si lamenta spesso che gli scavi e le campagne archeologiche nei siti sardi procedano a stento a fronte di un immenso patrimonio archeologico, specialmente del periodo nuragico. Ed è verissimo. Ma non dimentichiamo che purtroppo, a fronte dei già numerosi scavi fatti, di molti non è stata pubblicata la documentazione. Una verità amara che sento ripetere, a voce bassa, dagli archeologi più seri e spesso più giovani, è che si è già perpetrato un cospicuo danno al nostro patrimonio quando sono state disseppellite le testimonianze dei siti scavati per ri-seppellirle nei magazzini delle soprintendenze e dei musei SENZA PUBBLICARE GLI ESITI DELLA CAMPAGNA DI SCAVO. Purtroppo anche in anni recentissimi si è continuato a fare così, il che è indubbiamente peggio che fare i pur benedetti scavi. Qui si è spesso citato il nome di un professore dell'Università, A., che ha già condotto da diversi lustri numerosi scavi di cui attendiamo di conoscere i risultati.

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  5. Bucca tua santa!
    Sai quanto mi farebbe piacere sapere della relazione di scavo nella quale si parla certamente del coccio nuragico con caratteri cuneiformi ( sicuramente ugaritici) di cui parlano sia Zucca che Pettinato! Comunque se riuscissi a schiodare qualcuno perchè parli e a dirmi dove si trova questa relazione e da chi è firmata, io toccherei il cielo con un dito. Capirai, dopo trent'anni di ritardo...

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  7. quoto l'intervento di Maura M.
    Io ricordo che nel tophet di Sulky (il più antico tra tutti), ci fosse chi parlava di una grande presenza di vasi nuragici in origine (Mastinu),e chi poi lo ha contradeetto ridimensionanto la presenza dei bollilatte nuragici. Mi pare anzitutto problematico determinare l'apporto demografico nuragico e fenicio alla fondazione di Sulky conteggiando gli uni e gli altri vasi. ma sopratutto, se nulla o quasi si conosce della sulky nuragica, come si fa a dire qualcosa di certo sulla sulky fenicia? è solo un banale problema di cronologia. Bisogna aver chiaro il "prima", per spiegare il "dopo". Esiste un meccanismo di involontaria sperequazione nella ripartizione dei fondi da impiegare negli scavi. è normale che in periodo di ristrettezze se a percepire i pochi fondi sia un orintalista, egli dia priorità agli scavi sui fenici piuttosto che a quelli nuragici; dunque rientra nell'oridine delle cose che del sito nuragico di Corongiu Murvoni non si sappia granchè...mentre si parli molto della Sulky fenicia. I fondi si vede, furono impiegati per Sulky e non bastarono per i nuragici.
    Un altro esempio è Sirai, che guarda caso si pensa fosse fondata proprio dai coloni fenici di Sulky. lì si scavò a più riprese, e i fondi che sarebbero dovuti anche servire per il complesso nuragico di Sirimagus ritenuto in rapporti con Sirai furono prosciugati dagli scavi sulla fortezza fenicia. da tutto questo ecco cosa ne scaturisce su Sirai:
    "La struttura messa in luce dagli scavi è probabilmente da riportare a tarda età ellenistica. Ma dai sondaggi in profondità effettuati e da tutto il complesso degli scavi è possibile tracciare una storia dell’insediamento abbastanza precisa . Sembra, infatti, assodato che Monte Sirai sia stato fondato dai coloni fenici stanziatisi a Sulci, sulla costa, forse verso il VII secolo, per garantire la sicurezza dell’entroterra dai ripetuti attacchi delle popolazioni indigene. Il primo stanziamento sulla collinetta non dovette essere del tutto pacifico , poiché il mastio sorge sui ruderi di un nuraghe che era stato raso al suolo precedentemente (e nulla si può aggiungere..ndr). Inoltre, fasi di distruzione testimoniano che, specie nel primo periodo di vita dell’abitato, le genti sarde che continuarono ad abitare nei nuraghi circostanti, non accettando i nuovi venuti. La fortezza, che visse i suoi anni più splendidi nel periodo della conquista punica, risulta praticamente disabitata con l’avvento dell’epoca romana, quando le genti circostanti erano state ridotte definitivamente al silenzio e non erano più in grado di impensierire i traffici commerciali."
    http://musei.provincia.cagliari.it/territorio/comuni/lungo-le-rotte-dei-fenici-porti-empori-e-luoghi-sacri-nel-sulcis/fortezza-e-tofet-di-monte-sirai-carbonia

    insomma avremmo una fortezza fenicia di Sirai dai contorni storici abbastanza precisi, sorata su di una preesistenza fortezza nuragica di cui non si sa granchè. Inoltre non si sa granchè dei rapporti tra i fenici di Sirai e i nuragici di Sirimagus. e così a ritroso tra i fenici-nuragici di santo Antioco. la precisione in tutto questo dove stà?
    la involontaria sperequazione dei fondi rischia di doppare la presenza fenicia rispetto a quella nuragica.

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  8. Le vicende e la ricostruzione descritte nell'ultimo post di dedalo meritano un commento sarcastico: chi ha scavato era all'oscuro di cosa sia stata la civiltà nuragica.
    E' talmente evidente che preferisco ipotizzare la sua ignoranza e non pensare che se sapeva ha volontariamente trascurato ciò che gli si presentava davanti agli occhi, salvo poi giustificare i ritrovamenti basandosi su teorie infondate di una civiltà sarda che male accettò la presenza fenicia (questa poi è veramente da bambini delle scuole dell'obbligo).
    Fino a quando dovremo ancora tenere l'umanità all'oscuro di ciò che i sardi del Bronzo, del Rame e della Pietra fecero nella meta più ambita per i traffici mediterranei?
    Fino a quando i sardi dovranno subìre questa storiellina stile Walt Disney ma con finale triste e infondato di sardi incapaci di presentarsi come capaci di inserirsi fra le grandi civiltà del passato ,proposta (imposta)200 anni fa dai savoia, ribadita attraverso metodi discutibili nel ventennio e accettata dai politici e dagli studiosi che, incapaci (o timorosi)di reagire davanti ai potenti, si sono lasciati condizionare dalle giustificazioni di chi si avvicendava nelle soprintendenze e a chi decideva gli indirizzi da dare agli istituti scolastici.
    Sono felice che i reperti inizino a parlare, che l'opinione pubblica si sia data una brusca sveglia, che molti ricercatori e studiosi sono giovani e che, nonostante molti errori e sviste, si sia ormai avviato un movimento inarrestabile di autori che difficilmente potrà essere fatto tacere. Magari irriso, sbeffeggiato, contrastato in tutti i modi (il più usato è quello di sminuirne il valore e la credibilità) ma non più arginabile.
    Andiamo avanti dunque e scrolliamoci di dosso i timori. La verità non è in tasca a nessuno ma i tasselli si stanno assemblando.

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  9. Non per fare l'avvocato del diavolo, però mi sembra giusto citare ciò che leggo nel "Monte Sirai" di Piero Bartoloni:

    ""Non è neppure lontanamente immaginabile che tutti gli abitanti di
    cultura fenicia che occupavano Monte Sirai così come tutte le altre
    città della costa sarda fossero di origine orientale. Si deve pensare piut-
    tosto ad una popolazione mista e composta da una minoranza di Fenici
    di Oriente e da una maggioranza di stirpe nuragica.
    La presenza di forti nuclei di abitanti di origine autoctona fin dai
    primi anni della fondazione delle città è suggerita ad esempio da alcu-
    ne testimonianze legate alle pratiche funerarie più antiche e da alcuni
    oggetti di uso quotidiano, come tra l’altro le pentole, che, come forma
    esteriore erano senza dubbio di tipo nuragico, ma erano fabbricati con
    una tecnologia di tipo fenicio.""

    Ho trovato molto interessante anche:

    "La penetrazione fenicia e punica in Sardegna - Trent'anni dopo" di P. Bartoloni, S Moscati e S.F. Bondì."

    Che loro stessi considerano una "revisione" della loro pubblicazione del 1966.

    Cito (e traduco in quanto scritto in "castellano") dalle prime pagine: "memoria", datata 11 ottobre 1966;

    ""Lo sviluppo delle scoperte e degli studi, negli ultimi trent'anni, hanno cambiato profondamente le nostre conoscenze: prima di tutto incrementandole in gran misura, però anche smentendo alcune teorie dubbiose e contraddittorie con altre, con il risultato di una visione più articolata, più frammentaria e, decisamente, più complessa, però certamente più vicina alla realtà storica. In tale stato di cose ci è sembrato necessario riprendere, questa volta con più voci in capitolo e competenze più articolate, la tematica di allora.""

    Confesso di non aver letto la loro precedente pubblicazione del 1966, ma mi sembra di capire che analizzano "la tematica di allora" con più obbiettività.

    Marco Pinna

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  10. Osservate poi dove sono arrivati i "Nuragico-fenici" e il loro domicilio iberico:

    "Calle Cánovas del Castillo, nº. 38, Cádiz - Andalucia - España"

    http://www.juntadeandalucia.es/cultura/museos/MCA/index.jsp?redirect=S2_3_1_1.jsp&idpieza=108&pagina=1

    (Non sarà che si trattava di sardi "nuragici" di "cultura fenicia"?)

    Marco Pinna

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  11. Non mi stupisce. I mediterranei costituirono una civiltà improntata sugli scambi e sul commercio e la loro cultura si sviluppò a macchia d'olio lungo le coste. Non a caso tutti gli insediamenti andalusi e Cadice (nella costa atlantica) manifestano industrie conserviere, saline e grandi forni per cuocere le ceramiche da trasporto. Le stesse ceramiche che troviamo a Ibiza, Sicilia occidentale, Tharros, Neapolis, Othoca, Alghero (Sant'Imbenia) e in tutti quei porti nord africani che abbiamo conosciuti come colonie fenicie.

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  12. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  13. Un bel giro fotografico,tra i nuraghi(non ci sono tutti)di Sant'Antioco:
    http://www.santantioco.info/comunita.htm

    Andrea Brundu

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  14. Maura M:
    Beh, a proposito di "zio" Piero Bartoloni, per chi non l'abbia già vista, in questa recente video-intervista sulla Digital Library si sofferma proprio sul tema degli incroci tra nuragici e popolazioni medio-orientali e sui matrimoni misti. Tra l'altro dice anche altre cose che senz'altro possono incuriosire i lettori di questo blog:
    http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4460&id=198664

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  15. @ Maura M
    Nuragici? Brava gente, ma certo i fenici...
    Grazie Ma', andava visto e sentito

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  16. bhe ...io ne consiglio la visione...però vorrei un attimino commentarlo. Si parla di una civiltà pronta per l'urbanizzazione e la scrittura. Con ceramica sparsa un po ovunque in giro per il mediterraneo...i cui villaggi furono inglobati nelle città fenice..che però erano poche centinaia...come fanno i centinaia ad inglobare i migliaglia?

    la parte peggiore è quando ha parlato di guerra cantonale senza citare le prove...se notate è l'unico passaggio in cui non ha detto "ne abbiamo le prove..."; e del razzismo striscoante verso i fenici...

    naturalmente sulle fantasie dei cantori alludeva ai shardana...;
    ma come volevasi dimostare...i fondi preferirà sempre buttarli in scavi fenici piuttosto che in scavi nuragici. è normale...

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  17. @Pierluigi Montalbano

    A proposito di Sant'Imbenia (il sito archeo-nuragico), non so se conosci la parte dedicata a questo sito dal Prof. Paolo Bernardini, nella "dispensa" di "Archeologia fenicia e punica", relativa al corso triennale di "Archeologia subacquea" dell'Università sede-staccata di Oristano. La trovo molto interessante, anche se si evince che permane il pregiudizio sulla possibilità (o anche solo eventualità) che i nuragici navigassero.
    Mi ha colpito molto, nel finire dell'argomento le considerazioni fatte sulla scrittura e sul sigillo:

    ""...“parlante” in questo senso è la presenza di un sigillo locale che utilizza forme di pseudoscrittura per imprimere un segno i proprietà o una qualifica di produzione o di bottega...""

    Riporto di seguito lo stralcio per intero:

    da .. “Archeologia fenicia e punica” - Docente: Prof. Paolo Bernardini – Oristano Consorzio Uno - marzo-maggio 2009

    I Fenici nel golfo di Alghero

    ""Il sicuro approdo di Porto Conte, sito sulla costa nord-occidentale sarda, è stato da sempre l'ingresso privileggiato per la fertile regione della Nurra, terra dalle grandi potenzialità agricole ma anche ricca di importanti risorse minerarie, dal piombo all'argento e al ferro.
    Nella baia, la località di Sant'Imbenia, oggi territorio di Alghero, conserva i documenti ormai ben noti di una comunità indigena di cultura nuragica che interagisce vivacemente con i fenici a partire dalla seconda metà avanzata del IX secolo a.C.
    La presenza a Sant'Imbenia di ceramica in red slip, di anfore di tradizione levantina e di importazioni greche in associazione con la cultura materiale indigena è sovente valutata e interpretata come elemento conclusivo di una serie di contatti di tipo precoloniale, sostanzialmente slegata da una componente fenicia e invece riferita a quei rapporti di relazione che, fin dalle fasi mature dell'età del bronzo, genti di cultura egeo-micenea e vicino-orientale intessono con le comunità nuragiche della Sardegna.
    Un approccio di questo genere, pur mantenendo una sua validità in generale, necessita tuttavia di alcune indispensabili puntualizzazioni, a iniziare dalla constatazione che le regioni settentrionali dell'isola, certamente toccate da episodi molto antichi di contatti con genti egee e levantine, conoscono assai tardivamente il fenomeno dell'urbanesimo coloniale.
    La discriminante è la fondazione cartaginese di Olbia nel IV secolo a.C. ma bisogna ricordare che, ancora agli inizi dello stesso secolo, la regione nord-orientale, conserva caratteristiche di estrema fluidità strutturale e organizzativa, tali da consentire l'esperimento coloniale etrusco-italico di Feronia, così come, tra l'VIII e il VII secolo, anomala e non strutturata si presenta la frequentazione fenicia che si raccoglie intorno al santuario-emporio Olbiese di Melqart, talmente poco radicata da essere sostituita, tra il VII e il VI secolo, da una prevalente gestione greca degli stessi spazi emporici.
    Le articolate dinamiche di interrelazione intrattenute dalle popolazioni indigene di questa porzione dell'isola dall'età del bronzo tardo e finale all'avvio della colonizzazione, intese sia come divenire storico da una parte all'altra, sia come modelli di comportamento, talora contrastivi e diacronici, talaltra complementari e sincronici.
    Una seconda constatazione è che, pure sulle premesse di una lunga frequentazione vicino-orientale della regione della Nurra, diventa difficile negare una fisionomia fenicia ai naviganti che interagiscono con il villaggio di Sant'Imbenia, del tutto compatibile sia con la dimensione temporale che con i dati di cultura materiale del contesto.


    I° parte


    Marco Pinna

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  18. Il primo elemento in discussione è la straordinaria produzione locale di anfore da trasporto, legate alla conservazione e movimentazione del vino, documentate da una serie abbondante di orli e pareti che integrano i due esemplari, privi dell'imboccatura, utilizzati come ripostiglio di panelle di rame nei livelli d'uso della c.d. capanna dei ripostigli.
    Il richiamo alla tradizione “cananea” evocata per questi contenitori e la postulata ispirazione della produzione di Sant'Imbenia da modelli provenienti dalla Palestina, anche sottolineata da una forma particolare di cooking pot (ceramica da cucina), non giustifica uno scenario di contatti con l'oriente dal quale i fenici siano fuori gioco.
    Nel corso del IX secolo, infatti, le aree di grande potenzialità agricola della Palestina fanno parte integrante del circuito economico fenicio, anche attraverso forme “politiche” di insediamento e controllo, e non è sorprendente ritrovare in occidente elementi che riportino a queste realtà; mentre la red slip associata alle anfore di Sant'Imbenia appartiene alle tipologie indiscutibilmente attestate nella madrepatria e nella più antica espansione occidentale.
    Non diverso è il quadro delle importazioni greche, dallo skypos a semicerchi penduli alle coppe a chèvrons e one bird, la cui connessione fenicia, orientale e occidentale, è solida.
    Parlare di fenici a Sant'Imbenia non significa certamente escludere la presenza di elementi di etnia e cultura diversa nella baia di Alghero, fenomeno per altro del tutto verosimile nel contesto delle dinamiche della prima espansione fenicia verso ovest; ma sembra sembra davvero eccessivo e fuorviante negare il dato strutturale e fondante dell'imprinting fenicio, che si impone in modo rapidissimo, nel giro di pochi decenni, sulla totalità della cultura materiale del sito di Sant'Imbenia.
    La produzione anforaria della Nurra è un dato di straordinaria rilevanza per cogliere alcune tendenze della dinamica sociale e ideologica che si concreta nella baia di Porto Conte intorno alla fine del IX secolo a.C.

    II° parte

    Marco Pinna

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  19. I manufatti, ancora entro questo priodo cronologico, presentano un fortissimo elemento di sperimentazione e fluidità artigianali, tale da sconsigliare l'uso del concetto di fabbrica organizzata nella loro produzione; esistono almento due “serie” parallele di oggetti, dipendenti l'una dalla tradizione indigena della lavorazione manuale, l'altra da quella innovatrice e evidentemente di introduzione recentissima, del tornio; l'ultima tecnica continua ad abbinare comunque una formula mista, con il corpo del vaso tornito e l'applicazione del collo e dell'orlo modellati a mano; in quest'ultima serie fa la sua apparizione la pittura rossa.
    La produzione anforaria di Sant'Imbenia discende da un'organizzazione interna del gruppo indigeno che operando su influssi allogeni e all'interno di una embrionale ristrutturazione in senso protoindustriale delle proprie risorse artigianali da vita a una realizzazione del tutto originale, finalizzata a un'attività economica innovativa.
    La molla economica del mutamento è legata alla coltivazione della vite e alla produzione vinaria, di cui le anfore di Sant'Imbenia sono i contenitori, e insieme alla consapevolezza di voler operare per il commercio di questa risorsa verso l'esterno; il vino della Nurra, contenuto nelle anfore della baia Algherese, circola in abbondanza, per oltre un secolo, nella giovane Cartagine e nell'Andalusia “fenicia”, a Toscanos, Doña Blanca, Cadice e Huelva.
    Si tratta di una vera e propria rivoluzione che, incentivata originariamente dal know how fenicio, va letta nei termini di una riorganizzazione interna della comunità indigena la quale assume, insieme alla innovazione “industriale”, le adeguate coperture ideologiche legate al vino e al suo consumo, che coprono i fasti orientali dell'ozio del monarca, le formule epiche del vino omerico ella celebrazione, con connotati eroici divini, del marzeah, il “simposio” fenicio; in questa direzione orientano le raffinate coppe da vino fenicie, i tripodi legati alla ricetta assira del vino speziato, le coppe greche a semicerchi, a chèvrons e con decorazione a ucelli e, in sucessione di tempo, la circolazione di vasellame da mensa protocorinzio e di quella caratteristica produzione di imitazione greca che distingue i centri fenici di nuova fondazione, dall'iberia a Cartagine.
    In termini di presenza umana, fisica, i profondi rivolgimenti socio-economici che mutano la comunità indigena del villaggio di Sant'Imbenia, distribuito intorno a un castello nuragico secondo il modello degli isolati “a corte”, possono facilmente attribuirsi alla presenza di un nucleo minimo di etnia levantina che innesca un protagonismo del tutto interno e locale; le percentuali di materiale allogeno, distribuito per tutta l'area dell'abitato, non indicano infatti quantità di attestazione di particolare rilevanza.
    Il salto organizzativo a la sollecitazione di ideologie legate alla nuova fisionomia produttiva operano a tutto campo sulla comunità indigena della baia di Alghero, polverizzando tradizioni consolidate; per quanto i dati osservabili derivino in modo assai limitato soltanto dalla fisionomia complessiva della ceramica indigena, per la quale manca inoltre uno studio dettagliato e una sistemazione in fase con le importazioni fenicie e greche, si impone la considerazione di una rivoluzione culturale a tutto campo di cui l'industria del vino della nurra è soltanto un'aspetto.


    III° parte

    Marco Pinna

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  20. Il rinascimento, come spesso succede, non nasce dal nulla o, meglio, non deriva in modo univoco da una sovrastimata lux phoenicia ex oriente; si verifica, viceversa, in un comparto territoriale, la Nurra, ma anche in distretti regionali limitrofi, in cui la società indigena si è da tempo stabilizzata nella produzione metallurgica, nel quadro di un rapporto vitale con la tecnologia egea e vicino-orientale e in un contesto di rapporti “internazionali” che correlano le frontiere del bronzo atlantico, l'etruria mineraria e i mercati siriani e ciprioti.
    La circolazione di strumenti da fonditore di tradizione cipriota e di rame cipriota confezionato nella forma oxhide entro la ricca e articolata produzione locale, ben nutrita di suggestioni e relazioni orientali e atlantiche, segna coerentemente un orizzonte di grande rigoglio metallurgico che attraversa la Sardegna centro-settentrionale e si abbina all'introduzione precoce della bronzistica figurata orientale, proprio a partire dalla Nurra, con il dio “orientale” del nuraghe Flumenelongu e le figurine che circolano nei territori di Bonorva e Olmedo; nella stessa Sant'Imbenia la produzione metallurgica è in fase di notevole sviluppo, come documentano i ripostigli di panelle di rame.
    Siamo di fronte a gruppi locali socialmente evoluti e in fase di avanzata gerarchizzazione, distribuiti in distretti regionali di tipo “cantonale”, ancora dipendenti dalla rete di controllo del “popolamento a nuraghe” e in possesso di un razionale controllo delle risorse territoriali; si tratta di un contesto socio-economico sul quale sappiamo ancora pochisimo ma la cui vitalità e “agressività” organizzativa dovette incidere potentemente sui modi di relazione con i partners levantini poi fenici.
    Su queste premesse e tornando al “caso” di Sant'Imbenia, la rivoluzione del vino riprende anch'essa esperienze precedenti, legate a una consuetudine locale di consumazione della bevanda che trova nel tipo della brocca askoide il suo contenitore specifico.
    Al vino indigeno si lega, certamente fin dalle origini rintracciabili nella tarda età del bronzo, una precisa ideologia di riferimento e un collegamento con modelli alimentari enologici che appartengono a gruppi di èlite; non a caso, il vino nuragico e le sue brocche segnano i contatti con le aristocrazie tirreniche, segno di un circuito di scambio “preindustriale”, se è lecito questo termine, che si muove nell'ambito del dono personale legato al prestigio, allo stato sociale, alla comunanza parentale e di ruolo:

    IV° parte


    Marco Pinna

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  21. a rivoluzione trasforma, incorporandola, questa tradizione: brocche askoidi e anfore “tipo” Sant'Imbenia viaggiano sulle navi di mercanti fenici che approdano a Huelva intorno all'800 a.C.; brocche askoidi arrivano, certamente con le stesse anfore, a Cartagine e sono introdotte dai fenici a Creta, Mozia e Cadice.
    Va rilevata, infine, la circolazione a Sant'Imbenia della scrittura, attestata su frammenti di un'anfora e di una coppa fenice, ma la cui suggestione dovette contribuire non poco alla definizione dei nuovi atteggiamenti culturali e dell'adesione a nuovi modelli produttivi; “parlante” in questo senso è la presenza di un sigillo locale che utilizza forme di pseudoscrittura per imprimere un segno i proprietà o una qualifica di produzione o di bottega.
    I Phòinikes di Sant'Imbenia agiscono in un contesto storico e cronologico, la fine del IX e gli inizi dell'VIII sec. a.C., in cui in altri settori dell'occidente e forse nella stessa Sardegna, l'esperienza urbana coloniale muove i primi passi; il controverso dibattito sulla cronologia delle origini della colonizzazione fenicia dovrà, evidentemente e in modo più corretto, spostarsi sulla problematica delle prime fasi del rapporto, variegato e multiforme, tra fenici e popolazioni mediterranee e atlantiche, salvando da un lato le connessioni con il secolare itinerario da oriente a occidente, dall'altro il divenire graduale, nella psicologia e nel riconoscimento delle genti ocidentali, di una specificità fenicia.

    fine

    Marco Pinna

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  22. @ Pinna
    Grazie.
    Ma non è tutto, pensa - tanto per capire quale sia stato il ruolo di supplenza dell'oggetto di tanta passione del Nostro - che i fenici non solo trasportavano il vino sardo in Etruria, già dal V millennio trasportavano l'ossidiana da Palau verso la Provenza e verso il Continente. :-)

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  23. @ Dedalonur
    Certo che hai ragione. Dovessi commentare fino in fondo quel video, partirei dall'insopportabile prosopopea vicereale: tutto il resto è conseguente, anche la paternalistica considerazione del buon selvaggio che tanto selvaggio non appare. Non tutti i vicerè, del resto, sono come Saint Remy e Rivarolo.

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  24. ......@Zuanne
    certo....il Paternalismo è presente.
    e il suo riflesso più grave, è per esempio non considerare che i Nuragici, non attesero i fenici per commerciare il vino.
    http://revistas.ucm.es/ghi/11316993/articulos/CMPL0404110045A.PDF
    qui si legge di un vaso askoide trovato in una capanna iberica,immediatamente precedente la colonizzazione fenicia in Spagna. Ed in Sardegna sappiamo di punteruoli iberici datati XI sec.aC, e di spade datate XII a.C.

    Mi domando se ai fini della concatenazione cronologica, per il Nostro queste informazioni abbiano un peso, oltre senz'altro a immaginare di retrodatare i fenici al XII sec.a.C.

    Forse non ho letto bene. cos'è questa storia che i fenici avrebbero aiutato i sardi a commerciare l'ossidiana?
    lo ha detto Bartoloni?

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  25. Le considerazioni fatte dal Prof. Bernardini riguardo il sito nuragico di Sant'Imbenia, dell'innovazione dell'uso del tornio per la produzione di ceramiche di "tipologia fenicia", e della sostanziale "impercettibilità" di indizi che testimoniano "inequivocabilmente" la presenza di genti straniere sul posto, le trovo, per certi aspetti, simili a quelle fatte dal Prof. Carlo Tronchetti, riferite al sito nuragico di "Antigori", nel sud-est dell'isola, e relative alla produzione di ceramiche di tipo "miceneo".
    Il Prof. Tronchetti osservava, e siamo in un periodo di alcuni secoli precedenti rispetto a Sant'Imbenia, che nel contesto del sito nuragico di "Antigori" le ceramiche di tipo "miceneo", prodotte per l'esportazione, venivano fatte con l'uso del tornio, mentre per quanto riguarda le ceramiche tradizionali nuragiche per uso locale, egli ritiene per "scelta culturale", venivano fatte a mano senza l'uso del tornio.
    Tornando a Sant'Imbenia, mi colpiscono le considerazioni fatte dal Prof. Bernardini relative all'arrivo della scrittura:

    ""Va rilevata, infine, la circolazione a Sant'Imbenia della scrittura, attestata su frammenti di un'anfora e di una coppa fenice, ma la cui suggestione dovette contribuire non poco alla definizione dei nuovi atteggiamenti culturali e dell'adesione a nuovi modelli produttivi; “parlante” in questo senso è la presenza di un sigillo locale che utilizza forme di pseudoscrittura per imprimere un segno i proprietà o una qualifica di produzione o di bottega.""

    Se non avessi avuto modo di conoscere gli studi fatti dal Prof. Sanna, e nel particolare, proprio, anche, del sigillo di Sant'Imbenia, sarei indotto a considerare i segni di quel reperto come "forme di pseudoscrittura" (falsascrittura o imitazione di scrittura), mentre in realtà quell'oggetto testimonia l'uso di sistemi di scrittura precedenti al codice fenicio.

    Marco Pinna

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  26. Grazie Marco per il prezioso contributo. Direi che l'intervista di Bartoloni e gli scritti che hai postato sono quanto di meglio possiamo avere sotto le mani per affermare che i sardi costituirono una importante società del passato. Siamo davanti ad un'integrazione fra nuragici e levantini che ha alla base secoli di vicende preparatorie in oriente e in occidente. Quando questi "orientali" arrivarono in Sardegna furono ben accettati, si integrarono, collaborarono con le loro conoscenze e nel giro di un paio di generazioni divennero la stessa linfa vitale della radice sarda. Matrimoni misti e navigazioni in affiancamento contribuirono a saldare i legami e la civiltà nuragica divenne ancora più importante strategicamente. Quando arrivarono i cartaginesi trovarono un popolo compatto e si accordarono (visto che non potevano vincere una guerra così pericolosa in terra lontana) per fronteggiare la nuova minaccia: l'avanzata romana e i traffici navali greci che ormai avevano conquistato buona parte del Mediterraneo orientale e iniziavano a spingersi verso Marsiglia e le coste settentrionali tirreniche (Olbia, Ischia). In questo scenario la battaglia navale di Alalia (combattuta proprio quando i romani passavano da regno e repubblica)fra Greci, Etruschi e Cartaginesi è eloquente.
    Bartoloni giudica immensa la civiltà nuragica, afferma con convinzione che navigava trasportando ceramiche sarde che contenevano vino e altro, loda le capacità architettoniche dei sardi che costruirono Arrubiu (anche se erroneamente dice che è il più grande), parla di ceramiche nuragiche sparse in tutto il Mediterraneo e mette dentro anche i minoici! Grande Bartoloni e intervista da conservare in archivio.
    Ora dobbiamo buttarci a capofitto nella scrittura sulle anfore, sui manufatti, sulle matrici di fusione e cercare di trovare una spiegazione al perché la civiltà sarda antica è stata relegata in un angolino in tutti i libri di storia.

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  27. Ma l'aspetto più terrificante degli studi su S.Imbenia, dal mio punto di vista, sta nella lettura del sigillo in caratteri protocananei, 'gublitici' e 'ugaritici' (o sardi?) che, per far fronte ad una certa generalizzante 'ideologia' economicistica di 'palazzo', ovviamente d'importazione (altrove, i Micenei, la 'lana' in Alghero il vino), fa dire a R.d'Oriano: ' Sembra trattarsi di un prodotto nuragico ad imitazione di quelli orientali,ed, infatti i segni grafici paiono lettere alfabetiche fraintese. Non è facile dire se l'oggetto avesse un uso pratico per marcare prodotti, cosa che avrebbe notevoli ripercussioni sulle innovazioni dell'organizzazione economica del villaggio'. E come no? Per il grande epigrafista sarebbero 'lettere alfabetiche fraintese'. Capite? Il chiaro nome di 'YHWH, del dio dei sardi nuragici, (quello stesso che si trova nel coccio di Orani e in tanti altri documenti sardi), preceduto dall'appellativo di S'N, preso per... 'un marchio per marcare prodotti'. Un oggetto di eccezionale testimonianza della sfera del sacro isolano nell'età del tardo bronzo scambiato per cianfrusaglia certificatoria! Ma possibile che cento anni e più di storia dell'alfabeto arcaico prefenicio ( protosinaitico, protocananaico, ugaritico, gublitico) non abbiano insegnato nulla a nessuno? Perchè non 'studiare' di più oppure non affidare l'oggetto ad un orientalista esperto? Anche 'fenicista', poco importa, basti che sia. Che sappia riconoscere un sade, un nun, un yod, ecc.ecc., quelli di una certa tipologia certificati in decine e decine di documenti 'orientali' di cultura alfabetica siro-palestinese.

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  28. Non avevo notato che già Marco Pinna ha postato il giudizio di Bernardini sul detto sigillo. Uno con assurda ignoranza dice e l'altro pecorescamente segue. E oggi cosa si insegna in genere, con grande gaudio della scienza archeologica 'spocchiosa'? Il beeeh, beeeh dell'ultima pecora ( anche se le poche eccezioni vanno fatte salve).

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  29. @Pinna
    dov'è che Tronchetti parla di ceramica micenea fatta a tornio in Sardegna?
    Se fosse così sorgerebbe una grve contrdddizione in quello che afferma Bartoloni

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  30. Ma pulitevi bene la bocca prima di nominare studiosi del calibro di Bartoloni, Bernardini e altri, prima di sognare di potervi anche solo confrontare con questa gente che vi mangia la pastasciutta in testa a tutti. Studiate, ignorantoni!

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  31. Per sant'Imbenia,vorrei fare un' osservazione,i giornali non ne parlano,ma nella costruzione dell'albergo,nei pressi della villa romana si è distrutto un intero sito archeologico.Con il materiale,di risulta,raschiato dal sito si è costruito un terrapieno sott'acqua,fatto di materiale archeologico.
    Mi domando,chi ha firmato l'autorizzazione alla costruzione di quell'albergo,sapeva che,ove doveva edificarsi(e tutto intorno),è tutto reperti,molti a vista?Reperti di varie epoche.Si rendono conto costoro del danno che è stato fatto?
    L'Alguer

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  32. @Prof. Sanna

    Credo che la convinzione preconcetta, ancora oggi molto diffusa, che esclude a priori che i nuragici, al pari di altri popoli con i quali intessevano relazioni, conoscessero l'arte della navigazione e della scrittura, ha portato gli studiosi a sottovalutare o ad ignorare i numerosi documenti e indizi, emersi nelle ricerche archeologiche, che testimoniano l'esatto contrario. Si sa i pregiudizi sono difficili da rimuovere.

    Marco Pinna

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  33. @dedalonur

    Devo cercare tra le mie cianfrusaglie e appunti per documentare quanto asserisce il Prof. Tronchetti. Dovrei avere anche qualcosa su base informatica. Appena possibile documenterò.
    Quanto ho riportato in merito alla ceramica di tipo "miceneo", prodotta con l'uso del tornio nel contesto nuragico "Antigori", lo ho appreso direttamente dal Prof. Tronchetti alcuni anni or sono, in un corso di formazione e aggiornamento professionale, nel quale lui trattava la parte legata all'archeologia (la questione mi è rimasta ben impressa).

    Marco Pinna

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  34. @Pierluigi Montalbano

    Per quanto riguarda i Cartaginesi, è molto interessante quanto scrivono P. Bartoloni, S Moscati e S.F. Bondì, nel menzionato: "La penetrazione fenicia e punica in Sardegna - Trent'anni dopo". Il conflitto in Sardegna (come anche in Sicilia) sarebbe stato solo nei confronti delle genti delle città di cultura fenicia (Sulki, Bithia, M. Sirai, Cuccureddus e Sarkapos) escludendo il resto delle popolazioni di cultura nuragica. Le ragioni sarebbero nella concorrenza dei traffici marittimi tra la Sardegna e gli altri empori del mediterraneo occidentale (fa riflettere il trattato del 509 a.c. con i ....romani? .....o etruschi?), sui quali i Cartaginesi tentavano di imporre il monopolio, e non per il dominio della Sardegna.

    Marco Pinna

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  35. @ Dedalonur
    Per carità, era solo una battuta. Stupefacente è che tu possa averla presa sul serio: la feniciomania non è arrivata a tanto

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  36. @Tutti
    Leggete quest'articolo(il terzo):
    Un centro commerciale di quattromila anni
    Sant’Antioco: scavi recenti dimostrano che la città era un porto dei micenei.
    http://www.unica.it/pub/7/show.jsp?id=935&iso=280&is=7
    In particolare,mi colpiscono queste parole di Bartoloni:
    "Da molti anni si immaginava che Sant’Antioco avesse ricoperto un ruolo importante anche prima dello stanziamento urbano dei fenici, e questo in relazione anche al suo nome, Sulky - ha spiegato l’archeologo Piero Bartoloni, professore Ordinario di archeologia fenicia e punica dell’università di Sassari -. Un nome che non è certamente fenicio, perché si tratta di una parola composta da quattro consonanti mentre, di norma, i termini di origine orientale sono sempre composti da tre lettere. Il nome Sulky, dunque, ha una origine pre-fenicia che è da ritenere con buona probabilità di matrice nuragica. L’insediamento faceva e fa capo ad uno dei porti naturali migliori del Mediterraneo. Pertanto, è indubbio che il sito sia stato visitato fin dal secondo millennio dai navigatori provenienti dal vicino Oriente. Tra il 1500 e il 1000 avanti Cristo tra i più attivi furono, appunto, i Micenei".
    Dice cose un pò diverse da quele del filmato,non pare anche a voi?
    Sulky=Nuragica
    Nuragici=?,forse no.....forse no.

    Andrea Brundu

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  37. L'articolo non è così recente, 2005,quindi se il filmato è anteriore di quand'è?2008!!!!????????
    Ma che fa,smarrona?Si rimangia tutto?
    Incredibile!!!!


    Andrea Brundu

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  38. @Andrea Brundu

    Spero che l'autore dell'articolo abbia volutamente solo sintetizzato, definire un solo frammento di ceramica micenea (magari poi trasportato via terra e venduto dagli ambulanti di "Antigori" in quel di "Sulky"....), prova ......determinante!
    Cosa si dovrebbe dire allora riguardo i numerosi documenti scritti, "pre-fenici"? Beh................Mah?!
    (scherzo! la scrittura nuragica non esiste! o .... si?)


    Marco Pinna

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  40. @ Zuanne...
    non stupirti. Ho letto per anni di tophef fenici in Sardegna. Per anni ero convintissimo che Tophet volesse dire fenicia e fenicia Tophet. Ero sicurissimo che la patria dei Tophet avesse almeno una decina di tophet ultramillenari.Od almeno molto più
    antichi di quelli sardi. Poi qualcuno m'ha suggerito che in Fenicia non ve ne sono e neppure in Spagna. Da allora preferisco sempre le domande anche se stupide. Almeno la prossima volta non mi crolla il mondo addosso.

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  41. Un altro dato rilevante è che Sant'Antioco sia chiamata dai suoi abitanti e anche da quelli dei paesi vicini SAIDA.Ora non ci sarebbe niente di strano se non fosse che anche Sidone del Libano è chiamata con lo stesso nominativo.
    In più questo nome sarà più antico o meno di Sulky?

    Andrea Brundu

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  42. Per brundu,
    Saprebbe dirmi dove cade l'accento,
    per favore? Nel caso cadesse sulla
    "i", potrebbe essere: sa idda?

    D.Perra

    RispondiElimina
  43. Da dove ha tratto Brundu questa notizia? E' pubblicata da qualche parte o gliela ha suggerita qualche suo amico rabbino?

    RispondiElimina
  44. Magari uno di quegli amici che gli hanno siggerito la c.....ata che i Fenici erano camiti e non semiti...e non sia mai eh!
    Macché dico amici rabbini, queste sono notizie da friki-pedia.

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  45. @Anonimo
    Si pulisca la bava,le arriva sino ai piedi.
    Vede il tutto dipende,se lo curi,da crisi premorte.Cioè il suo mondo sta per finire.Se la goda,e sbavi quanto vuole,sinchè può.
    Batsumaru

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  46. Ha ragione, uno tsunami di bava che ha interesse ad occultare le grandi innovazioni nel campo dell'archeologia nuragica, come no.
    Ma per piacere...

    RispondiElimina
  47. Uno che fa come lei,che non abbia interessi non ci crede nessuno.Sia obbiettivo,vedrà che la bava scomparirà,e sarà risanato.
    Batsumaru

    RispondiElimina
  48. Obiettivo verso che? Verso le fesserie che continuano a confondere e a disinformare? Già lette, già soppesate, già scartate.
    Che le piaccia o no, ci studi sopra lei se vuole.

    RispondiElimina
  49. Siccome la bava sporca,e Pintore si incavola,le consiglio di aprirsi un blog tutto suo dove sbavare a volontà.Ora la lascio o un cartone da girare.
    Batsumaru

    RispondiElimina
  50. @ Batsumaru
    A parte la sua reprimenda giustissima e che sottoscrivo contro quel lieve conato di antisemitismo dell'Anonimo, sa che non ho ben capito qual è l'oggetto del contendere?

    PS - Quella idiozia sul rabbino non la cancello. Tanta raffinatezza, al servizio di sì grande pensiero, va conservata. O no?

    RispondiElimina
  51. Quello non è antisemitismo carissimi dietrologi. Non l'ho scritto io che i Fenici erano camiti, così come non ho scritto io che gli Ebrei si arrabbierebbero se sapessero che anche i Fenici erano semiti. Quindi, vede, nessun antisemitismo, anzi!

    RispondiElimina
  52. C'è un imbecille che si è preso il mio pseudonimo di Batsumaru: se ne cerchi un altro, per cortesia, il microcefalo.
    BATSUMARU, quello vero

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  53. infatti mi pareva strano, dai commenti che generalmente la contraddistinguono. C'è dietro tutta una combriccola di pasticcioni, istigati da chissà chi, per impossesarsi degli pseudonimi altrui...sarei curioso di sapere chi sono, visto che il loro obiettivo è più che chiaro..

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  54. Ora mi sono autenticato, così mi si potrà riconoscere.
    BATSUMARU, quello vero

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  57. a proposito di Sulki, ho ascoltato il discorso del Bartoloni,che la pronuncia Sulkì, ma non so per quale motivo, così' come la scrive Sulky ( forse Batsumaru può trovare una spiegazione?). Curiosando per la rete ho trovato in area balcanica dei nomi che la ricordano. http://www.fallingrain.com/world/a/352/u/l/

    saluti

    RispondiElimina
  58. Per brundu,
    Saprebbe dirmi dove cade l'accento, per favore? Nel caso cadesse sulla "i", potrebbe essere: sa idda?

    D.Perra

    La domanda del sig. Perra mi pare molto pertinente. Anche perchè, giusto per restare in zona, mi pare di ricordare che Iglesias veniva chiamata dagli abitanti della regione SA CITTADI.

    B. Floris

    RispondiElimina
  59. @perra,floris,cardia,chessa,pillonis,o qualsiasi altro nome possa usare.
    Gliela faccio io una domanda,poi si risponda da solo,e l'accento lo metto sulla sua,che è ridicola di "domanda".
    Lei,sempre che sia sardo,chiama bidda il suo paese,oppure il paese di altri?Quando dice,se lo dice Ajo a Bidda,proclama l'intenzione di andare al suo paese o al paese degli altri?
    Perchè quelli dei paesi vicini a Sant'Antioco,quando dicono Andaus a Saida,intendono e vanno sempre a Sant'Antioco.Perchè la loro non è Bidda?O forse Sono tutti originari di Sulky,e solo noi non lo sappiamo?


    Andrea brundu

    RispondiElimina
  60. Questa cosa di saida ha tutta l'aria di una bufala.
    1) Quale è la fonte, visto che nei repertori di toponomastica (vedi Pittau) non ce ne è traccia?
    2) ha provato a chiedere a qualcuno del luogo il significato della voce saida?
    Mica le può sparare tutte così...

    RispondiElimina
  61. caro Brundu, non vedo perchè tu ti debba imbufalire per una domanda che non ha alcun secondo fine. Io non so se Sant'Antioco viene chiamata SAIDA o SAIDDA, nè tantomeno, cosa più importante, dove cade l'accento. Saperlo, tuttavia, é importante perchè questo ci dà modo di escludere o validare alcune ipotesi. Io potrei anche pensare (ma si tratta sicuramente di una mia fantasia)che Sant'Antioco venisse chiamata semplicemente SA IDDA in contrapposizione a Iglesias, SA CITTADI. Non dimentichiamo che Carbonia é recente, e tutti gli altri centri abitati (ad eccezione forse di Santadi)erano soltanto medaus e furriadroxus. Insomma,dove cade l'accento? Dalla tua risposta mi farò un'idea più chiara. Personalmente ritengo che Sulky sia un nome preromano e, forse prefenicio, visto che anche a Sassari esiste Silky, e si sa che in sardo la u e la i sono piuttosto intercambiabili.

    B. Floris

    RispondiElimina
  62. Per Brundu,
    Mi duole essere associati ad altri,
    parlo in mio nome. La mia domanda
    non era polemica. Pensavo fosse utile al dibattito scartare una
    possibile etimologia. Del resto a
    parte l'accento, c'è anche il suono
    cacuminale che andrebbe accertato
    nella pronuncia. Per il resto, ha
    ragione; unu ki narat: - aiò andaus a bidda/'idda, bolit nai ca est andendi a bidda sua.

    D.Perra

    RispondiElimina
  63. Si, ma evidentemente Brundu se la prende perché non è in grado di dimostrare da dove viene la voce. Quanto alla voce Sulky mi chiedo innanzitutto perchè c'è sfiducia verso quello che sostiene Bartoloni, forse che ne sapete più di lui?
    Se fosse così sapreste anche che il termine, con le consonanti S-L-K-Y è iscritto su una coppa d'argento proveniente da Sant'Antioco ma se ne trova traccia anche tra le offerte con iscrizioni rinvenute presso il santuario di Antas. Mi pare quantomeno di poco buon senso voler argomentare su problemi di cui ignorate le fondamenta.

    RispondiElimina
  64. Già,

    ma perché è pronunciato Sulkì dall'egregio studioso romano? forse che in fenicio l'accentazione, come in ebraico, è prevalentemente osssitona? Ma la parola se fosse stata ossitona si sarebbe preservata anche oggi come ossitona visto che esistono toponimi sardi prelatini che hanno l'ossitonia. Come la mettiamo con il sassarese Silki, che non è mai accentato sull'ultima?

    Aldo

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  65. Effettivamente, il Pittau, che di linguistica ne sa certamente qualche grammo in più di Bartoloni che tutto può essere definito tranne che un linguista, ritiene che il termine sia la traduzione latina di un precedente termine paleosardo o semitico, e starebbe ad indicare i solchi o tagli che le navi potevano effettuare per costeggiare la Sardegna senza effettuare il periplo delle isole di Sant'Antioco, San Pietro etc. L'opinione del Pittau é autorevole, ma resta un'opinione indimostrabile. Facendo mente locale, mi pare di ricordare anche un altro Sulci o Sulky che dir si voglia, anche sulla costa orientale della Sardegna. Tutti questi solchi latini lasciano abbastanza perplessi.

    B. Floris

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  66. Pure io ho letto di questa Sant'Antioco-Saida,non so come si pronunci.
    Atlantide Sardegna di Paolo Valente Poddighe,pag.58
    Ciao a Tutti spero di esservi stata utile!
    Barbara

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  67. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  68. mi pare che vi stiate impelagando in questioni di linguistica. Non credo che la dizione di bartoloni di "Sulkì" sia dovuta a riscontri di linguistica fenicia semplicemente perchè Sulki non è parola fenicia ma proto-sarda

    il suo mi pare più un vezzo. Ma al limite basterebbe chiedere a lui.

    anche Pittau sostiene come i nomi delle città sarde non siano fenici.

    l'altro plurimenzionato di questo Blog è Garbini. egli nota come tutte le città fencie di sardegna non abbiano nomi fenici. Conclude che qualcuno le fondò prima. gli autori del misfatto sarebbero gli shardana

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  69. Atlantide Sardegna....Paolo Valente Poddighe... niente popodimeno che...

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  70. Ai vari anonimo,Perra,Floris
    Consiglio,per accertarsi,di recarsi in situ,cioè nei paesi limitrofi al centro Sulcitano.
    Mario-Tratalias

    RispondiElimina
  71. Po Tratalias,

    Ma de ita ses kistionendi? Mi nant
    Perra e no seu un'anonimu, cumenti dd'olis intendiri? Apu jai scritu
    unu post e Floris puru po nai ca
    no si depiat fai confusioni cun is
    aterus baulosus ki no si firmant.
    Deu bivu in Francia, cumenti catzu
    ap'a fai a nc'andai? Po cussu serbit unu forum. Un'atera cosa,
    deu no apu nau ca no fiat berus su
    k'at nau Brundu. Apu sceti preguntau po s'acentu e finsas
    precisau ca ddu' iat sa -dd- ki podiat essiri unu problema po
    pensai a un' etimologia cumenti
    a "sa 'idda". Ki dd'as intendiu pronuntziau custu fueddu, nara si ddu. Aici si ponit de una parti una possibilidadi e si nci mollaus in d' un' atera diretzioni, o no?

    Danieli Perra

    RispondiElimina
  72. @ Barbara
    Grazie per l'informazione. Facendo mente locale l'avevo letto anch'io nel libro di Poddighe, un libro che mi é costato fatica leggere, visto che sembra scritto con il linguaggio del mago Otelma. Sono rimasto perplesso allora come adesso. Il problema dell'accento é fondamentale perchè alcuni AA. tendono a modificare i nomi per rendere più credibile la loro personale teoria. Per esempio il Melis per Monte d'Accoddi scrive Monte Accodi, quasi per trovare un collegamento con la Mesopotamia. In realtà Monte d'Accoddi é semplicemente l'adattamento sassarese del precedente toponimo logudorese Monte de code (monte di pietra), storicamente documentato. Magari questo non é il caso di Poddighe, ma l'interrogativo dell'accento resta perché se cade sulla "a" se ne può discutere, ma se cade sulla "i" i miei dubbi si accrescono.

    @ Marco Tratalias

    Temo che il suo consiglio sia inutile, visto che io abito nel Sulcis sin dal lontano 1962, e non ho mai sentito questo termine.
    Ammetterà dunque la mia curiosità.

    B. Floris

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  73. Per Floris
    Forse,non abita nel posto giusto.
    Mario

    RispondiElimina
  74. Non capisco,quale sia la rilevanza del fatto che Sant'Antioco sia chiamato Saida?Ne capisco perchè lo si voglia negare a tutti i costi.
    Il tema è assai diverso!
    Mario

    RispondiElimina
  75. @dedalonur

    Ho finalmente trovato il tempo per sentire l'intervista al Prof. Bartoloni su "sardegnadigitallibrary".
    Credo non vi sia contraddizione tra quanto sostiene il Prof. Bartoloni, quando asserisce che gli artigiani nuragici non usavano (non che non conoscevano) il tornio per la produzione delle ceramiche e quanto sostenuto il Prof. Tronchetti, il quale, specifico ulteriormente, asseriva che i nuragici, pur conoscendo il tornio come strumento, non lo usavano per la produzione delle ceramiche tradizionali (specificava che secondo lui era una scelta "conservatrice" della propria tradizione culturale), mentre lo usavano per le ceramiche di tipo "miceneo" destinate all'esportazione (le cosidette "false micenee").
    Una certa incongruenza mi pare di rilevare, invece, per quanto asserisce il Bartoloni, circa le lotte con i cartaginesi per il dominio della sardegna e quanto letto nel più volte citato "la penetrazione fenicia e punica in sardegna- trent'anni dopo". Tuttavia devo precisare che ogni singolo coautore di detta pubblicazione, tratta argomenti specifici, per cui ritengo normale, come spesso accade, che tra studiosi di una stessa disciplina vi siano interpretazioni e conclusioni molto differenti o anche in netto contrasto.

    Marco Pinna

    RispondiElimina
  76. @ Marco

    Deve essere proprio così. Forse questo termine é un segreto per iniziati, così come l'accento della parola. Mi viene il dubbio che chi ha tirato fuori il termine SAIDA non sappia di cosa parli.A meno che non si tratti di una segreto militare.
    Trovo molto comodo lanciare il sasso e nascondere la mano (insomma, fare le sparate). Con questo non voglio negare l'esistenza del termine SAIDA, ma vorrei capirne di più. Ed é rilevante perchè potrebbe esserci un nesso con Sidone, come diceva qualcuno in un precedente post, oppure per escluderlo.

    B. Floris

    RispondiElimina
  77. Per Floris
    Mi scusi sig.r Floris,forse,lei parte da considerazioni preconcette.Visto che mi chiama insistentemente Marco anzichè Mario,non è possibile che il problema sia suo?Oppure il problema è che lei vuole solo parlare di cose che non rientrano nel tema?
    In più noto un fondo di astio per chi non la pensa e dice come lei,sbaglio?Se non crede a quel che dico sono affari suoi,vada e si informi!
    Mario

    RispondiElimina
  78. @ Mario

    E no! Troppo comodo fare le sparate e poi imbufalirsi se uno chiede spiegazioni. Non può affibiare a me il suo senso di fastidio perchè non sa rispondere. E' dovere di chi l'ha tirata fuori, o comunque di chi ne sostiene l'esistenza, fornire ulteriori delucidazioni. Prendo atto che neppure lei conosce quella parola. Altrimenti avrebbe già risposto da un bel pezzo, senza cercare la rissa.
    E qui la chiudo.

    B. Floris

    RispondiElimina
  79. Sicuri che il bronzetto sia di S. Antioco? A me risulta che S. Antioco sia stata l'ultima residenza del tombarolo che l'ha tenuto prima di venderlo...

    O mi sbaglio?

    Se anche ciò fosse vero (che il bronzetto non è originario di S. Antioco....un Isola come lo sono state Maldiventre e Carloforte al tempo dei Nuragici) tutto il resto del discorso è comunque valido. I Nuragici erano sicuramente presenti in quest'Isola nell'isola.


    Mi premeva solo puntualizzare questo.

    RispondiElimina
  80. Per Floris
    Io cerco la rissa Sig.r Floris?
    Guardi non sono più in età di risse,ne tantomeno dispute,ne con lei ne con nessuno.
    Io le ho detto che il termine si usa,
    se lei non ci crede faccia come crede,mica la obbligo.Di cose dette da altri non le saprei rispondere.
    Chieda ad altri.
    Comunque,ma questo è il mio parere,è un pò fuori tema.Se non ci crede,come penso farà,problemi suoi.
    Mario

    RispondiElimina
  81. Caro Lessà lei è al corrente di questo? E questo tombarolo dove l'avrebbe trovato il bronzetto se non a Sant'Antioo stessa?

    RispondiElimina
  82. Siccome la colpa è mia, nel senso
    che sono stato io a fare quella maledetta domanda, vi spiego
    l'origine dell' interrogazione.
    Quando ho letto il post di Brundu, in cui si accenava al fatto che sant' Antioco si chiamava anche "saida", mi è subito venuto in mente quello che mi ripeteva sempre mia mamma; e cioè che il suo cognome, "Saddi" era
    di origine araba. Ovviamente non
    sapeva niente del esito regolare
    delle "ll" latine in "dd" sarde.
    Perciò, quando ho letto "saida" mi è venuto un dubbio, e ho chiesto del accento, precisando ulteriormente che c'era anche il problema del "dd" per ipotizzare un etimologia come "sa 'idda".
    Ma supponiamo che sia "sa 'idda"
    l'etimologia; non è che la gente
    dica "aiò andaus a sa 'idda"
    per dire "aiò andaus a 'idda",
    perchè se aggiungono "sa" è già
    diverso, determinano il luogo, lo specificano, e quindi il nesso ta "saida e sa 'idda" potrebbe anche starci. Chiarire la pronuncia
    aiuterebbe molto. tutto qui.

    RispondiElimina
  83. Ho dimenticato la firma
    D.Perra

    RispondiElimina
  84. Quindi idda si pronuncerebbe ida, quindi il mio cognome sarebbe Deida,e non Deidda.
    Grazie per il chiarimento.
    Paolo Deidda

    RispondiElimina
  85. Rispondo ad Anonimo del
    14 gennaio 2010 18.07

    Il fatto che il tombarolo abbia abitato a S. Antioco non vuol dire nulla. Oggi con una nave o un traghetto ci si sposta con facilità. E i bronzetti, a differenza della droga non vengono annusati da nessun cane della sezione cinofila, anche se non troppo spesso (purtroppo) si legge di questi furfanti colti in fragrante nei loro spostamenti.
    Io non sto dicendo che il bronzetto NON sia di S. antioco. Sto dicendo che non ci sono motivi per sapere con assoluta certezza il contrario. Stilisticamente il bronzetto è quanto di più lontano esista con i bronzi del sud Sardegna.
    e questo è un fatto.
    Che poi il tombarolo in questione si sia trasferito è un altro fatto.
    Lei cosa ne deduce?

    Ossequiosamente,
    Lessà.

    RispondiElimina
  86. E bastat como! Si podet iskire cal'est sa pronuntzia zusta? Sàida,Saìda o Saìdda?

    maimone maccu

    RispondiElimina
  87. @dedalonur

    Tengo que darte las gracias para habernos indicado este direccion:

    http://revistas.ucm.es/ghi/11316993/articulos/CMPL0404110045A.PDF

    No la conocia aùn. Es muy importante.
    Muchas gracias.

    Marco Pinna

    RispondiElimina
  88. Al sig.Maccu
    Sarà forse Saida?
    Guardi mi è venuta così.
    Anna Lai

    RispondiElimina
  89. @ Marco Pinna:
    Bhe mi pare di capire dal tenore di quel che dice Bartoloni, che reputi i Fenici gli innovatori della produzione della produzione di ceramica in Sardegna, fatta col tornio.
    Non a caso dice, "bollilatte nuragici ma con tecnica fenicia."cioè il tornio. Invece il suo collega dice: vasi micenei sì...ma fatti da nuragici col tornio. Questa non è una contraddizione?

    Ovviamente lo è pure quella che fai presente sulla Cartagine ammazza-città fenicie.

    ma quella è almeno per me (e credo proprio non solo per me...) una dlle più vecchie contraddizioni sulla ricostruzione del nostro passato.
    Ciao..nulla per il pdf. fammi sapere caso mai per l'osservazione sui vai micenei.
    ciao

    RispondiElimina
  90. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

    RispondiElimina
  91. Agli anonimi che hanno spacciato quello di 'idda come accento,chiedo che andassero a studiare un pò di sardo.Quella è un'apostrofo perchè la "b" di bidda cade.Sa Bidda >Sa 'idda.Quindi,non la si spacci per accento.In secondo luogo,quando uno vuole andare ad un paese vicino,non dice andaus a sa idda,ma andaus a Sant'Antiogu,andaus a Casteddu etc.
    Andaus a bidda lo dice solo per il suo paese,quidi andaus a sa 'idda è forma assai impropria.
    Salude e trigu

    RispondiElimina
  92. Scusate, per aggiungere carne al fuoco, a Sant'Antioco (nel locale campidanese) come si dice: saidu per "salato" oppure salidu; "su sai" oppure "su sali"? Col che, sospetto che se la pronuncia fosse: saìda, ci troveremmo difronte semplicemente al femminile "salata".

    aldo

    RispondiElimina
  93. E magari c'è qualche salina da quelle parti?

    RispondiElimina
  94. Le vecchie saline di santa Caterina, se ricordo bene

    RispondiElimina
  95. Se aggiunge "r",abbiamo Sarida,più piacevole.

    RispondiElimina
  96. Caro Dedalonur, prima di dire che c'è contraddizione in quello che sostiene il Prof. Bartoloni, ritengo sia doveroso leggere attentamente, se non studiare a fondo, quanto il suddetto Professore ha prodotto nel campo degli studi fenici e punici in Sardegna. Un pò di notizie pescate su internet mi pare pochino davvero. Esistono ancora i libri di carta, e il Prof. Bartoloni tra articoli e monografie, anche solo negli ultimi 3 anni ne ha scritto parecchi. Avvento di Cartagine sull'isola, tofet, introduzione del tornio e altri problemi necessitano di un adeguato studio. Su adeguati testi. Testi che presso chi si occupa di archeologia fenicio-punica sono ben noti da molto tempo e hanno fatto entrare a pieno diritto la Sardegna nel novero delle regioni più ricche "archeologicamente parlando" dell'intero Mediterraneo. Questo in campo Nazionale e Internazionale. Probabilmente in Sardegna occorrerà attrezzarsi con un blog per informare la gente.

    RispondiElimina
  97. @ Anonimo delle 18.29
    Un "blog per informare la gente" c'è già, tant'è che lei è informato. Però concordo con lei - ed è un mio pallino fisso - che sarebbe opportuno un blog, un sito o un qualsiasi altro marchingegno telematico con cui l'archeologia accademica comunichi con "la gente". Io, da parte mia, l'assicuro che l'eventuale blog avrà un posto di assoluto rilievo nelle segnalazioni di questo blog.
    Bastante chi siat.

    RispondiElimina
  98. Ancora ci sono migliaia di nuraghi, senza alcuno scavo,aspettiamo che la storia quella vera sia cancellata?
    Mi offro personalmente volontario in qualche campagna di scavo.
    L'ideale sarebbe,dato che non ci sono fondi,invitare tutte le nazioni,a fare scavi sui nuraghi della sardegna.In pochi anni ne scaverebbero parecchi,e capiremo di più,anche sui fenici.

    Francesco

    RispondiElimina
  99. volontari ce ne sono già tanti, non è la forza lavoro che manca e tantomeno i progetti, sono i soldi.

    RispondiElimina
  100. @ Anonimo 15 gennaio 2010 18.29

    guardi, sarei uno dei principali utenti di quel blog divulgativo. Visto il seguito di cui l'archeologia sarda gode, sarebbe più che mai un gesto da illuminati.

    non capisco però la sua critica. Ho semplicemente detto che se le affermazioni su Bartoloni e il suo collega fossero giuste, ed infatti se nota, ho chiesto un riferimento bibliografico, allora la contraddizione su chi fu ad introdurre il tornio vi sarebbe. Nulla di più. Lei del resto m'invita a legere qualche libro in più, ma non sta smentendo chi sta rilasciando quelle informazioni.

    E non mi pare neppure di aver irriso i due archeologi per via delle loro differenti opinioni o studi.

    Quanto a Cartagine distruttrice di città fenicie, devo dire che qualcosa in più l'ho letta.

    Proprio dai libri cartacei che Lei graziosamente mi segnala. E non ho cambiato idea sulla natura contraddittoria di quella spiegazione.

    Sui tophet, la ricerca è stata ancora più forte, nel limite dele mie possibilità. mi sono mobilitato davvero perchè non riuscivo davvero a credere a quello che mi era stato detto. Ho cercato su internet, su altri forum e suu libri. E di tophet tali e quali li abbiamo qui in occidente non ve ne sono.

    era ormai così cristallizzata in me l'idea che il "tophet è fenicio"
    tout court, che tutt'ora senza l'input fornitomi da un Forum , ancora sarei convinto che in Fenicia (e qualsiasi luogo in cui i fenici son stati) i tophet si trovassero quasi ad ogni piè sospinto.

    Come ho detto sopra, una domanda apparentemente stupida o proprio stupida di tanto in tanto, non guasta.

    natutralmente rimango sempre in attesa di correzioni o smentite da chi ha letto di più.
    salve

    RispondiElimina
  101. Nell'intervista ormai celebre di Bartoloni (e del suo gatto) lo studioso romano dice che "i sardi erano pronti alla scrittura" e nel dirlo usa il tipico intercalare romano di "va bbene?" "va bbene?" (= ti è chiaro?)che i romani usano quando non sono affatto convinti di ciò che dicono o non sono affatto sinceri in quel che dicono. In effetti dire "che un popolo è pronto alla scrittura" è come dire che una donna normale è pronta a mettere al mondo un figlio. Probabilmente allora anche i Neanderthaliani, da quel che esce negli ultimi anni, erano sacrosantamente pronti alla scrittura. Quel che interessa gli storici è se lo hanno messo al mondo o no, qualche scritto. E semmai se non lo hanno messo al mondo, quali ragioni c'erano che glielo impedivano. Insomma, mi pare che pilatescamente e forse ipocritamente Bartoloni si è sfilato dal dire che i sardi non hanno mai scritto (chè avrebbe potuto offendere i custodi del VERBUM, notoriamente accaniti contro chi contraddica la veridicità delle loro immanenti e imminenti scoperte).

    aldo

    RispondiElimina
  102. @aldo
    Comunque non dice se il Sarida proposto dall'anonimo,le va bene, senz'accenti s'intende.E senza sale.Sar-ida ha presente?Come Sar-digna,Sar-dan,Sar-gon,Sar-ru.
    Giacomo

    RispondiElimina
  103. @dedalonur

    Mi dispiace, in questi giorni ho "spulciato" a più riprese un cassetto di CD dati ed altro, ma non sono riuscito a trovare ne il file, ne le fotocopie, dell'argomento trattato dal Tronchetti nel corso di formazione e aggiornamento a cui ho fatto riferimento. Detto corso si è svolto nell'anno 2004 e sono assolutamente certo di quanto ho asserito in quanto la questione, abbastanza particolare e interessante, mi rimase ben impressa. Purtroppo non riesco a documentarla, per ora considera la questione "priva di riscontro bibliografico" e in "attesa di verifica".

    Riguardo i
    ""bollilatte nuragici ma con tecnica fenicia." cioè il tornio. Invece il suo collega dice: vasi micenei sì...ma fatti da nuragici col tornio""
    dal mio punto di vista l'assenza di contraddizione sta nel fatto che, con i "bollilatte nuragici ma con tecnica fenicia" le genti nuragiche scelgono di rinunciare alle proprie tradizioni e metabolizzano, assorbendole, quelle fenice, quindi anche quella di realizzare la ceramica con l'uso del tornio.
    Invece nel caso delle ceramiche micenee, assorbono la tecnica del tornio e la usano per produrre ceramica alloctona, ma non rinunciano alla propria tradizione e cultura per quanto riguarda la ceramica autoctona, preferendo continuare a realizzarla a mano senza l'uso del tornio.

    Marco Pinna

    RispondiElimina
  104. @aldo
    Comunque non dice se il Sarida proposto dall'anonimo,le va bene, senz'accenti s'intende.E senza sale.Sar-ida ha presente?Come Sar-digna,Sar-dan,Sar-gon,Sar-ru.
    Giacomo

    Datu ki bi semus faghimus fintzas sar-dina e andamus a piscare

    RispondiElimina
  105. Sennor anonimu li debbo approbbare chi "Ki" si iscribet "chi",e sa sardina est bona e mi la pappo(cun duas p),ca non pisco ne isco piscare.
    Giovanni

    RispondiElimina
  106. Deo iscrio comente mi paret ca non ses tue ki mi lu podet inzinzare. Bona dizestione

    RispondiElimina
  107. Sennore non bos airedas gasie,no bos cheria "inzinzare",ma imparare (chi est sa mattessi cosa,prus bella)e curriggire,ca su sardu no est zapponesu.
    Giovanni

    RispondiElimina
  108. Caro Dedalonur,
    su Cartagine in Sardegna è cambiato parecchio negli ultimi due anni di studi, soprattutto grazie alle indagini archeologiche portate avanti a Monte Sirai e a Pani Loriga. Sul tofet la questione è molto complessa. Esso si configura al momento come un fenomeno esclusivamente centro-mediterraneo. la sua assenza nella Penisola Iberica non può certamente essere dovuta ad un caso, giacché le indagini avrebbero dovuto per forza, a questo punto avanzato delle ricerche, restituire qualcosa. Che il tofet sia assente in Fenicia, dal punto di vista materiale, non è corretto e non deve stupire tale assenza, soprattutto per la mancanza di scavi sistematici. Lo stesso termine Tofet, indica infatti in realtà non un luogo in generale ma un toponimo ben preciso, come è possibil arguire dalla lettura di alcuni noti passi biblici. Pertanto il toponimo tofet è stato applicato successivamente alle testimonianze archeologiche rinvenute per prime a Cartagine e consistenti in campi sacri a cielo aperto utilizzati per le deposizioni secondarie in urna di bambini incinerati, quasi sicuramente nati morti o deceduti nei primi mesi di vita.
    La questione del tornio è assolutamente sterile. Se anche fosse vero che ad Antigori si sia LOCALMENTE fatto uso del tornio grazie all'apporto miceneo, potremo anche pensare ad un episodio isolato; se invece pensiamo all'introduzione del tornio nell'VIII e VII sec. a.C. da parte dei Fenici, certamente parliamo di un fenomeno molto più ampio e condiviso. Quindi la questione è, volendo come dovremmo ragionare per sommi capi e non per piccole realtà contingenti (o no?), i Fenici "diffondono" il tornio, il cui uso in alcuni punti della Sardegna rimonta ad età anche precedente. La contraddizione, a parer mio, emerge nel momento in cui noi moderni, a posteriori e con poche informazioni, cerchiamo di uniformare situazioni diverse culturalmente, cronologicamente e geograficamente, benché tutte situazioni sarde. La questione dei vasi bollilatte con tecnologia nuragica è notissima da circa 40 anni (anni eh) e vi è una bibliografia sull'argomento semplicemente sterminata. Occorrerebbe conoscerla.
    Quanto ad Aldo, gli ricordo che meno male c'è Bartoloni che dirige scavi in Sardegna e non il Sig. Aldo stesso.. Riferito al Professore utilizza termini molto discutibili come quando dice che "non sono affatto convinti di ciò che dicono o non sono affatto sinceri in quel che dicono" o "pilatescamente e forse ipocritamente". Caro Aldo, questa è la Professione con la P maiuscola di un uomo che ha dedicato una vita intera allo studio dei Fenici come chiunque altro dedica una vita intera a qualcsiasi altro lavoro. Quella non è passione o tempo libero, caro Aldo, un lavoro è un lavoro. Non è un appassionato come lei che gironzola su internet...ci siamo intesi o no?O ci vorrebbe essere lei al posto del Prof. Bartoloni?Lei non sarebbe contradditorio immagino, in quel che avrebbe detto.

    RispondiElimina
  109. Su sardu iuket medas maneras de l'iscrier e de lu faeddare, ma mi paret craru ki tue ne connoskes petzi una e ti paret de connosker su mundu. Mi raccumando sa sardina, fortzis no l'as galu dizerida.

    RispondiElimina
  110. E si est beru ki su sardu no est zapponesu no est mancu italianu comente lu keres iscrier tue

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  111. Egregio anonimo libanese,

    la fretta l'ha distolta dal leggere bene quanto da me scritto. Io semplicemente dicevo-nulla togliendo alla bontà degli studi del Prof. Bartoloni- come per ragioni di opportunità si sia espresso sibillinamente nei confronti della possibilità dell'esistenza di una lingua scritta hra i nuragici. Siccome io mi ritrovo fra quei pochi sfigati che non credono all'esistenza di essa, m'è parso ipocrita che lui non dicese apertamente quel che pensa. E mi consenta, a Roma ch' vissuto e c'ho parenti: quando usano l'intercalare "va bbene?", non sono affatto convinti di ciò che dicono. Ma c'eran le riprese, e solo al bar si dicono altre cose.

    suo, Aldo

    RispondiElimina
  112. @ALDO
    Io sò romano de roma,e sta cosa me giunge nova.
    Massimo

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  113. @anonimo delle 11,26

    Considero ciò che asserisce condivisibile. Comunque non si vuole a tutti i costi sminuire gli innegabili meriti del Prof. Bartoloni. Tuttavia sono convinto che, sulla terra, non esistono uomini infallibili. Inoltre, ci tengo a precisare, se anche avesse fatto qualche errore di interpretazione, nell'analisi dei dati delle sue ricerche, non sminuirebbero certo il suo prestigio e la sua autorevolezza.

    Marco Pinna

    PS. Mi colpisce il fatto che anche a "Sant'Imbenia", come sostiene il Prof. Bernardini, si comincia ad usare il tornio per produrre ceramiche di tipo fenicio, cioè alloctone. Questo aspetto, secondo il mio punto di vista, è simile con quanto riportato circa "Antigori" per le ceramiche di tipo "miceneo" dal Prof. Tronchetti, anche se le due cose accadono in periodi differenti.

    RispondiElimina
  114. All'anonimo feniciologo

    Se non si tratta di caso, eccetto che per la Fenicia come si spiega da una parte l'assenza del tophet in Spagna e dall'altra, la presenza in Sardegna?

    RispondiElimina
  115. @massimo

    e a me me casca bbene.

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  116. Caro dedalo,
    i fenici sardi sono leggermente diversi da quelli del vicino oriente, di Cadice, della Andalusia, del nord Africa, della Sicilia, di Ibiza...bisogna sforzarsi nel comprendere che l'arco cronologico dei loro viaggi è di almeno 500 anni, cioè oltre 2000 generazioni e sappiamo bene che i popoli si rinnovano nel giro di una decina di generazioni perché l'integrazione, da sempre, funziona a meraviglia in tutto il mondo, grazie soprattutto all'attrazione fisica-chimica fra uomini e donne (faccina sempre sorridente).

    RispondiElimina
  117. SUL TOFET 1
    E infatti questa è la classica domanda da un milione di dollari. Capire fino in fondo come mai in Spagna e in tutto il Circulo del Estrecho ma anche nel medio Portogallo atlantico non ci sia traccia di tofet è un compito piuttosto arduo.Certa è, viceversa,la notevole presenza nel circuito centro-mediterraneo,quel triangolo formato da Sardegna,Sicilia e Tunisia.Il tofet nasce come nascono queste città:a Sant'Antioco è di poco successivo o contemporaneo(metà VIII)a Cartagine idem,come a Mozia,forse a Tharros e altrove. Tra gli specialisti dell'argomento occorre rimarcare che ancora non si è pervenuti ad una soluzione univoca.In realtà è un fatto dato per assodato, gli studiosi"occidentali"non si occupano di tofet,viceversa questi sono caratteristici del Mediterraneo centrale.La questione intera è terribilmente complessa,anche perché lo studio serio è francamente ancora molto giovane,basti pensare che ancora oggi qualche studioso americano ma anche europeo,nonché la stragrande maggioranza della gente,ritiene che davvero si sacrificassero i bambini,cosa in realtà falsa e già smentita da tempo anche grazie all'ausilio di analisi paleo-antropologiche.Il cliché è duro a morire..dagli autori greci e latini,con Diodoro in prima fila (il quale racconta anche di automi bronzei che calavano nelle braci bimbi urlanti e disperati)e Flaubert(col romanzo Salambò)subito dietro.Il tofet è un caso unico e particolarissimo nel panorama delle antiche civiltà,anche se in realtà,a mio modo di vedere,costuitisce piuttosto una "risposta" unica e particolarissima ad un problema che affliggeva tutte le società antiche:l'altissima mortalità infantile.Il problema tofet si connette in maniera sensibilissima col problema della mortalità infantile e delle sepolture infantili.Il Tofet è in sostanza un campo di urne nel quale si sepellivano quei piccoli nati che non avevano fatto in tempo ad entrare,attraverso riti di passaggio specifici,nella cerchia sociale di riferimento.Senza voler banalizzare troppo,sono come i bambini morti prima del battesimo,per i quali la tradizione cristiana ha anche inventato il limbo.Nel tofet la pietà di genitori e parenti consisteva nel far svolgere anche da morto al bambino quei riti che gli avrebbero permesso di entrare a pieno diritto almeno tra la cpmunità dei defunti,anche se non sono entrati in quella dei vivi. Presso tutte le culture dell'antichità alle sepolture infantili è sempre dedicata una particolare attenzione, presso molti popoli (Iberi, ma anche romani e finanche nella nostra età contemporanea) venivano interrati presso le abitazionil,in buche sotto il pavimento.Noi usiamo bare bianche,in Calabria c'è un paese dove anvcora oggi ai funerali di un bambino tutti sono per consueudine vestiti di bianco e sono assolutamente bandite tutte le esternazioni del lutto.Una tipologia di ritualità funebre molto differente rispetto a quella adottata degli adulti,di questo in sostanza si tratta.

    RispondiElimina
  118. SUL TOFET 2
    Nei tofet fenici e punici,quando la famiglia riceveva la grazia di una nuova nascita (giacché anche questa era una delle finalità dei rituali che si praticavano nei tofet),erigevano una stele nel punto in cui avevano interrato il neonato meno fortunato e le loro parole incise recano sempre un ringraziamento alla divinità "perché ha ascoltato il suono delle loro parole"(cioè l'invocazione di una nuova nascita sana e forte!).Tant'è vero che solo sopra una piccola percentuale di urne è deposta la stele di grazia...Altissima era dunque la mortalità infantile,come ognuno si potrà ben immaginare.E se queste comunità avessero anche sacrificato i primogenti?:si sarebbero estinti in un batter d'occhio.E' stato calcolato che su 10 bambini che nascevano solo la metà raggiungeva l'anno di vita, di questi solo tre raggiungevano la puberta e solo uno diventava adulto.Terrificante non tanto la mortalità ma che qualcuno ancora pensi che questi fenici sacrificassero i bambini!
    Sulla questione presenza-assenza posso solo dire una mia impressione personale che si basa sul fatto,oramai dimostrato,che la presenza di un tofet coincide con una precisa strutturazione politica di un insediamento,il quale assurge a "dimensione urbana".Il che non vuol dire urbano come lo intendiamo noi.Per fare due esempi Sant'Antioco ha già un suo tofet quando viene fondata,nella prima metà dell'VIII.Monte Sirai viene altresì fondata alla fine dell'VIII,ma il suo tofet non rimonta più indietro degli inizi del IV sec.!Cosa avviene?Il tutto è probabilmente legato, a mio avviso,a diverse soluzioni adottate per la gestione del fenomeno integrativo e della consaguineità tra diverse etnie. Perché vasi bollilatte nel tofet con le caratteristiche che abbiamo sopra evidenziato?Perché quelle sono famiglie miste.Depongono nel tofet = sono membri a pieno diritto della comunità attiva. Dimentichiamoci le favolette del buon primitivo e del colonizzatore.Queste nuove realtà della Storia,cioè le nuove città sarde,frutto dell'incontro tra nuragici e fenici non si autoreggevano come in un eden felice,doveva esistere una classe dirigente mista,organi di giustizia,sacerdoti e attorno ad essi ruotava una stragrande maggioranza di popolazione.Probabilmente in area iberica non ci sono tofet perché diversissimo è il retroterra culturale che i fenici trovarono quando si spinsero in quelle terre.Viceversa attorno a Cartagine ci sono questi tofet,è un mondo diverso,la sicilia è divisa tra Sicani, Siculi, Elimi, Fenici e Greci..in Sardegna la grande civiltà nuragica,in Tunisia forti nuclei di popolazione berbera e libica.In Spagna invece gli Iberi e i Tartessici.Qualcosa vorrà dire?Ma cosa?
    Tutto terribilmente complesso.
    Bello per questo.

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  119. @ Anonimo
    E' una storia straordinaria quella che lei racconta e la ringrazio sinceramente. L'unico cruccio è in quel "anonimo" che firma, quasi avesse vergogna di scrivere su un blog di non clerici

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  120. @anonimo dei tofet

    Davvero interessante!

    Marco Pinna

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  121. A volte gli anonimi sono illuminanti.
    Grazie per il contributo di notevole spessore.

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  122. Si potrebbe aggiungere per motivare quanto detto dall'anonimo (libanese o forse alessandrino) che la presenza di paludi sicuramente sviluppo' ulteriormente la talassemia, che doveva già incubare all'interno dei cromosomi Fenici; il fatto che nella Spagna meridionale dove allocarono i Fenici (ma non si troverebbero tophet), c'è la malattia, può indurre a pensare che vi sia giunta successivamente, per contagio. Una curiosità: la parola tophet/tofet ha un'origine semitica o no?

    aldo

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  123. E' un toponimo preciso, riferito ad una valle presso Gerusalemme dove i Fenici si diceva "passasero per il fuoco" i bambini.Dalla valle di Ben Innom (come si dice nel Vecchio Testamento)il tofet passerà, nella letteratura storico-archeologica, ad indicare tutti i santuari simili rinvenuti successivamente in area occidentale. Naturalmente ciò fornì il pretesto per stigmatizzare questa usanza da parte degli Israeliti, i quali fecero di tutto per proibire tale rito. In realtà il termine "passare per il fuoco" è stato sempre strumentalizzato per porre in cattiva luce i Fenici, mentre con tutta probabilità si tratta di un rito di passaggio, del "salto" di un fuoco da parte di un bambino, accompagnato da un adulto, il quale con questa "prova" accedeva a tutti gli effetti tra i membri attivi della comunità. Come non si può vedere una straordinaria analogia col fuoco di S.Giovanni al solstizio d'estate?Quando si salta un falò in spiaggia, retaggio di un antico rituale di passaggio all'età adulta?Qualcuno ha presente ciò di cui parlo?.
    Come si può facilmente vedere la questione dei tofet investe l'archeologia, la storiografia, l'esegesi biblica, l'antropologia, le tradizioni culturali.
    La nostra storia. Sarda

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  124. @ anonimo feniciologo...
    grazie pure da parte mia. Senz'altro il tophet è assieme al nome delle città tra gli elementi più problematici per comprendere la realtà demografica di quegli insediamenti.
    Il tophet compare naturalmente a cartagine, ma scompare in altre città dal nome fenicio come Gader; mentre poi ricompare in "città" dal nome non fenicio come quelle sarde.

    RispondiElimina
  125. Da wikipedia:

    Conversely, work at Motiya, an island off Sicily which was home to a large Phoenician colony, showed that the bones of children buried in the local Tophet belonged to male children under the age of five. There was no evidence of disease in these bones (which survived cremation). This argues against the theory that children buried in the Tophet died of random causes. As effective a tool of anti-Carthaginian propaganda child sacrifice may have been, the Motiyan investigation offered strong evidence to support the classical sources.

    come la mettiamo?

    aldo

    RispondiElimina
  126. Come la mettiamo o dove la mettiamo? Da nessuna parte: 1) con tutto il ripsetto: wikipedia; 2) in Inglese perché?Mozia non è in Italia, chi le ha scritte queste c....ate spaventose? Forse un certo Lawrence Stager? L'unico che ancora crede che a Cartagine si sacrificassero i bambini?
    Urge bibliografia e urge lasciar stare wikipedia dove sta, che non serve a nulla rispetto a certi temi.
    Quindi caro Aldo la mettiamo che quel che ci riporta non vale proprio un bel nulla, almeno messo come è messo (cioè, senza un riferimento che sia uno: autore, anno, a che pubblicazioni si riferisce, quali scavi, quali secoli visto che il tofet di Mozia si sviluppa tra la fine dell'VIII e tutto il VI sec. cioè attorno ai 250 anni). Si provi a documentare meglio per favore se no mi obbliga a dirle non "come" ma "dove" la mettiamo.

    RispondiElimina
  127. Cioè? Forse che Mozia non è in Italia essendo al largo della Sicilia???

    RispondiElimina
  128. Ecco visto che io ne conosco i limiti (ma solo perché conosco l'argomento specifico) dico che Stager non ha molto seguito e si capuisce perché, oltretutto il suo studio di riferimento è del 1984...c'è poco da aggiungere.
    Però per valutare l'atrtenbdibilità di wiki mi chiedo: e se io non ne sapessi nulla di tofet questa che informazioni mi darebbe? Sbagliate. Quindi non mi ci fido per nulla, su qualsiasi argomento. Vabbè....è vero...i paletti....meglio che chi è in grado li metta, tantop se non valgono nulla li si può buttare giù inj ogni momento, ma finché resistono vuol dire che nessuno è stato in gradi di buttarli giù o di tirarne su di nuovi e diversi.

    RispondiElimina
  129. Ecco visto che io ne conosco i limiti (ma solo perché conosco l'argomento specifico) dico che Stager non ha molto seguito e si capuisce perché, oltretutto il suo studio di riferimento è del 1984...c'è poco da aggiungere.
    Però per valutare l'atrtenbdibilità di wiki mi chiedo: e se io non ne sapessi nulla di tofet questa che informazioni mi darebbe? Sbagliate. Quindi non mi ci fido per nulla, su qualsiasi argomento. Vabbè....è vero...i paletti....meglio che chi è in grado li metta, tantop se non valgono nulla li si può buttare giù inj ogni momento, ma finché resistono vuol dire che nessuno è stato in gradi di buttarli giù o di tirarne su di nuovi e diversi.

    RispondiElimina
  130. @ Aba Losi
    Dipende da cosa ha letto chi ha scritto le guide cartacee.
    Dipende da cosa hanno letto le guide bipedi o da cosa ha letto chi ha insegnato o insegna loro.
    Sisaia

    RispondiElimina
  131. Credo che la prof. si riferisca,non a roba cartacea,ma ad altre tiritere.Che sò,forme di scarpe di calzolai nuragici.Belle storielle quelle!
    Runara

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  132. Fatto sta che QUELLE notizie su wikipedia sono scorrette, poi cosa c'entrino le guide ne possiamo parlare in un altro argomento, visto che non vi trovo alcuna attinenza

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  133. @ Anonimo 10:29
    Non mi è riuscito di trovare la versione di Wiki incriminata. :(
    Quella in italiano, mi pare abbastanza chiara.
    Ma forse a me risulta chiara solo perchè so dal 1988 delle analisi svolte sulle ceneri contenute nelle urne. In ogni caso se l'Anonimo volesse in altro post fornire qualche drittina per destreggiarsi meglio con Wiki, visto che per molti è l'"unico cassetto in cui frugare", sarebbe cosa gradita. E magari trovarsi un nick.;)in modo da distinguersi nel marasma degli anonimi poco utili allo sviluppo delle discussioni.
    Grazie.

    @ Aba Losi
    In genere, nelle guide cartacee c'è un minimo di bibliografia, però occorre disporre di tempo e voglia per approfondire.
    Il che aiuterebbe anche con le guide bipedi, che alle volte sono effettivamente un salto nel buio.
    La prego però di non fare di tutte le erbe un fascio.
    Sisaia

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