sabato 14 febbraio 2009

Nessun dramma: sono solo elezioni

Quale che sia, il risultato delle elezioni di domani non sarà traumatico per i sardi, non ostante gli apocalittici presentimenti e annunci delle opposte tifoserie. Sarà traumatico, questo sì, per Veltroni o per Berlusconi, come dirò più in là. E comunque, forse, segnalerà che non è più il caso di prendere la Sardegna come “laboratorio” di esperimenti politici in cui gli interessi dei sardi sono una questione collaterale.
Al di là delle differenze, quasi sempre più nominalistiche che sostanziali, i programmi dei due candidati con maggiori chance e degli altri tre che lottano per la maggiore rappresentanza possibile sono improntati ad un economicismo che solo in parte è frutto della crisi che viviamo e vivremo e, invece, in gran parte a una convinzione radicata, ideologica. Anche parole evocative come “sogno”, “sorriso”, “nazione”, “indipendenza” sono incardinate su inattuali presupposti di sviluppo economico infinito.
In quale cornice questo sviluppo dovrebbe esserci, è detto attraverso parole d’ordine che sembrano alternative: contare su noi stessi, alleanza Sardegna-Italia, indipendenza nazionale, indipendenza repubblicana. Sembrano solo, però. Perché manca il presupposto indispensabile: come realizzare quel che ora sono solo parole d’ordine, un discorso chiaro su quali siano gli strumenti. Tralasciando la questione indipendenza comunque declinata, perché l’unico strumento pacifico possibile è la conquista del 50,1 per cento per promuovere un referendum, le altre due prospettive sono legate a una profonda revisione del rapporto fra Sardegna e Italia che non può essere fondata solo su parametri economici, anzi economicisti.
C’è bisogno, innanzitutto, di una coscienza diffusa della necessità di una Carta costituzionale sarda che attribuisca alla Sardegna tutti i poteri e le competenze di cui c’è bisogno, in materia economica e fiscale naturalmente, ma soprattutto in materia di lingua, beni culturali, beni ambientali. E su questo, tutti i programmi, gli uni forse perché aspettano l’indipendenza gli altri perché divisi trasversalmente fra sardisti e italianisti, sono carenti. La questione della lingua sarda è significativa: basta leggere o sentire le interviste ai candidati presidenti di cui i media in questi ultimi giorni hanno abbondato: la lingua sarda è sparita, non se ne parla proprio, neanche per rapidi sfuggenti accenni.
È come se tutti si siano piegati al vecchio luogo comune secondo cui “ci sono cose più importanti da fare”. Nei programmi, sia Soru sia Cappellacci sia Sollai sia Sale (questo sarà reso noto ad elezioni concluse) ne parlano, ma mentre tutti gli aspetti economici sono oggetto di campagna elettorale, questo della lingua no. Sembra che, insomma, chiunque vinca anche della lingua si occuperà, ma se c’è tempo.
Non ci sarà alcun dramma per i sardi, insomma, chiunque vinca. Le ricette economiche, con enfasi posta qui piuttosto che là, se attuate cambieranno o non cambieranno la Sardegna a seconda dell’andamento della crisi internazionale. La battaglia per la lingua avrà dei risultati più o meno buoni a seconda dell’impegno che ci porrà il movimento cresciuto in questi anni anche – è onesto dirlo – per il riscontro che esso ha avuto nell’azione di governo di Soru.
Il risultato, dicevo, sarà drammatico per uno dei due schieramenti maggiori, secondo chi vince. Berlusconi da un lato e Veltroni dall’altro hanno voluto trasformare la Sardegna in un test sperimentale sulla loro politica italiana. Si sono scontrati nell’Isola certo anche su questioni nostre, ma prevalentemente su questioni che interessano noi sardi solo di riflesso e ci hanno sollecitato a schierarsi con uno o con l’altro principe in contesa alla Corte di Madrid.
Il capo del governo in carica e quello ombra (e con loro il corteo di ministri effettivi e ombra) hanno messo in gioco la loro solidità: se vince Cappellacci, per Veltroni saranno guai seri; se vince Soru, lo stesso capiterà a Berlusconi. Per fortuna dei sardi, a governarci non sarà né l’uno né l’altro, ma un nostro connazionale. (Molto meglio, per inciso, se avranno a che fare con una pattuglia di indipendentisti). E da qui – ma questo è solo un mio modesto auspicio – forse nascerà l’esigenza che, nel futuro, nessuno si azzardi a indicare il suo candidato “locale” e lascino noi sardi a decidere tutto, ma proprio tutto. Se non vorranno che la sconfitta del loro candidato sia anche la propria sconfitta.

3 commenti:

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  2. Salude a tie, Marti'
    apo lèghidu de sas dificultades chi ais tentu pro bogare a craru su programma bostru in contu de limba sarda. E cumprendo chi una cosa de gasi non si podet cuncordare a s'ispessada. Onore a sa seriedade bostra, de sos de su Tzentru.
    E però non mi podet colare sena lu singiulare chi pro Irs puru sa chistione de sa limba est istadu s'ùrtimu de sos pistighìngios.
    Bidimus si sos deputados bostros in su Parlamentu sardu ant a tènnere su talentu de la pònnere a sos primos postos

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  3. Francu Pilloni scrive:

    Salute, ZFP.
    Giusto in tema di sdrammatizzazione delle elezioni, devo riferire che nessuno mi ha esplicitamente richiesto il voto che io avevo offerto gratuitamente.
    Non è che a casa non sia arrivata la propaganda elettorale, non è che non abbia ricevuto SMS o telefonate, ma nulla che si riferisse alla mia offerta.
    Avevo spiegato che il mio voto vale zero, cioè è inutile, non gli farò acquistare valore adesso votando per le liste "utili".
    Lo darò a una lista, anzi a un candidato "inutile", voglio dire che farò una croce sul candidato presidente, perché di scrivere nomi proprio non mi va.
    Per dire tutta la verità, un candidato-consigliere mi aveva contattato "prima": gli ho proposto che avrei preparato due righe di programma su "lingua e cultura sarda" così che potesse portarle in campagna elettorale.
    Tu ridi perché sei convinto che non mi abbia neppure richiamato per sollecitarmi? Pensi questo?
    Beh, pensi bene.
    E allora andiamo avanti così perché, come hai detto tu, sono solo elezioni.
    Un saluto.
    Francu

    PS: ho già votato.

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