di Francu Pilloni
Quando nasce un bambino, oggi alle nostre latitudini quasi sempre in clinica, il personale di servizio gli appiccica una “targa” con il numero della culla e il nome della madre, giusto per non creare confusioni di sorta. Il neonato si appresta a percorrere la sua gara della vita ed è giustificato che venga contraddistinto con un numero e una sigla, come gli capiterà sempre in seguito se, come atleta, parteciperà alle gare ufficiali, che siano di atletica, di calcio o di sci, poco importa.
Ognuno seguirà, come si spera, la sua indole nello scegliere la disciplina in cui gareggiare, preferendo il tempo di un respiro e un attimo in testa alla corsa come capita nei 100 metri piani, o gare più lunghe e faticose (penso ai 50 km di marcia!), con o senza ostacoli, con decine di minuti, se non ore, a disposizione per avere visibilità in testa o almeno nel gruppo dei migliori.
Lucio Magri |
Queste povere riflessioni le ho fatte a ritroso, partendo dall’evento non convenzionale della morte di un uomo, preparata, forzata, reclamizzata, vissuta in diretta da alcuni suoi amici.
È ben vero che non ho conosciuto Lucio Magri se non per quanto riferivano di lui i giornali e i telegiornali; che non ho applausi, né condanne nei confronti del suo gesto; che vorrei rifuggire dal porre il mio discorso sul piano moralistico e neppure assegnargli risvolti morali.
Voglio ragionare come persona, da uomo a uomo se possibile, anche se non è facile.
Sono convinto, da quel poco che so, che Magri sia stato un uomo di successo, colto, fascinoso, intellettualmente superbo, che ha fatto parte per lunghi tratti di strada della pattuglia d’avanguardia nella maratona della storia, sua e nostra . A un certo punto della gara e della storia, è accaduto qualcosa d’imprevisto per lui, ciò che lo ha relegato nel gruppo degli inseguitori. Compito non facile, perché arrivare undicesimo vale quanto arrivare sessantacinquesimo, avendo come premio una medaglia di carta, giusto per aver partecipato. Chi ricorda infatti il nome e il volto di chi arrivò 11° a una qualsiasi maratona? Forse il 12° classificato, per dire che arrivò subito dopo, o il decimo per dire che lo superò allo sprint finale?
Capita dunque che un atleta abbia corso per lungo tempo nel gruppo dei migliori, ma poi rimane attardato nell’ultimo chilometro di gara: quando entra nello stadio sente il tripudio della gente e prova sconcerto solo per un attimo: capisce che gli applausi sono per quelli che stanno completando il giro di pista finale, che gli soffiano sul collo, stanno per raggiungerlo e doppiarlo. Poi il frastuono cessa d’improvviso e tutto il pubblico volge gli occhi verso il maxischermo, nel quale ammira il volto del vincitore che passa da una smorfia per l’immane fatica ad un sorriso largo che gli accende lo sguardo. Nessuno bada più a chi, con la stessa fatica, sta per tagliare il traguardo all’11° posto in classifica.
Ecco, io penso, ma forse mi sbaglio di grosso, che Magri non abbia avuto la forza, il cuore, la rassegnazione, persino la correttezza verso se stesso, per tagliare il traguardo nelle retrovie della cronaca e della storia in cui era finito, uscito suo malgrado dal proscenio della politica, mai più al centro dell’attenzione, avvolto nella cappa di silenzio dello stadio della vita.
E anche questa, devo ammetterlo, è una scelta. Che non ha stupito, pare, chi lo conosceva molto bene, infinitamente meglio di quanto l’abbia conosciuto il vasto pubblico cui io stesso appartengo. Una scelta tragica che, nel momento fatale, lo ha riportato in prima pagina. Forse era ciò a cui agognava, che ha voluto perseguire anche a prezzo di qualche anno di una vita che ormai era diventata scialba, certamente non all’altezza della sua superbia intellettuale. Una scelta come una protesta contro la società; una vendetta, un manrovescio in faccia a un destino che non ha creduto opportuno mantenere per intero quanto gli aveva promesso. Non ha accettato il fatto, ben chiaro peraltro a mio nonno analfabeta, che, dopo abbondanti piogge, la piena del torrente della vita e della storia trascina a valle tutto ciò che raccoglie, senza distinzione. E che sia piovuto e tanto sulla montagna di certezze primigenie di Magri non sono l’unico a pensarlo.
17 commenti:
Come sempre, Francu scrive in modo delicato e rispettoso anche quando l'argomento, come in questo caso, é particolarmente spinoso da affrontare. Mi lascia perplesso immaginare la vita di Magri come una competizione dove bisogna primeggiare. Intendiamoci, la vita umana é una competizione, purtroppo. E' la selezione naturale, in senso darwiniano, applicata alle società civili. Nel caso specifico di Magri, tuttavia, considerando la coerenza e la linearità del suo pensiero, non riesco a scorgere una voglia di competizione. Da uomo di sinistra qual'era immagino che che abbia sempre privilegiato la crescita delle masse piuttosto che l'esaltazione del singolo. E pur tuttavia, il suo gesto appare di superbia. Non certo nei confronti di Dio, di cui non credeva all'esistenza, ma nei confronti della natura in generale. Il suo gesto sembra dire: non sono io che ho scelto di nascere, ma nessuno mi può impedire di scegliere quando, dove e come morire.
Signor Pilloni,concordo a su quanto dice il signor Maimone:per Magri non c'è stata competizione ma disperazione.Solo chi ha avuto la sventura di cadere in depressione può capire quanto è terribile questa malattia.Non sei più padrone di te stesso,del tuo raziocinio,delle tue emozioni,la vita ti sembra inutile e sopratutto ti porta all'egoismo più totale,sei incapace di pensare agli altri,ti chiudi nel tuo mondo di dolore e desideri solo la morte.Ho gran rispetto per chi si suicida perchè la disperazione arriva a tali punti che ti è impossibile vivere.Per ammazzarsi ci vuole coraggio e,ripeto,disperazione totale.Signor Pilloni,lei,come sempre è stato molto delicato nel criticare questa scelta,ed indubbiamente è anche una persona molto forte ma la depressione porta alla debolezza totale.Il dolore fisico,penso,sia sopportabile ma il dolore dell'anima,no.
Atropa,chiedo venia,hai perfettamente ragione sul dolore fisico e sono d'accordo con te sulla strumentalizzazione mediatica che non mi è piaciuta per niente.Purtroppo ho conosciuto persone che si sono ammazzate,nel totale silenzio,per disperazione e anche per depressione,che, continuo a dire,è una grave malattia e,molte persone,non conoscendola,non considerano il suo potere distruttivo.
Magri ha fatto un atto squisitamente altoborghese: in una clinica svizzera e ben assistito. Credo che un proletario, uno qualsiasi per cui Magri, poco apparendolo, diceva di battersi, non si potrebbe permettere un simile lusso. Lucentini e Monicelli si son buttati giù nel palazzo, e questo me li rende veri eroi, e uomini di sinistra.
In effetti, se ci soffermiamo sull'aspetto formale, sembra un gesto altoborghese. Ma le persone sono tutte diverse e non si può pretendere che si comportino tutte allo stesso modo. Se però ci addentriamo nel contenuto, la morte è sempre la morte qualunque sia il metodo impiegato. Sarà che io sono attaccato alla vita, e me ne andrò quando il destino lo deciderà,però dubito che la morte si possa definire un lusso.
Mi è difficile dare un significato di coerenza politica di fronte alla decisione di ammazzarsi,resta comunque un atto di disperazione,in genere l'istinto di sopravivenza prevale sempre ma quando è superato dal desiderio di non vivere,ci vuole solo rispetto e silenzio.
Anche perché, come diceva qualcuno che ora non ricordo, la morte rende tutti uguali, volenti o nolenti.
Allora un materialista storico, che non crede nell'aldilà e crede che soffrire per nulla, sia un semplice scherzo, a cui la scienza ci permette di non prestarci,ha tutto il diritto di scegliere come andarsi, ci mancherebbe. Certo uno che si batte anhe per l'uguaglianza reale di tutti gli individui, se sceglie di battere la sofferenza in un modo snob, ci palesa che snob (come infatti si racconta) fu, vita natural durante
Non posso ribattere. In effetti, io me lo ricordo proprio snob. Però, ripeto, queste sono le apparenze. Chissà com'era realmente.
'A livella era il titolo della pregnante poesia di un certo De Curtis, in arte Totò.
Quando ho messo nero su bianco le mie riflessioni, in effetti ho mandato una lettera a me stesso.
Non mi va di insultare i vivi, tanto meno chi è morto.
Ho parlato di tragedia, ho elencato alcuni fatti, mie interpretazioni di fatti, tralasciando altri dati di cronaca sconcertanti, come la cena d'addio (un novello messia autocastratosi?), le spese della clinica svizzera a carico del contribuente, se è vero che Magri come ex parlamentare non percepiva certo una pensione sociale, ecc. ecc.
Ho solo cercato di capire, ho cercato di dare una spiegazione politica per la fine di un'esistenza vissuta nella e per la politica.
Le risposte che ho provato a darmi sono purtroppo povere e non convincono del tutto neppure me stesso.
Quanto alla depressione, signora Grazia, povero chi non ne ha sofferto perché, a detta degli studiosi, comprende solo meta dei fenomeni di questo mondo: quelli più banali.
Sei de acordiu in totu, mancai deu em'essi unu pagu prus malu de tui, narendi-ddu. Ah, est berus: deu seu prus malu de tui. Non sciu chi as ligiu su contu miu "Unu tzieddu piticu-piticu", in su blog. Dd'apu scritu pensendi a Sofri e de prus ancora a Magri. Dd'apu scritu pensendi a su chi s'at fatu a nosu su bisu de su comunismu: a nosu fillus de analfabbetas. Tui ses nebodi de analfabbetas e non ti ddu podis permiti de essi malu.
Deu de custas cosas chi scriis tui non ndi scriu--a su mancu non in manera aici esplicita--poita ca--non mi cuu--in coru miu seu ancora comunista e a Magri e a Sofri ddus cumprendu. Su bisu nostru non fiat su de ndi scabulli a is pobirus de sa miseria--certu bolemus cussu puru e ddu bolemus cun totu su coru--ma su de "binci sa maratona de sa storia". Sofri e Magri ant perdiu. Deu potzu nai ca sa maratona non dd'apu bincia, ma seu prexau su propriu ca genti comenti Sofri e Magri--genti chi non apu mai stimau--m'ant donau una pariga de trastus e unu pagu de fortza a su mancu po ndi bessiri de sa "miseria"--non cussa materiali--de babbu miu. Po cussu deu apu a stimai sempri de prus a genti che a tui, ma apu a arrispetai sempri de prus a genti comenti e Sofri e Magri.
Sa fida est unu corru--e sa fida de su fillu de un'analfabbeta funt duus corrus--e balit sa pena de dda bivi sceti si nci arrenescis a ddi donai unu sensu. Issus m'ant agiudau a donai unu sensu a sa fida mia, ma ant perdiu totu de sa fida issoru. Su poita issoru non m'interessat e non m'at mai interessau: ni-mancu deu femu lichidu meda.
Sa fida est unu corru de furca e deu sciu sceti ca seu prexau de essi cumprendiu in tempus ca...
Signor Francu,mi auguro che non si sia offeso se,per la prima volta ,ho dissentito al suo scritto,invece credo sia importante esprimere pareri discordanti e confrontarsi.Sempre con tanta stima.
Signora Grazia, quando mai mi sarei offeso!
Lei, con le sue bellissime parole, mi onora sempre, sia che concordi, sia che discordi. Stia dunque più che tranquilla sulla stima che nutro per lei.
Dott.sa Aba (per dirla più correttamente sull'esempio di priof. Pittau!), mi è venuto in mente, e ancora non ho ragioni per credere il contrario, che il gesto tragico di Magri sia stato un gesto molto politico.
Altrimenti, che senso avrebbero avuto i preliminari, le messe in scena, i commenti degli amici, ecc. ecc.?
Robertu caru,
si est beru chi nannai fut analfabeta (a propositu, ddu scis chi no si fut presentau mancu a sa leva militari? is carabineris dd'hiant circau po duus annus, ma bisaia ddis hiat nau chi fut partiu e no indi teniat sceda peruna), babbu sciat liggi e scriri, ca dd'hiat imparau po contu suu, hendu fattu s'angionaxu a s'edadi de ott'annus, una borta abarrau orfunu.
Ti cumprendu candu naras chi certus arraxonamentus t'hapant abertu sa menti. Sa beridadi est chi tui sa menti dda portasta già pronta a s'aberri, poita is argumentu chi serbint a s'occasioni funti medas e differentis, unu est giuau a tui, un'ateru est giuau a mimi.
Candu pensu a is "maistus", siant de scola che de vida, mi torrat in menti Leonardu de Vinci chi, hendu tentu is proprius maistus, hendu bivius sa propria temperia culturali cun centu aterus cumpangius, est renesciu unu geniu, su prus mannu, mentris is aturus cumpangius no.
Is maistus tenint s'importanzia insoru, ma su chi contat de prus est sempri s'individuu, su chi portat aintru, sa gana chi tenit de fai e de arribai.
Si est beru su chi m'hanti nau de tui, sa vida tua etotu est s'esempiu giustu.
Ma immoi no fazzat s'arroda poita innoi ddu nau, innoi ddu negu.
Quando per lavoro andavo a Cagliari, la linea ARST partiva alle 05 del mattino ed arrivava alle 7.50 per ripartire alle 17.30 di sera, in quelle ore di “sosta inoperosa” andavo a trovare Alberto, un amico, conosciuto casualmente per interessi comuni, che coadiuvava la titolare, sua madre, presso il loro negozio di fronte al porto. Si parlava di tutto, lui era molto preparato e conoscitore di una certa Cagliari e così si passavano tante ore insieme. Spesso lo trovavo che parlava con gente, diciamo “di porto” gente che aveva lavorato duramente ed onestamente tutta una vita e deplorava la carriera di certi compagni che arrivati in “alto” anche grazie alle loro lotte sindacali, neanche salutavano più. Io ascoltavo quei lunghi discorsi poi Alberto mi spiegava finemente, tutti i risvolti mentali, sociali e politici di quelli che in un certo senso si “discostavano da certi valori, trasgredendo certi princìpi”.
Io non conosco a fondo Lucio Magri, ma da quello che si sente e si legge sulla stampa in questo periodo per quel suo ultimo gesto, credo di capire, o forse spero di capire. Se paragono Lucio a quei lavoratori amici di Alberto, e lui, Lucio, a perseguito per tutta la vita, sinceramente convinto, quei valori ed alla fine si è ritrovato solo, snobbato da una certa politica, che per molti versi a preso strade diverse da quella iniziale, allora il suo gesto, come io penso, forse non sarà così, è un messaggio. Un messaggio estremo, difficile da capire ma di quelli che rimangono nel tempo.
Faccio un esempio, forse fuori luogo, ma io conosco questo e questo propongo. Nel Giappone medievale, ad un samurai fu affidato l’educazione di un ragazzo poco incline a seguire i dettami della società.
Il samurai si prodigo in tutti i modi per indurre il ragazzo ad apprendere le regole della società del tempo. Allora il samurai visto l’indole ribelle del giovane, adottò l’ultima possibilità che aveva per far cambiare idea al suo allievo. Come era usanza nel Giappone feudale, il samurai si fece seppuku o harakiri, comunque il suicidio rituale. Il ragazzo visto quel gesto estremo capii la bontà del suo educatore e si adeguò con grande impegno. Se Lucio ha voluto dare un ultimo messaggio in questo senso, si può benissimo capire.
Senza scomodare i giapponesi, caro Giorgio, la storia romana è piena di generali sconfitti che si suicidano, buttandosi contro la spada tenuta dal loro servo più fedele. E non dimenticare Ampsicora.
Meglio morto che portato prigioniero in catene nel trionfo del suo avversario. Un gesto molto significativo e molto politico.
Per Magri tu propendi a credere che sia stato uno che era rimasto al fianco dei lavoratori del porto, come diceva il tuo amico.
Io proprio non so, perché, come ho detto, lo conoscevo per quanto riportavano i mezzi d'informazione.
Non so neanche assicurarti che ci sia stato vicino in qualche momento, di fatto e non solo idealmente.
Ricordo infatti uno dei suoi compagni, il Bertinotti metalmeccanico, che tuonava contro il contratto degli insegnanti i quali, pur non avendo la tuta, sono pur sempre lavoratori in tutto e per tutto.
Oggi, nelle 39 domande che l'UE ha posto all'Italia, c'è quella in cui si chiede in quale maniera il governo italiano intenda valorizzare il lavoro degli insegnanti. Di tutti gli insegnanti, suppongo, iscritti o meno ai sindacati.
Hai visto quanti guasti nella scuola pubblica a causa dei governi di destra?
E quanto aveva l'occhio lungo il Bertinotti metalmeccanico del '78?
Oggi i depressi sono gli insegnanti e gli studenti italiani; i maitre-à-penser si godono le loro due o tre pensioncine.
Sono tornato qualunquista e questa, se GFP la ignora, Roberto non me la perdona.
D'altronde mi rincuora il fatto che solo gli ingenui dicono quello che pensano e non quello che conviene.
Vedi Franco, come ho detto non conosco a fondo Lucio Magri dal punto di vista politico. Ho fatto quel paragone, sperando che il suo gesto estremo Sia un messaggio per quelo in cui lui ha creduto fino in fondo. Ma poteva essere qualsiasi altro il motivo, a volte anche banale l'importante è crederci. Opure il messaggio poteva essere anche quello di voler decidere lui quando porre termine la propria vita. ddu scisi ca s'animu umanu est mau a cumpredi.
"D'altronde mi rincuora il fatto che solo gli ingenui dicono quello che pensano e non quello che conviene."
Come sempre,Signor Francu,lei ,con poche parole, ha la capacità di fare una sintesi su come gli opportunisti prevalgono sugli ingenui onesti,ma non dica mai che lei è qualunquista.
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