sabato 22 agosto 2009

Il grande inganno dell'unità "d'Italia"

di Francesco Cesare Casula

Sono stanco, non ho più parole: da oltre vent’anni vado dicendo le stesse cose, ampiamente dimostrabili, ma nessuno mi sta a sentire, perché noiose per menti pigre o perché non combaciano con ciò che si è appreso e si apprende dalla scuola, dai giornali, dai libri, dalla radio, dalla televisione, da tutto il sentimento nazionale. Perciò, vengo snobbato. Mi vien voglia di gridare: basta. Se ne avete vaghezza, andate a leggere “La terza via della storia. Il caso Italia” e, se lo capite, portatelo avanti – voi, e non più io – nelle conseguenze politiche, che sono dirompenti (aprono la strada ad un’autonomia speciale ed unica o, addirittura, potrebbero portare alla lotta per un indipendentismo sovrano, se disattesi nei nostri diritti).
Ma non ci credo. Noi sardi non abbiamo palle: siamo nati sottomessi e sottomessi moriremo.
Comunque, oggi, per l’affetto e la stima che ho nei confronti di Gianfranco Pintore, il quale unico intellettuale molto di me ha recepito e incanalato nel filone letterario, provo a ridire in parole povere la storia: la nostra storia sardo-italiana, non come materia scolastica ma come materia filosofica, cioè come modo di pensare.
Se si prende un atlante si vedrà che tutto il mondo è frazionato in Stati, con tanto di confini, popolazioni dentro i confini, rispondenti ognuna a leggi proprie. Lo Stato è un concetto inventato dall’uomo fin dalla sua nascita, fin dal periodo delle caverne, e condiziona tutta la sua vita. Eppure, nessuno storico ne fa la storia. Se si immagina uno Stato come un’automobile, gli storici fanno la storia del guidatore, ovverosia dei governanti statali, siano essi re o principi o presidenti, ecc.; oppure fanno la storia dei passeggeri, ovverosia del popolo, con tutte le guerre, le rivoluzioni, gli affanni, le gioie e le miserie da esso patite. Nessuno pensa però, a fare la storia dell’auto, ovverosia dello Stato, senza il quale non ci sarebbe né il guidatore né i ci sarebbero i passeggeri.
Rapportate questo banale esempio al “caso Italia/Sardegna”. Qual è la Storia, la nascita e lo sviluppo dello Stato oggi chiamato Repubblica Italiana? Il Diritto parla chiaro: «L’attuale Stato italiano non è altro che l’antico Regno di Sardegna ampliato nei suoi confini». Quindi, non c’è mai stata un’unità d’Italia ma uno Stato, chiamato Regno di Sardegna, nato in Sardegna, a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324, che per annessione ha incamerato dal 1848 al 1861 tutti gli Stati della Penisola italiana (non si deve credere alle mie parole ma si deve credere al Diritto che specifica bene cosa vuol dire unità fra Stati e cosa vuol dire annessione di Stati).
Il 17 marzo 1961, visto che l’automobile si era ingrandita enormemente inglobando le ecumeni delle fagocitate automobili peninsulari, il guidatore dello Stato sardo (cioè Vittorio Emanuele II di Sardegna, imbeccato dal Cavour) pensò bene di cambiargli il nome, da Regno di Sardegna a Regno d’Italia.
Ed è così che, col cambio del nome allo Stato la domenica mattina del 17 marzo 1861, ha inizio il “Grande Inganno” che coinvolge ed inficia non solo la storia nazionale ma tutto il modo di pensare della società oggi detta italiana.
In verità, il cambio del nome di uno Stato non è una cosa arbitraria, incostituzionale. Sia il nome sia il titolo sia la simbologia statuale appartengono alla categoria degli “attributi di personalità” dello Stato, i quali possono essere modificati o addirittura aboliti senza che lo Stato ne soffra o cambi la propria condizione giuridica. Nel corso della storia ciò è avvenuto tante volte in tutto il mondo: nel 1302 il Regno di Sicilia cambiò il nome in Regno di Trinacria, nel 1789 il Regno di Francia cambiò il titolo e il nome in Repubblica Francese, dal 1939 al 1947 la Spagna non ebbe né titolo né nome, chiamandosi semplicemente El Estado.
Il cambio del nome nel 1861, da Regno di Sardegna in Regno d’Italia fu, probabilmente, una cosa giusta e sensata, in quanto la maggior parte della ecumène statale era ora rappresentata dalla penisola italiana.
Ciò che, invece, fu e resta ingiusto e inaccettabile è che col cambio del nome si sia cambiata anche la storia istituzionale, politica e sociale dello Stato, e che con esso cambio si sia introdotto nella società l’inganno che il binomio Italia-Penisola voglia dire Italia-Stato, ed il mito che tutto ciò che era dello Stivale prima del 1861 faccia parte da sempre di un’unica vicenda territoriale, di un unico idem sentire, di un’unica cittadinanza e nazionalità che nella sostanza tradisce il reale percorso statuale oggi detto italiano.
Da quella mattina del 17 marzo 1861, infatti, la storia dello Stato non è più la storia del Regno di Sardegna, iniziato nel 1324 e pregnato per 537 anni dal sangue e dal sudore dei sardi isolani e continentali ma la storia della penisola italiana, dagli etruschi ai romani, dai longobardi ai normanni, dai veneziani, toscani, napoletani ai piemontesi. Per cui, a scuola, dove si plasma e s’indirizza la società del domani, s’insegna la battaglia di Legnano o la disfida di Barletta affatto ininfluenti nella formazione dello Stato, e non la battaglia di Lutocisterna o la battaglia di Sanluri senza le quali, oggi, non ci sarebbe quell’entità per la quale tutti noi, insulari e peninsulari, lavoriamo, preghiamo, combattiamo e paghiamo le tasse.
Tutto quello che ho detto è dimostrabilissimo attraverso fonti archivistiche, cartografiche, iconografiche, ecc. Ma a nessuno importa. Non importa ai sardi e non importa ai connazionali continentali, perché ho sollecitato il Sindaco di Cagliari a far votare in consiglio la dichiarazione della città come prima capitale dello Stato oggi detto italiano, senza risultato; ha invitato la Regione a dichiarare la Sardegna come matrice dello Stato sardo-italiano, senza averne risposta; ho chiesto ai deputati sardi, di Destra e di Sinistra, di presentare una mozione al Parlamento bicamerale nazionale (hanno risposto solo Delogu e Fantola), senza ottenerne alcun riscontro. Risultato: noi che rappresentiamo la nascita, l’infanzia e la giovinezza dello Stato non siamo nemmeno inseriti nelle celebrazioni del centocinquantenario della cosiddetta Unità d’Italia. In compenso, viviamo contenti fra campanacci, coltelli, cestini e tappeti. Viva la Sardegna.

Nelle foto: il trattato fra Sardegna e Francia e quando i codici dello Stato erano sardi

20 commenti:

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  2. Caro Pintore quando dice questo si sbaglia.. "noi che rappresentiamo la nascita, l’infanzia e la giovinezza dello Stato non siamo nemmeno inseriti nelle celebrazioni del centocinquantenario della cosiddetta Unità d’Italia. In compenso, viviamo contenti fra campanacci, coltelli, cestini e tappeti. Viva la Sardegna." la prima manifestazione in assoluto sarà alla tomba dell'eroe dei due mondi Giuseppe Garibaldi..

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  3. Per Pintore, Casula, Gaias e altri: Se si volesse trovare la pista giuridica per l'elevazione della Regione Sardegna in qualità di embrione dello stato italiano, nulla da eccepire sulle valutazioni di Casula (di cui tra l'altro sono un lettore). Il problema nasce nel momento in cui il concetto di nazione si scontra con quello di stato, secondo una crescente letteratura anglosassone in materia di nazione: essa non è altro che l'attribuzione sentimentale del vissuto stornata ad usi, costumi, storia e lingua professata. La lingua (e gli altri elementi) da se quindi non fanno necessariamente la nazione ma per poterla fare serve quel legame di tutela e di difesa di tali elementi che sviluppano i suoi abitanti. Tali legami li riscontriamo sia nei confronti della Sardegna, intesa come nazione, sia nei confronti dell'Italia. Ma essendo questi ultimi maggioranza, il sentimento patriottico italiano finisce per inficiare la ricerca della verità sulla natura statuale dell'Italia e del passato stesso che l'ha generata. Questa verità tuttavia non va a ledere la liceità dell'esistenza della nuova nazione italiana. Arrivo al punto: Perché ho invitato Giorgio Gaias in questo spazio? Perché ho notato che diversi avventori di questo spazio, ben riconoscendo l'oggettiva e reale nascita dello stato italiano, usano tale passato come scusante per affievolire un sentimento nazionale italiano che comunque esiste. La storia ci insegna che le nazioni possono nascere in mille maniere, anche artificialmente e sotto dettatura legislativa che sarà poi imposta ai cittadini da un dato stato. L'identità di un uomo infatti non è che il prodotto dell'ambiente in cui vive. Non dobbiamo quindi lamentarci se attorno a noi non c'è volontà di ricercare la verità perché se da un punto di vista storico-giuridico possiamo avere tra le mani tutte le ragioni di questo mondo, le stesse non vanno di pari passo con un sentimento che comunque è nato e si è radicato. A prescindere dalle modalità. Io credo che il nostro compito non sia quello di cercare sponde laddove non ne possiamo trovare ma quello di operare affinché in futuro si abbiamo gli strumenti politici idonei per poter attivare la verità da sedi istituzionali (ad esempio, formalmente, dalla Regione). Cosa che gli attuali partiti con i loro membri sono poco interessati a fare. Dobbiamo batterci per avere veri partiti territoriali che contino nei numeri di un futuro consiglio regionale. E' questa la vera sfida che a mio avviso dovrebbe vederci impegnati. - Bomboi Adriano

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  4. Per "attuali partiti e loro membri" intendo le maggiori sigle italiane, tra cui PD e PDL. - B.A.

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  5. giorgio giovanni gaias22 agosto 2009 alle ore 13:53

    Vedi Bomboi pd e pdl alla fine sono la stessa medaglia io se ti fa piacere proverò a portare al congresso della destra la mozione di una destra sardegna federata a quella nazionale così come è alleanza siciliana la destra..

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  6. Giorgio, credo che i vertici de La Destra siano poco interessati alla tutela della Sardegna in quanto minoranza identitaria dello stato italiano. Devo andare, ci sentiamo. B.A.

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  7. Caro professor Casula, quando ho letto il suo libro "La storia di Sardegna" mi ha colpito questo suo battere e ribattere sulla questione della derivazione giuridica dello stato italiano dal Regno Sardo: era una cosa talmente scontata che, francamente, non capivo la necessità di ribadirla in quel modo.
    Lei, a questo riguardo, non ha detto niente che chiunque avesse frequentato con profitto le elementari nei primi anni '60 non sapesse già (basta pensare al "Piccolo tamburino sardo" di De Amicis): prima del Regno d'Italia, il regime sabaudo si chiamava Regno di Sardegna.
    La cosa in sé non ha nessuna importanza (figuriamoci!), infatti ai miei tempi la si insegnava tranquillamente a scuola, come pure--le due cose vanno assolutamente assieme--a Radio Cagliari si sentivano normalmente la musica e la lingua sarde.
    Basta poi pensarci un attimo a questa questione: la Sardegna, durante il Regno di Sardegna era veramente soltanto una colonia da sfruttare e opprimere in modo brutale da parte dei governanti ... sardi(?).
    Il rapporto tra status giuridico e status reale (economico, sociale, culturale, ecc.) della Sardegna di allora mi sembrano l'esempio più chiaro dell'inutilità dello strumento "stato" per l'emancipazione dei popoli.
    Lo stato "sardo", i Sardi lo chiamavano "sa giustitzia" e tutti sappiamo cosa volevano dire.
    Ho cominciato a capire che il suo discorso era dirompente quando ho visto le reazioni di alcuni miei amici, ovviamente di sinistra.
    Quando il suo libro è uscito, il clima politico-culturale in Sardegna era cambiato moltissimo rispetto ai primi anni '60.
    C'era stato nel mentre il "risveglio sardista" e, soprattutto, il fatto che una pattuglia nutrita di intellettuali-ovviamente-di sinistra aveva colto l'opportunità di far carriera, presentandosi come baluardo contro la "reazione localista e antiunitaria" rappresentata dalla nuova coscienza linguistica e culturale dei sardi.
    Questi loschi figuri-pardon!-esponenti della cultura democratica hanno cominciato allora a sparare a zero su tutto quello che odorasse anche minimamente di sardità.
    La sua tesi allora, non è dirompente in sé, ma soltanto perché erode la base di potere di questi meschini spacciatori di miti: la sua è una delle tante piccole storie di miseria umana che, tutte assieme, fanno la Storia, almeno come la racconta Braudel-molto diversa dalla Storia di Stati e di Re e di Battaglie e di Matrimoni tra Re e Regine che racconta lei.
    Caro professore, lei non è né la prima né l'ultima vittima di questa gang di killer culturali.
    Ma almeno lei ha avuto l'accortezza di venire allo scoperto poco prima della pensione.
    Lei è stanco e lascia a noi il testimone: io accetto volentieri!
    Fermo restando che "la verità è rivoluzionaria"(cioè provvisoria: si veda Popper!), dire cose vere e sensate è molto più divertente che dire stupidaggini e poi non è che si abbia molta scelta: quando si rifiuta la violenza come strumento rivoluzionario, rimane soltanto la cultura ad armare l'eversione.
    E non a caso lei, invece, a dedicato il suo libro a Francesco Cossiga.
    Io i miei libri li dedico ai miei figli...

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  8. Direi che non si può imporre il sentimento di nazionalità italiana per legge, soprattutto mentre si continua a negare il sentimento di nazionalità sarda.

    A me pare che non ci si debba arrabattare più di tanto per far sopravvivere l’Italia che conosciamo. Occorre invece garantirle una buona morte. Lo affermo ben cosciente della sacralità del sangue versato per costruire l’Italia e lo faccio da italiano, visto che il biglietto l’ho pago caramente, per giunta lo faccio in italiano, ossia nell’idioma che da solo non fa nazione, idioma che si è via via affermato a detrimento e nella negazione della lingua sarda e della sardità.

    E’ chiaro che nel momento in cui si affossa la Sardegna, ciò che avviene quotidianamente a livello politico, l’Italia è già morta nel cuore di moltissimi sardi. E il pensare al sangue versato dai nostri genitori, zii, nonni, bisnonni, ecc., per tirar su questa opera artificiosa e mal riuscita, non può che provocare malumore e rabbia. Perché quel sangue è stato tradito! Le tante giovinezze gettate al vento, gli stenti, le ferite in tanti campi di battaglia, in Libia, nel Carso, nei Balcani, in Russia, negli altopiani etiopici, in Somalia ed Eritrea, il languire nei campi di concentramento, le morti premature per le traversie e le privazioni subite in guerra… dov’è il riguardo e la considerazione per tutto questo? E dov’è la Repubblica fondata sul lavoro se i nostri giovani, che già negli anni cinquanta prendevano la via del mare per recarsi in mezza Europa, ora devono ripercorrere volenti o nolenti quelle strade? C’è solo tanta amarezza nel constatare che tanti sacrifici si sono rivelati pressoché inutili per il riscatto dell’isola.
    Gaias agita la bandiera italiana e ci ricanta l’inno di Mameli. Il brivido sulla schiena non corre più da un pezzo! Non più, proprio in memoria del tradimento subito dalla mia terra e che già Mazzini e Cattaneo denunciarono. Tradimento che purtroppo vede la partecipazione di troppi sardi direi rinnegati (Gaias guardati dai rinnegati).
    In conclusione, si s’Italia est trotta che anca ‘e cane come la vedo io, se è la sua stessa esistenza a impedirci di prendere in mano il nostro futuro, mi pare proprio fuori luogo continuare a coltivare illusioni di un’unità fasulla. Significa che il rapporto tra “italiani” andrà rifondato su ben altri presupposti rispetto a quelli attuali. Presupposti di rispetto reciproco e verità storica, come insegna Francesco Cesare Casula. Naturalmente dopo averci ripreso la piena autonomia che adesso non può non aver nome di indipendenza statuale.

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  9. Solo per curiosità, da non competente,
    come mai i trattati tra Francia e Sardegna sono scritti in italiano?

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  10. L'esecuzione del trattato è in italiano, perché nel Parlamento sardo si parlava in italiano; il trattato, con valenza internazionale, è in francese

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  11. Io nel recente passato sono stato ingeneroso nel giudicare il lavoro del professor Casula proprio per questo suo battere, a mio avviso eccessivamente, sulla derivazione giuridica dello stato italiano dal regno sardo quindi vorrei anzitutto scusarmi con lui per i toni sarcastici che ho usato. A mia parziale giustificazione (che si puó leggere anche come un'aggravante) dico che ero (e sono, anche se un po' meno) molto ignorante in fatto di storia della Sardegna avendo iniziato ad interessarmene solo dopo aver abbracciato l'idea indipendentista, quindi non conoscevo il grossissimo contributo dato ad essa dal professor Casula.

    Questo non toglie che, a mio parere, questo suo battere cosí insistentemente su quel fatto (anche io, come il prof Bolognesi, che ho frequentato la scuola negli anni 80 e 90 mi ricordo che questa derivazione non è stata mai omessa... magari non è stata sottolineata abbastanza, ma le assicuro che un sardo che vede la propria terra praticamente scomparire dai libri di storia dopo un breve accenno all'etá nuragica questo passaggio lo nota e se lo tiene ben stretto) distoglie l'attenzione da episodi ben piú dirompenti (se insegnati) che probabilmente porterebbero a concludere che la soluzione piú logica e sensata è l'indipendenza. A me pare che con questa sottolineatura lei cerchi di rincuorare chi ha questo "timore" che per me invece è una speranza.
    Invece, in un documento trovato su internet, Lei conclude cosí una lezione sull'autonomia sarda e quella catalana:

    "L’essere considerati, anche solo a livello scolastico, la regione d’Italia dove nacque e si sviluppò quel Regno che ha dato origine all’Italia stessa, equivale ad eliminare o, comunque, a stemperare con l’implicito diritto alla continuità territoriale quel dualismo di tipo coloniale dello scontro tra ordinamenti esterni dominanti e cultura interna soggetta che condiziona lo spirito autonomistico dei Sardi fino a spingerli, talvolta, a ideologie radicali come l’indipendentismo o, addirittura, il separatismo."

    Mi ha irritato questo dipingere l'indipendentismo come frutto di scarsa considerazione da parte del governo centrale, quando invece è il frutto di un'analisi ben piú solida e profonda.

    La ringrazio ancora comunque per il suo illuminante lavoro di ricerca storiografica.

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  12. Caro Addis, non sei il solo ad aver avuto nei confronti della dottrina della statualità di Cesare Casula quell'atteggiamento di rifiuto. Durante una campagna elettorale per le Europee, entrambi candidati naturalmente in schieramenti opposti, abbiamo avuto uno scontro al calor bianco proprio su queste cose.
    Aveva ragione lui e torto io. A mia discolpa (ma a massima colpa della scuola) devo dire che a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, nel liceo fiorentino dove studiai, il passaggio dal Regnum Sardiniae (non Regno di Sardegna, bada bene) e il Regno d'Italia ci fu presentato come un naturale flusso precostituito dal destino: tutto, dalla Divina Commedia alla disfida di Barletta su su negli anni erano semplici tasselli di un disegno storicamente necessario.
    La Sardegna come entità storicamente determinata manco esisteva, figurarsi se poteva essere qualcosa in più di un nome, improvvisamente comparso nel 1720 come merce di scambio fra le allora grandi potenze.

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  13. Caro Pintore,
    vorrei solo precisare che non ho mai avuto un atteggiamento di rifiuto verso la dottrina della statualitá del Prof. Casula. Non ho alcuna difficoltá ad accettare che lo stato italiano derivi giuridicamente da quello sardo.
    Quello che non mi trova d'accordo sono le conclusioni del Casula che sembra dipingere l'indipendentismo come conseguenza della scarsa considerazione da parte del governo centrale.

    Mi sono scusato per i toni che ho usato, ingenerosi ed irrispettosi verso il lavoro (purtroppo non molto noto) di un grande studioso, ma la differenza di vedute su quel punto rimane.

    Saluti

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  14. bnexGent.mo Addis
    Il prof. Casula ha centrato l'obiettivo, questo desiderio di indipendentismo di buona parte del popolo sardo è dovuto alla scarsa considerazione di tutti i governi italici che, come voi tutti del blog mi potete insegnare, hanno sempre attinto dall'Isola a piene mani, lasciandoci km di gallerie sventrate di minerali più o meno presiosi, silicosi e morti bianche, dissesto idrogeologico dovuto al disboscamento più dissennato avvenuto nell'area del mediterraneo.

    Agli italici dobbiamo ricordare che fra le tante eredità gli abbiamo donato anche l'inno nazionale (oggi tanto vituperato dal clan padano), visto che G. Mameli pur essendo nato in Liguria era figlio di un Ammiraglio sardo (di Sardegna). Il DNA non mente!

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  15. Per Pierpaolo Olla,
    io credo che far derivare l'indipendentismo sardo semplicemente dai cattivi governi italici sia una forzatura che contiene un giudizio implicito di incapacità di intendere e di volere dei sardi. Ritengo invece che noi sardi abbiamo intelligenza sufficiente per capire che dobbiamo prendere in mano il nostro futuro. Noi sappiamo che “un isola qualunque non può prosperare ove non si governi da sé ” Giovanni Battista Tuveri e sappiamo che l'Aurora non potrà mai sorgere sui nostri graniti, senza che lo vogliamo noi figli di Sardegna (Sebastiano Satta).
    Dunque il processo di riscatto dobbiamo promuoverlo noi con tutta la nostra intelligenza e la nostra volontà, non dobbiamo più illuderci che i governi italici migliorino per noi. Anzi è chiaro che dobbiamo entrare in conflitto con gli sgoverni italici e con i manutengoli locali tutte le volte che sono di intralcio al progresso della nostra terra. Questo prima ancora di puntare alla piena indipendenza statuale.
    Detto questo, resto molto interessato alle tesi di Francesco Cesare Casula. Purtroppo il testo che cita: “La terza via della storia. Il caso Italia” non si trova più in commercio.
    P.A.

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  16. Gent.mo Olla,
    il Prof. Casula mi sembra un sincero ed onesto autonomista come ce ne sono pochi in Sardegna (o se sono molti si nascondono bene). L'autonomia, essendo una mezza libertá o una libertá vigilata, esige sempre un certo grado di attenzione da parte del governo centrale, unita ad una piú o meno ampia libertá operativa. Qualora tali attenzioni non fossero sufficienti o non fosse abbastanza la libertá, l'autonomia (quella seria, non quella sarda che è ridicola) si sposta verso posizioni piú estreme, financo l'indipendentismo, gelosamente conservato come ultima risorsa di "ricatto" del governo centrale.

    Per fare un esempio di autonomista serio (o almeno cosí sembra) recentemente balzato agli onori della cronaca, prendiamo Lombardo, il governatore della Regione Sicilia; in un'intervista ha chiaramente detto che, qualora l'autonomia siciliana non fosse rispettata, allora si passerebbe alla richiesta di indipendenza. Do ut des, questo è il principio sul quale si fondano le autonomie serie, che non hanno paura di affrontare a muso duro il governo centrale e che ottengono maggiori risultati. Un'autonomia seria in Sardegna da mo' che avrebbe tirato fuori la carta indipendentista per farsi rispettare, ma di serio ne governo della regione c'è ben poco.

    Ma io non sono autonomista, io sono indipendentista, quindi non recrimino aiuti dallo stato italiano, vorrei solo che questo si ritirasse in buon ordine pulendo ció che ha sporcato. Non trovo nulla di sbagliato nel fatto che lo stato distribuisca valanghe di miliardi a nord, centro e sud (Sicilia compresa) ed alla Sardegna vadano solo le briciole. Non è un'ingiustizia, è assolutamente giusto e normale che si finanzino infrastrutture che interessano decine di milioni di persone rispetto da altre che per 9 mesi all'anno riguardano praticamente solo 1600000 persone. Non c'è nulla da recriminare di fronte a questo, c'è solo da prenderne atto. Una maggiore autonomia potrebbe magari risolvere qualche piccolo problema, ma quelli grossi legati ad una sostanziale mancanza di completa sovranitá rimarrebbero. Ma quella tra autonimia ed indipendenza dovrebbe essere una sfida, una gara a chi è piú capace nel migliorare le condizioni del popolo sardo. L'indipendentismo, per quanto piccolo, è presente. Dov'è l'autonomismo? È quello che abbiamo ora? È rappresentato da Cappellacci e dal PDL Sardo? Oppure da Soru e dal PD sardo? È veramente ridotto cosí male? Al momento pare di si. Soru l'ha gettata al vento contrattando con il suo "governo amico", abbaiando tanto e mordendo niente; Cappellacci la sta umiliando giorno dopo giorno sempre di piú. PD e PDL si rimbalzano l'un l'altro le accuse pur di giustificare i rispettivi "governi amici" e non ammettere che tutti i governi dello stato italiano sono nemici per antonomasia della nazione sarda.

    Al momento la situazione che vedo è questa e peggiora giorno dopo giorno.

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  17. Stimatissimo Prof. Casula
    premetto, non intendo mettere in discussione la fondatezza di quanto afferma nel suo autorevole intervento.
    Quanto ho appreso di storia medioevale della Sardegna è frutto del suo sapere e della sua capacità divulgativa.
    Se non ricordo male, quel "Regno di Sardegna" (e Corsica) del 1324 era stato opportunisticamente ideato dal Papa Bonifacio VIII nel 1297 in un difficile momento storico (per la chiesa) e "investito" al re di aragona in cambio di rendite economiche e altre questioni che non ricordo.
    Sappiamo che i presunti diritti della chiesa trovavano legittimazione in un “testamento” falso, per cui devo confessare che mi viene spontaneo il profondo rifiuto a riconoscere la legittimità di un evento storico fondato sull'inganno, l'arroganza e la prepotenza.
    Ritengo invece si debbano considerare gli eventi successivi a quella data, la guerra agli Aragonesi , come legittimo diritto di un popolo alla sua autodeterminazione e di fatto costituenti la “Sa Repubrica Sardisca”.

    Cordialmente
    Marco Pinna

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  18. Tutto può essere rigirato. Ma per i vincitori, Cartago delenda est...- B.A.

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  19. Francesco Cesare Casula25 agosto 2009 alle ore 17:17

    Caro Gianfranco, ho letto tutte le risposte al mio articolo sul tuo blog. Avrei voluto partecipare, ma non so come si fa (non sono molto bravo col computer). Comunque, mi sono piaciuti tutti gli interventi, tutt'altro che "leggeri". Questo mi conforta perché evidentemente l'intelligenza esiste, anche in Sardegna. Ti prego di avvisare, chi lo vuole, di mandarmi per mail il suo indirizzo ed io provvederò ad inviare per posta, in omaggio, "La terza via della storia" perché non è in commercio. Puoi annunciare anche che sto per pubblicare entro l'anno "Italia. Il grande inganno. 1861-2011" che chiarisce e risponde a molte domande sul valore della nostra storia comparse nel blog. All'amico Bolognesi vorrei dire che sì, è vero, in tempi passati si parlava di Regno sardo nel Risorgimento; ma come un vezzoso attributo araldico dei Savoia. Non si andava a ricercarne l'origine e lo sviluppo il quale, come è facile dimostrare, comincia il 19 giugno 1324 con una storia tutta sarda (non antropologica ma istituzionale) fino al 1861 quando fu cambiato il nome allo Stato e, con ciò, gli si è tolto tutto il pregresso. Infine, io sono autonomista (spinto) solo perché non ritengo realizzabile in pratica l'indipendentismo che non rifiuto; anzi...

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  20. alberto areddu scrive:

    Egregissimo Casula,

    spero di non esser in ritardo per un commento.E'comunque una bella occasione l'averla in questo spazio. Ma Le devo dire che sinceramente non ho ben capito la Sua lamentela. Lei dice che: "noi che rappresentiamo la nascita, l’infanzia e la giovinezza dello Stato non siamo nemmeno inseriti nelle celebrazioni" però allo stesso tempo riconosce che l'Italia si è fatta solo dopo il passaggio dal Regno di Sardegna a quello d'Italia; io non so se solo la Sardegna sia stata esclusa, sa mica se a Chambery invece faranno balletti, Napolitano ospite, coi bersaglieri e col tricolore (quello di R.Emilia)? Era ovvio che ciò che è stato la preistoria di uno stato venisse ignorato o un po' dimenticato, d'altra parte se come avverto dal suo tono e dalla sua pubblicistica, Lei lamenta che la Sardegna fu un tempo indipendente, coi suoi regoli, che regoli per Lei non erano manco per niente, anche fossimo stati quella capitale germinale dello Stato, saremmo sempre stati capitale PER un popolo invasore, né più né meno di quel che fu l'atzeca Tenochtitlán ridivenuta Ciudad de México. Quindi delle due l'una. O lei vorrebbe che si tenesse in conto il fatto che anche la pre-storia di uno stato è importante, oppure vorrebbe che si tornasse a quel fatidico 1300, a Luto/Luco-cisterna quando la Sardegna, dei quattro reges/iudices, era indipendente, con le sue curatorie, i suoi monasteri ecc. ecc. Ci dica.

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