giovedì 19 gennaio 2012

La costante resistenziale secondo Norace

di Efisio Loi

Leggevo i commenti a Bolognesi e barbaricini e mi mordevo la lingua, o meglio i polpastrelli. Mi dicevo: “Sarà mai che impari a farti i fatti tuoi? Che bisogno c’era di ventilare articoli sulla ‘costante resistenziale’ dei Sardi? È già stato detto tutto e tu ne sai meno dell’ultimo. Ses che turra in culixonis.” Era buio già da un po’ e, stanco per una giornata di caccia (qualcuno avrà da ridire) ai piedi del Gennargentu, me ne andai a letto e mi addormentai quasi subito. Non vi dico i sogni agitati, pieni, di volta in volta, di cachinni e sghignazzi per la mia ‘resistenzialità’ d’accatto. Era una turba di indemoniati che mi volteggiava attorno.
Spiriti della notte addobbati nelle più diverse fogge, dalle pelli di cervo e di cinghiale, alle lane e lini multicolori, dal grezzo cotone al pesante orbace. Non mancavano i pepli eterei, le bianche toghe con sul bordo la greca di rossa porpora; ma c’erano anche pantalonis de arroda con sperra trodhius di ordinanza, gunnedhas, gipponis e camisas de arranda. C’era di tutto, perfino qualche redingote nei diversi stili, per non parlare delle cacarras con tutto l’armamentario dei mamuthones, maschera compresa. Alcuni volteggiavano in mises di alta scuola e in dolci gabbane, alcune su tacchi da “dodici”. Si andava, insomma, dal paleolitico fino al governo Monti, che poi la cosa ha assunto un tono di serietà, di austerità, finalmente.
Finché comparve lui, Norace, più radioso e sfolgorante che mai. Con cenno imperioso impose il silenzio e con qualche parolina, brebus mi son sembrati, fece sparire la reula infernale. Con un sorrisetto da piglianculo si avvicinò ai piedi del letto, sussurrandomi: “Non ti preoccupare per quelli là, erano tutte comparse. Ma, come la mettiamo con l’articoletto?” Io, che già sudavo per la strizza, peggio mi sentii. E lui: “Te lo dirò io come stanno le cose su chi ha resistito, chi resiste e chi ci gioca.” E cominciò.
Alla caduta dell’impero romano il mondo antico si disfaceva e nel buio di secoli tormentati fermentava una spiritualità nuova. La nostra Isola era ancora lì al centro delle rote che collegavano l’est con l’ovest, il sud con il nord dell’intero ecumene. Bisanzio se ne impadronì, i Vandali per un po’ di tempo gliela strapparono, i Bizantini se la ripresero e la tennero per più di 200 anni.
L’economia aveva ripreso a girare con le regole di sempre: scambi, traffici, accordi, crisi e imbrogli. Genti nuove venute dal nord avevano rimpiazzato Roma. A Roma una strana potestà si stava affermando ed era riuscita a fermare la discesa di Attila e dei suoi Unni.
Fatto sta che, preso l’Esarcato d’Africa, presa Cartagine, presa la Spagna e le Baleari da parte dei saraceni, il Mediterraneo smise di essere ‘ mare nostrum’ e noi finimmo per essere abbandonati. Non è che gli Arabi non ci tentarono a più riprese, facendoci vedere i sorci verdi oltreché la loro bandiera di ugual colore, ma, com’è come non è, non diventammo un loro califfato. O non ci cagavano più di tanto, o riuscimmo a tenerli lontani”. A un mio moto di sconcerto, quasi di sdegno, per la prima ipotesi, accentuò il sorrisetto di prima e riprese: “Se ben ti conosco, propendi senz’altro per la seconda possibilità. Ma, a prescindere, in quei frangenti ci venne a mancare la ragion d’essere del resistere.
La nostra “costante resistenziale” perse di continuità e per un po’ di tempo non sapevamo con chi prendercela. Ci toccò perfino metter su uno stato sardo e dal momento che uno sembrava poco, ne tirammo su quattro, chiamandoli Giudicati. Ci fossimo fermati a uno solo chi sa come sarebbe andata. La Storia però, – e dagli col sorrisetto – come ben sai, non si fa con i se e con i ma. Eravamo anche bravini nel campo del diritto e dell’amministrazione della cosa pubblica con soluzioni d'avanguardia che i Continentali manco si sognavano. Per farti un esempio, prendiamo le curatorie e confrontiamole con le attuali otto provincie.
Uno dei meccanismi con cui si bilanciavano i poteri, riguardava proprio l’estensione delle curatorie che non era fissa e immutabile nel tempo ma variava al variare del numero degli abitanti delle stesse. I confini si allargavano, inglobando uno o più paesi limitrofi, al diminuire della popolazione e si restringevano cedendo centri abitati in caso contrario.
Non dico che fosse un meccanismo senza controindicazioni, però vi dovrebbe far riflettere sullo spopolamento della Sardegna centrale e sul divario economico e sociale fra le zone costiere e quelle interne. Di conseguenza, un pensierino lo farei anche sulla inutilità delle provincie in una Regione come la Sardegna. S’acua currit a mari, così come la gente va verso le coste dove un po' di economia gira e va la gente che piace. Qualche bacino di raccolta, però, lo si è fatto nelle zone interne con beneficio indubbio anche per chi si abbronza sulle spiagge dorate. Un qualche sbarramento appetibile e gradito lo si potrebbe pensare anche per i flussi migratori attratti dai miraggi rutilanti e, perlopiù, ingannevoli.
Per non uscire dal seminato, te ne potrò parlare un’altra volta, torniamo alla “costante resistenziale”. La festa dell’autonomia durò poco. Saraceni o no il Mediterraneo riprese la sua funzione non di barriera ma di via di comunicazione. Genova, Pisa, Barcellona ripresero a scorrerlo con le loro navi. Per avere un ricordo di nostre flotte bisogna riportaci agli Shardana, popolo del mare, modestamente”. Non fosse stato per il sorrisetto che mi lasciava spiazzato gli avrei detto di ammainare qualche vela. Come se niente fosse continuò.
Cento navi ci sarebbero bastate per non stare alla carità di questo o di quello, all’alleanza di questo o di quell’altro per metterla nel didietro al nostro vicino. L’Infante di Catalogna, in arrivo dalla Sicilia, l’avremmo fermato in mare e invece ci mazziarono nelle dolci colline di Sanluri, in una domenica mattina assolata, a fine giugno del 1409.” E meno male che la Storia non si fa con i se e con i ma, pensavo io. “Cento e anche di più, a dir la verità, le avevamo, però erano concas e berritas. – Continuava lui –
Comunque riuscimmo a riprendere il nostro percorso di resistenti e ancora lo pratichiamo con profitto, tanto da rifuggire ogni tentazione di un vero Statuto per non doverci ritrovare all'autogoverno, in quest'ultimo periodo soprattutto in cui di agenzie di rating si muore. E poi, diciamoci la verità, di fronte all’Italia che è nata dalla Resistenza e fa un figurone, con  appena centocinquant’anni di esistenza, poterne vantare secoli e secoli, di spirito resistenziale, ti pare poco?”
Così parlò Norace ma il tempo, tiranno come sempre, già me lo portava via per l’incipiente aurora. Ebbe solo il tempo di gridare, prima di sparire, con voce che si confondeva col vento che lo trascinava lontano: “Non ho finito, ritornerò.” Mi svegliai di soprassalto, incredulo, preoccupato e indeciso sull’articolo.

9 commenti:

  1. Signor Efisio,ma che storia meravigliosa ha raccontato il suo Norace!E' un uomo,anche se vecchio,molto "saputo" e con una grande memoria.La sensazione che provo è di rapimento dell'anima.Al mio nipotino Pietro, che ama tanto le favole,gliela leggerò quanto prima.Mi auguro che il mitico Norace ritorni a trovarla quanto prima per deliziarci con i suoi racconti.Gli chieda se oltre a su casu gli piacciono anche le sebadas,così gliele mando come ringraziamento.

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  2. Gentilissima Grazia, a lui non so, a me le sebadas piacciono molto. Quanto al formaggio, siccome è uomo di mondo, credo si stia convertendo a quello francese. Eppure nel giudicato di Arbarè ce n'è con latripla A. Per il resto, hai ragione, è tutto una favola. Viviamo in case di "casu cotu, pistocus e pardulas" Se non ci salvano Sarkozy e Merkel, pardon, Hansel e Gretel, chi sa se ce la caveremo.
    Gianfranco è troppo buono a inserire gli sproloqui di Norace nella categoria "Storia", dovrebbe derubricarli a "Storielle".
    Salutoni.

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  3. Attenta, che quello pare fosse un gran sacerdote, un "bruscio" insomma. Gli ci vuol poco a inserire qualche filtro nelle sebadas che prendono direzioni sbagliate.
    Bacioni.

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  4. Il filtro è magico, s'intende. di che tipo ssia si potrà vedere dagli effetti.

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  5. Di solito le sebadas,per tradizione materna,le faccio a Natale ma per Efisio,Atropa e Norace,per non scontentare nessuno ed evitare filtri,posso riniziare a farle e,vi assicuro,nonostante la mia baracconaggine generale,le faccio, lavorando la pasta con olio di gomito e mi vengono molto buone.Datemi un pò di tempo ed adiosu a bois.

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  6. Ah, Norace, Norace!
    Mi sa tanto che si sta prendendo gioco di noi.
    Oppure ha studiato la storia sul Bignami: mi pare che semplifichi troppo e mischia la storia raccontata dai vincitori con i piagnistei dei vinti.
    Non sarà che quello che sa l'ha appreso dall'Unione?
    La prossima volta, prendilo per le patate e fagli sputare il rospo.

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  7. Mah! Cosa vuoi che ti dica? Ha detto che sarebbe tornato. Avrà ancora da dire, dopo aver consultato il Bignami. La storia, parlo per me, l'hanno scritta i vincitori, l'altra non la legge nessuno, e il pianto è dei vinti. Ma stai di buon animo, le cose vanno cambiando, come sempre succede, i cosidetti vincitori piangono a calde lacrime e i vinti se la ridono. E' l'impressione che ne ho a guardare la Storia, quella blasonata, quella con la maiuscola, non le storielline di Norace che, dato il rimbamimento, mio, e la mia ignoranza , mi tirano su il morale.

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  8. Elio, ci sto dentro al tuo ragionamento. A proposito di vincitori e vinti, guarda un poco custu muttettu:


    Annu nasciu assustrau
    bombas zaccant in terra,
    celu de luxi tintu
    fraria ferit is ogus :
    fest’ ‘e civilidadi
    chi sene una pregonta
    bittid’ ‘e genti aresti
    in mes’ ‘e nos est frorida.

    Annu nasciu assustrau.

    Sa vida contat giogus de gherra
    Ma chin’ hat bintu no s’est sarvau.

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  9. A unu mutetu unu mutu.

    In gherra 'ndi morit medas
    sa paxi 'ndi disterrat
    Cand'est chi sa vida est bella?

    In gherra 'ndi morit medas.
    Anca podit donnia cristu s'aferrat
    a donniunu no' ammancat gabbella
    a istrvaciu o a bistiri de sedas.

    Sa paxi 'ndi disterrat.
    A donniunu no' ammancat gabbella
    a istravaciu o a bistiri de sedas
    anca podit donniunu s'aferrat.

    Cand'est chi sa vida es bella?
    A istravaciu o a bistiri de sedas
    anca podit donniunu s'aferrat
    a donniunu no' ammancat gabbella.

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