mercoledì 16 settembre 2009

Quella libertà di stampa minacciata da giornalisti

Moltissimi miei colleghi, insieme alla sinistra, manifesteranno il 19 a favore della libertà di stampa che gli uni e l'altra temono in pericolo. Francamente non penso che la libertà di informazione sia oggi a rischio, ma con lo spirito sono con chi manifesterà. Ci sarò, per così dire, a futura memoria, temendo quel giorno nefasto in cui dovessero andare al governo italiano persone come Di Pietro che, in questi giorni, sta dando il meglio di sé in quanto a sub-cultura giustizialista, con non leggere sfumature forcaiole.
La libertà di stampa ho scritto da qualche parte ha un nemico poderoso che non sta in leggi liberticide, oggi non alle viste, ma nella perdita di credibilità e di autorevolezza di parte della stampa. Non si comprano più i giornali per sapere che cosa è successo, ma per abitudine. Una abitudine che, temo, non tarderà a trasformarsi in disaffezione se il mio mestiere non cambierà radicalmente, tornando, se possibile, a informare senza trasformare tutto in spettacolo e/o allarmismo.
Un esempio minimo è in queste due foto che hanno bisogno di introduzione. E' successo che un ponte appena costruito, certo non ottimamente, sotto un possente temporale abbia subito un piccolo cedimento al bordo della carregiata. La cosa è successa ad Orosei, che l'anno scorso è finita sotto l'acqua che Giove pluvio ha scaricato in maniera davvero esagerata. Il ricordo di quell'avvenimento si è sedimentato nelle migliaia di persone che sotto la tempesta di pioggia ha perso beni e patrimoni.
Immaginatevi il patema d'animo con cui le persone hanno visto le due locandine dei quotidiani sardi annunciando l'una un rischio, l'altra il disastro imminente. Gli articoli sul cedimento non erano affatto allarmistici come le locandine, ma mentre queste erano immediatamente visibili e allarmanti, gli articoli andavano letti dopo, comunque, essere stati acquistati sull'onda dell'emozione per il disastro annunciato. Che non c'è stato. Lo stesso giornale che aveva strillato l'allarme, il giorno dopo ha relegato la notizia della cessata paura in quattro righe di un minuscolo trafiletto in gergo chiamato "tappabuchi".
Cosa minima, va da sé. Ma è anche questa la "libertà" che si vorrebbe tutelare? La libertà di mandare in vacca la credibilità dei giornali?

3 commenti:

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  2. Insisto a cancellare commenti in cui si etichettano inutilmente delle persone. Il "direttore gay", posto che lui dice di non esserlo, non è gay e se anche lo fosse il rimarcarlo è una sciocchezza.

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  3. Concordo appieno con questo articolo. A me pare che libertà di stampa ve ne sia talmente tanta che ognuno si sente in diritto di dire qualunque stupidata per ottenere lo scoop (o l'audience), ma più spesso perché funzionale a qualche disegno che a noi lettori (o spettatori) non viene detto in quanto obiettivo da manipolare.Il giornalista, in questo senso, si presta a funzionare da cassa di risonanza dei progetti altrui. E non ci fa una bella figura. Mi sono sempre chiesto perché se alcuni operai in Lombardia salgono su una torre per protesta tutti i mass media strombazzano la notizia ai quattro venti per settimane, mentre se a fare questo tipo di protesta sono alcuni operai sardi (che ormai sono dei veri specialisti da questo punto di vista), e non certo per appena 49 operai,i mass media nazionali ignorano la cosa. Esempi come questo potrei farnne tantissimi. Non sarà che in Italia, tutti i mass media, indipendentemente dalla loro proprietà, sono padanizzati e padanocentrici?
    E che dire quando si calca la mano sulla loro terra d'origine? Le bande dei sardi, la malavita siciliana, campana, calabrese, pugliese etcc costellano giornali e telegiornali. E' solo un mio cruccio, lo so, ma ancora non ho sentito notizie del genere: banda di lombardi rapina una banca, banca d'affari lombarda truffa i risparmiatori, multinazionale emiliana rovina i suoi azionisti, rapinatore piemontese assalta una gioielleria e così via. Su questo argomento mi vengono in mente anche i pistolotti di Emilio Fede contro il fotografo Zappadu, a volte chiamato ingiuriosamente "zappetta", "pupazzo", "pupazzetto" e così via, giusto per storpiare il suo cognome troppo "sardo". Dopo essersi beccato una querela, ora lo chiama il "fotografo sardo". Evidentemente l'aggettivo "sardo" deve essere un aggravante non da poco. Perché il suo conterraneo Corona non lo chiama il "siciliano trapiantato a Milano come me". Forse perché una volta padanizzati ci si purifica da certe colpe?
    Potrei continuare a lungo, ma concludo dicendo che a me pare assodato che anche le notizie sono fortemente manipolate in funzione di un qualche disegno. E i giornalisti, da questo punto di vista, scusate l'espressione, si comportano come le puttane di tutti.

    B. Floris

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